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Nessun uomo è mio fratello – Clelia Farris

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Nessun uomo è mio fratello – vincitore del premio Odissea 2009, pubblicato da Delos Books – è il secondo romanzo di Clelia Farris, già nota per l’ottimo e intrigante Rupes Recta (premio Fantascienza.com 2004). Come per la sua precedente opera, inquadrare esattamente il suo testo è una operazione complessa e forse forzata. La Farris ha una penna brillante e sa osare, creando un mondo futuristico in qualche modo originale e spiazzante, dove, come capita nei migliori romanzi di fantascienza, l’elemento fantastico è il motore, ma non lo scopo, della narrazione. Potremo trovare quindi assonanze tra quanto propone in Nessun uomo è mio fratello e ciò che si legge in altri capolavori del genere, ma non saranno che echi perché la forza di questa autrice sta nella cura e nella ricchezza dei dettagli, nel tratteggio completo dei protagonisti, non solo principali, e, spesso, anche nel lirismo di molte descrizioni.
La trama quindi è quasi secondaria – e nel futuro agricolo (una sorta di medioevo con sprazzi di tecnologia, tra lo steampunk e il post atomico – se non fosse che l’ambientazione asiatica giustificherebbe una linea temporale anche meno ardita) in cui un tratto apparentemente casuale nei geni marchia un punto della pelle delle persone in modo visibile, con una V o con una C, assoggettandole socialmente ad un futuro di vittima o carnefice potenziale, ciò che troveremo sarà più un insieme di sprazzi sulla crescita del protagonista che un suo percorso epico o una sua maturazione.
Il personaggio principale, Enki Tath Minh, non è né vuole essere un eroe in senso stretto. Ha un padre difficile, qualche amico che saprà anche tradire o ferire, una vita dura ma semplice che sarà costretto ad abbandonare, in una fuga che lo porterà in una sorta di periodo di limbo, fino a quando non sarà in grado di decidere che svolta imprimere alla propria esistenza. E già nella prima parte dell’opera, forse la migliore, ci saprà mostrare cosa vuol dire vivere in un mondo in cui il caso nega diritti fondamentali. Parlando di persone che tutti conoscono, o dei propri compagni, che scoprono durante la crescita se il loro destino li ha definiti vittime – quindi eliminabili senza nessuna conseguenza dal proprio carnefice – o, appunto, carnefici, quindi in grado di uccidere senza pagare, senza dovere giustificare nulla, senza dovere avere neppure un motivo. Il marker sulla pelle, facendo un confronto con il nostro presente, è quasi un tratto distintivo di una razza “inferiore”. Perché toglie la sicurezza nella vita, rendendo le vittime discriminate in modo ancora più ampio. Non solo possono essere eliminate dal loro carnefice, ma per questo motivo sono a volte considerate malvagie, deboli o meschine. Anche alcune cure mediche, come i trapianti, sono loro precluse perché la loro vita non gli appartiene del tutto. E questo, tra l’altro solo per una convenzione sociale, perché non c’è nel romanzo – o almeno non l’ho trovata – una motivazione per cui questa distinzione fisica debba implicarne una pratica. Le vittime sono vittime e basta, perché la società ha deciso che quello è il loro ruolo, in base ad una caratteristica genetica/fisica.
E di conseguenza è chiaro che non tutte le persone si adegueranno allo stesso modo a questa “convenzione”, né tutte si rassegneranno al loro ruolo. Senza però avere mai personaggi senza macchia, o senza ripensamenti. Perché il mondo disegnato dalla Farris è un mondo di grigi più o meno scuri, per questo molto simile al nostro, nel quale anche i migliori esitano o sbagliano. E nel quale non ci sono davvero cattivi che non possano, almeno un po’, essere considerati vittime delle situazioni.
Ma come dicevo, la trama, nel senso dello svolgersi degli avvenimenti, è quasi secondaria davvero. Perché ciò che rende Nessun uomo è mio fratello un ottimo libro, un libro da ricordare e commentare, è l’accumulo dei dettagli. Sono le singole vicende, i singoli dialoghi o le descrizioni di questa o quella scena, che catturano. E il resto, lo sviluppo, è un procedere dovuto, che non avrebbe il valore che ha, se non fosse sostenuto dalle capacità di questa brava autrice.
Ciò che risulta dal tutto è quindi un ottimo momento di lettura, che ha il sapore complesso che spesso troviamo negli anime del sol levante, e che ci auguriamo possa magari trovare spazio fuori dai nostri confini. Il testo è moderno e merita.
Forse, se mi è concessa un’unica critica, anche una copertina più incisiva.

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