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Omicidio in fabbrica

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Omicidio in fabbrica

Jack si alzò di buon ora la mattina dopo per raggiungere il suo ufficio.
Non che avesse dormito molto, il pensiero di quel caso, dopo aver letto i primi lavori degli investigatori la sera prima, lo aveva tenuto in uno stato di dormiveglia fino a notte inoltrata. Cominciò subito con l’interrogatorio del presunto colpevole. L’uomo sembrava sconvolto, il suo avvocato non permise di fargli troppe domande a causa del suo stato. Era guardato a
vista in cella per timore che potesse tentare il suicidio. Nemmeno Jack si sentì di inveire contro di lui, non si arrabbiò nemmeno un minuto. Il colloquio durò poco: Adasso confermò che la donna negli ultimi giorni lo stava persuadendo a riprovare, per darsi una seconda possibilità, ma lui aveva rifiutato, in fondo era lei che l’aveva lasciato e questi discorsi
di riprendere tutto da zero, dell’importanza di ricominciare una vera amicizia gli stavano sulle palle. E come dargli torto, pensò Monara, la parola amicizia è un’altra delle armi in dotazione delle donne per utilizzare gli uomini a loro uso e consumo. "In nome dell’amicizia si
sentono autorizzate a riempirti la testa di cazzate ed allo stesso tempo si scopano qualcun altro!" L’Adasso aveva inoltre espresso il sospetto che la donna lo tradisse durante gli ultimi tempi della loro convivenza.
C’erano voci in fabbrica, che dicevano d’averla vista adesso con uno o con un altro operaio nel parcheggio di una struttura abbandonata di fronte l’azienda. Anche se erano voci che circolavano un po’ su tutte le impiegate, Adasso la vedeva cambiata ultimamente: era diventata più riservata, chiedeva di uscire da sola e per quanto riguardava i loro
rapporti intimi, erano quasi inesistenti.
Jack era convinto che senza uno straccio di prova, tuttavia, l’uomo sarebbe uscito di lì a qualche giorno. Vedeva già il dottor Serra girare attorno a lui, seduto sulla sedia di pelle nel suo ufficio, esagitato con delle carte del ministero in una mano mentre urlava a squarciagola. Dopo il colloquio con l’Adasso, Jack ricevette una telefonata da Rossino che esprimeva desolazione riguardo alla poca collaborazione che avevano mostrato gli operai della fabbrica. Forse anche per via del timore di vedere compromessa la loro posizione lavorativa: erano tempi duri per il sud Italia e soprattutto in quella fascia che andava dalla vicina provincia lucana fino alla punta dello stivale. La Gutrag era stata dieci anni prima una di quelle cattedrali nel deserto che resisteva tenacemente Merito di una dirigenza internazionale che otteneva commesse una dopo l’altra ed attraverso buoni movimenti sul mercato, riusciva ad essere sempre competitiva. Ma il deserto attorno era rimasto deserto.
Allora Jack non ci pensò due volte, afferrò il telefono, chiamò l’ispettore Rossino e con un sigaro Tampa sulle labbra sbatté la porta del suo ufficio e si diresse alla volta della Gutrag Spa.

*****
La fabbrica era in piena attività produttiva, il rumore era abbastanza fastidioso, dovuto soprattutto alle trasferte delle linee di produzione. Jack passò ancora una volta davanti agli uffici di ogni reparto. C’erano decine d’impiegati e parecchie donne la maggior parte delle quali in minigonna. Anche in produzione c’erano delle donne, ma non tante. In quel
turno vi erano circa una quarantina d’operai per linea, in tutto circa quattrocento. Jack si mescolava a quella grossa folla di gente che percorreva il corridoio e che usciva da una porta ed entrava da un’altra.
Molti di questi lo osservavano con aria sospettosa. Nel giro di pochi minuti fu sicuro che tutta l’azienda seppe della sua presenza. Si fece subito avanti l’amministratore delegato, un uomo sulla cinquantina capelli bianchi ed in perfetta forma fisica che gli diede il benvenuto in un
italiano arrancato ma comprensibile. Assicurò che lo staff dirigenziale
era a sua completa disposizione per ogni bla, bla, bla. Jack espresse apprezzamento e si congedò subito da lui. Accidenti ma dov’è quel Rossino, pensò. Dopo un po’ lo vide arrivare seguito dal commissario Padolecchia, entrambi in borghese. "Scusaci Jack, ci hanno fermato i giornalisti" disse ansimando l’ispettore. "Hanno saputo che il rilascio dell’Adasso è solo
questione di ore, cazzo!" "Puuhhh!". Sbuffò Jack. "E’ peggio di quanto pensassi." "Trrooia". Partecipò anche Al. Non voleva essere da meno.
L’ispettore Rossino indossava un impermeabile beige chiaro e portava degli occhiali dalla montatura spessa d’orata; a vederlo da lontano assomigliava all’ispettore Derrick.
I tre si diressero verso il reparto dell’assemblaggio: la vittima e il suo ex fidanzato erano in forza in quel settore. Ogni reparto era pensato come una piccola fabbrica all’interno dello stabilimento e Rossino sperava di cavare qualcosa parlando un po’ con gli operai. Stavano percorrendo il corridoio per arrivare al montaggio quando Jack sentì l’esigenza di
accendere il sigaro e dopo essersi frugato le tasche in cerca dell’accendino, si fermò quando credette di averlo lasciato in ufficio. Ad un certo punto affianco a loro videro avvicinarsi l’uomo che il giorno prima aveva offerto la sigaretta a Jack. "Prego, mi è capitato di sentire
che voleva del fuoco" l’uomo avvicinò alla bocca di Jack un piccolo accendino a gas. "Come vanno le indagini dottore?" Chiese con un mezzo sorriso George Bissonti. "E lei che ne sa? Chi è?" Rispose John al posto di Jack con un accenno di irritazione. "Sa com’è. La fabbrica è come un paesino, basta una voce falsa o vera che sia per..Io sono Bissonti, lavoro
per una piccola azienda di controlli metallurgici." "Piacere, Monara della Procura di Bari". Jack si mostrò molto più interessato degli altri suoi colleghi. Seguirono però anche le presentazioni dei due. "Sono qui da undici anni, da quando si è aperta, l’ho vista nascere questa fabbrica. Sa io sono un ex dipendente della Boroda Fucine, anzi mamma Boroda come la chiamavamo noi.".L’uomo iniziò una lunga dissertazione sulle cause della
crisi dell’azienda parastatale di costruzioni metalmeccaniche. "Va bene, va bene" lo interruppe Al per tagliare corto. "A proposito, lei signor Bissonti, era qui ieri sera nel mezzo turno dalle tre alle sei?" Cominciò Monara, pensando che dopo quel discorso sulle nefaste conseguenze della Boroda, Bissonti se la sentisse di rispondere a qualche loro domanda. "Sì.
Vede, avevo un po’ di racks arretrati e avevo pensato di controllarli durante quel turno" "Di che cosa?". Riprese Jack incuriosito. "Racks, è una parola inglese, sono quei gruppi di cestelli che sono davanti alla macchina. Servono a trasportare ed inserire i pezzi da lavorare nei
robot." "Cosa sono queste ruote e che controlli esegue lei?" Jack fece segno con il dito verso una specie di torre formata da cestelli di acciaio uno sopra l’altro. John ed Al si stupirono della curiosità di Jack.
Pensarono che stesse uscendo fuori del seminato. I quattro si avvicinarono al metalloscopio, come chiamò Bissonti quella macchina dal panno nero intorno. All’interno una luce ultravioletta molto intensa emanava luce e calore su di un supporto metallico che sosteneva una barra di acciaio.
"Queste sono delle quinte ed io controllo la saldatura del corpo dove si aggancia il sincronizzatore." Bissonti aveva la spalla curva, era alto uno e sessantacinque, ma le braccia sembravano molto muscolose a giudicare dagli avambracci che erano scoperti. Sopra di essa aveva un gilè verde scuro di lana a bottoni verdi e dei pantaloni di velluto anch’essi verdoni
che sicuramente avevano visto nascere non solo la Gutrag ma anche la Boroda. "Come funziona questa macchina signor Bissonti?" Insistette Monara. "Vede. Attorno alle ruote, lo strumento emana un grosso campo elettromagnetico e con l’aiuto del fluido che le bagna, e che contiene particelle ferromagnetiche fluorescenti, si riescono a vedere le
disuniformità ." I due non riuscivano a capire l’interesse di Jack per questi aspetti tecnici. "Una volta mi stavano fregando" continuò George.
"Vede questi misuratori?" I due uscirono dalla camera oscura. "Questi due contatori analogici misurano cinque ed otto, ha capito? Cinque ed otto."
Si fermò un pochino anche perché il caricamento del forno emise un boato assordante. "Questi numeri rappresentano l’intensità del campo. Due settimane fa, un caposquadra del reparto ruote, li aveva manomessi." "Ah si? E per quale motivo?" Chiese Monara. "Dottore si vede che lei non conosce le fabbriche! Ma per abbassare la percentuale di scarti è ovvio! A
quelli di su interessano i numeri! Il numero di ruote prodotte. La qualità va a farsi benedireee!" "Cosa mi dice di Katarina Schmidt, signor Bissonti, mai fatto cattivi pensieri?" L’ispettore Rossino si accorse che dalla macchina si poteva avere una bella visuale della ragazza e guardare tutti i suoi spostamenti giacché solo una vetrata e sì e no un metro di
distanza separava il tecnico dalla sedia davanti al PC dove lavorava la defunta." "Ma cosa dice ispettore, anche se per sentito dire aveva una vita sentimentale abbastanza gratificante e tutt’altro che noiosa. Soprattutto da quando aveva lasciato il signor coordinatore lì come si
chiama, Adasso." George aveva sempre quello sguardo sopra gli occhiali che gli dava un aria da saccente ma allo stesso tempo ridicola. "Si diceva che avesse una relazione con un operatore della rettifica del reparto ruote, un certo Mangiarelli." Sorrise Bissonti, poi smise di parlare anche se dava l’impressione di uno che ne sapeva molto di più di quello che
proferiva o cercava di dire. Si scusò dicendo che aveva da lavorare per stare al passo della produzione, si ripose la sigaretta in bocca e si girò di spalle. Un liquido violaceo improvvisamente sgorgò da alcuni erogatori bagnando quattro ruote poste parallelamente una all’altra. Jack ed i due lo ringraziarono e si avviarono verso il reparto ruote. Dopo aver chiesto informazioni ad un paio di operatori strada facendo, riuscirono a trovare la macchina sulla quale doveva operare quel Mangiarelli di cui aveva parlato George Bissonti; non vollero disturbare l’uomo che stava operando.
Videro che era intento in un’operazione di misura con uno strumento comandato da un PLC a bordo macchina. Jack incontrò uno con la casacca Rossa e lo stemma aziendale che girovagava con una cartellina in mano. Era un caposquadra: "No, Mangiarelli non c’è, dovrei chiedere alla segretaria ma se non mi sbaglio dovrebbe fare il turno di notte" "Bene. Era qui la
notte scorsa? Voglio dire tra le tre e le sei?" Continuò Jack, mentre i due si disposero a formare un cerchio da una parte e dall’altra. John teneva le mani congiunte dietro la schiena ed Al appoggiò un piede sulla grondaia di mandata del lubrificante sulla macchina. "Certo che era qui." Disse il caposquadra. "Nooo, voglio dire, è rimasto per tutte le tre ore
sulla macchina o sulla linea?". "Be’, sa loro oltre che per i bisogni fisiologici, si allontanano anche due o tre volte a turno per andare a prendere un caffè o per ritirare qualcosa in ufficio." "C’era qualcun altro sulla linea?". Chiese Rossino "Credo proprio di no, era il turno
meno produttivo, le rettifiche le ha mandate avanti tutte lui." Rispose con sicurezza il caposquadra sapendo a cosa stesse alludendo l’ispettore. "Quello che voglio dire e che sarebbe pure potuto succedere che potesse essersi allontanato senza che nessuno l’avesse visto?" "Certo, è possibile. Poi sa la notte qui c’è poco personale in giro." "Ho capito tutto." Terminò John. Se non altro da questo momento avevano non solo una ma due piste da seguire. Certo, il fatto che la Schmidt se la intendesse con Mangiarelli, poteva aggravare la situazione dell’Adasso perché avrebbe contribuito a rafforzare il movente: l’Adasso doveva essere consapevole della relazione tra i due, come mai non avrebbe dovuto saperlo visto che
si spettegolava su questo argomento per tutta la fabbrica? Forse in sede di interrogatorio ha preferito non dirlo, su consiglio dell’avvocato. E perché non poteva essere Mangiarelli l’uccisore della donna? Forse la donna gli aveva detto del tentativo di ricongiungimento con Adasso e per ripicca l’avrebbe uccisa. No, troppo paradossale. Arrivò a casa tardi
quella sera, riuscì a far mandar giù al Procuratore Capo delle stronzate riguardo una nuova pista da seguire ed altre ipotesi per lo più fantastiche. Poi tornò a casa.

*****
Era il ventitré di dicembre, una giornata abbastanza fredda. Jack era in piedi nel suo ufficio e guardava attraverso i vetri giù in strada. Oramai era rassegnato, il caso si sarebbe protratto oltre le ferie natalizie e cosa ancora più grave, non c’erano elementi nuovi: Mangiarelli era
pulitissimo, dichiarava inoltre di essere rimasto sulla linea per tutta la notte. E come obbiettare questa affermazione? Jack guardava una moltitudine di gente che si infilava nei negozi dalle insegne luminose a temi natalizi di Via Fieramosca ed usciva con sacchetti colorati e
nastrini dorati. Anche il supermercato all’angolo di Via Crispi sembrava preso d’assalto. La porta della stanza era chiusa ma dal corridoio arrivavano le urla di Serra. Era difficile sapere con chi ce l’avesse stavolta, anche perché l’interlocutore quasi mai aveva il coraggio di
fiatare durante quelle sparate. Jack attendeva il suo turno una volta o l’altra, sicuramente entro la serata poiché ottenne due giorni di ferie per Natale. Stava ricontrollando il rapporto del medico legale quando squillò il telefono. "Monara!" Era una voce familiare. "Si? Chi è?"
Rispose Jack non riconoscendo subito Rossino. "Sono John, ho delle grosse novità. Abbiamo un testimone!". Il tono di voce rivelò un pizzico di entusiasmo. "Un testimone?? Ho capito bene? E da dove è sbucato?"
"Indovina" disse John quasi inorgoglito. "Sputa il rospo John" Monara lo conosceva da tempo Rossino. Anche se il loro rapporto era puramente professionale, spesso scherzavano; John era un compagnone, la sua specialità erano le barzellette spinte e Monara soleva apprezzare
particolarmente alcune delle sue performance. Rossino era sposato, aveva due figli, ma in gioventù aveva una fama di playboy nei locali alla moda.
Raccontava di alcune sue esperienze strane con donne altrettanto strane. Uno dei migliori aneddoti era quello sulla ragazza contorsionista che gli aveva fatto un pompino arcuando la spalla all’indietro e arrivando fino all’altezza dell’uccello. Grandioso!
"Bissonti.". Si interruppe per qualche secondo. "E’ arrivato qua stamani abbastanza agitato ed ha raccontato di aver visto i due infilarsi nel tunnel verso le tre ed un quarto. Dopo una decina di minuti è uscito il Mangiarelli da solo" "Già, quindi può essere che il corpo sia rimasto lì fino alle sei, cioè fino a quando dal Laboratorio non sono andati ad eseguire i controlli d’inizio
turno e lo hanno scoperto." Ipotizzò Monara. "Be’ ci ha raccontato delle balle ieri, ma perché si è deciso a parlare ora? Che spiegazione ti ha dato Bissonti?" "A dire la verità non è stato molto convincente, ha detto che non ha ritenuto dare all’inizio l’informazione per non rischiare il posto di lavoro. Ha anche detto che ha ricevuto delle minacce da alcuni esponenti sindacali. Tutti gli operai secondo lui hanno ricevuto intimidazioni da parte dell’R.S.U. A loro andava bene che all’inizio avessero incolpato Adasso. Pare che andasse giù un po’ duramente con gli
operai ecc. ecc." "Questi bastardi!" La conversazione continuò ancora a lungo e John espose a Tonnara tutti i particolari che gli aveva raccontato Bissonti. Intanto alcuni uomini erano andati a prelevare Mangiarelli.
Monara emise anche degli avvisi di garanzia e dei mandati di comparizione per i sindacalisti aziendali. In tarda mattinata Jack si recò alla Casa Circondariale su Corso De Gasperis. L’interrogatorio fu abbastanza lungo e durò fino a sera inoltrata. Quel Mangiarelli fece innervosire molto il giudice Monara e diverse volte intervennero gli agenti perché i toni
diventarono accesi. L’avvocato dell’uomo, una donna attraente che gli mostrava le gambe a più riprese, lo minacciò molte volte di querela e sicuramente l’avrebbe denunciato; soprattutto dopo che Jack le disse di essere capitata contro uno dei pochi che non si era ancora scopata
all’interno del palazzo della Procura di Bari. Ed era vero per ciò che ne sapeva Jack. In realtà il Mangiarelli si dimostrò imbarazzato della situazione più che oggettivamente preoccupato per la sua posizione di presunto colpevole. Ammise di essersi recato nei sotterranei con la donna,
ma dopo una breve lite riguardo l’intenzione di questa di riprendere la storia con l’Adasso, si tranquillizzarono e stavano cominciando a perdonarsi a vicenda uno contro l’altro contro la parete del locale serbatoi, quando qualche minuto dopo, il Mangiarelli fu chiamato dal
diffusore posto proprio in prossimità dell’ingresso del sotterraneo. Pare che fosse stato segnalato un problema riguardo il lavaggio delle ruote dal signor Bissonti. Anzi, pareva che proprio lui avesse richiamato l’attenzione del coordinatore sul problema. Altra informazione che il signore del metalloscopio non ci aveva dato. Quindi uscì subito da solo dal tunnel e, dopo qualche minuto anche Katarina. Eppure Bissonti ci aveva detto di non aver più visto la donna. Il che era impossibile secondo la versione del Mangiarelli in quanto Bissonti si era trovato per altre tre ore alla veduta della vittima e a meno che questa non si fosse allontanata
dal sotterraneo e poi non fosse sbucata da qualche altra parte, uno dei due stava mentendo. Il carcerato diede inoltre informazioni sul Bissonti: a quanto pareva era uscito da un brutto periodo dopo che la moglie lo aveva lasciato circa un anno prima. Era scappata con un suo ex collega della Boroda a Milano. Lui era rimasto con due figli disoccupati a carico e per un po’ era scomparso dalla città. Si diceva che avesse fatto il barbone per un paio di mesi girovagando nel nord Italia. La sua ex moglie sporse denuncia contro di lui in quanto ricevette diverse telefonate minacciose ed era sicura del fatto che l’uomo fosse riuscito a rintracciarla nella nuova residenza. Adesso sembrava più sollevato ma all’interno dell’azienda molti
erano un po’ timorosi ad avvicinarlo e comunque si limitavano ad un rapporto strettamente ed indispensabilmente professionale. Jack era sulla strada verso casa, esausto. Erano circa le dieci e la via di servizio tangente alla circonvallazione in direzione Brindisi era affollata di
prostitute. Auto costose le illuminavano, le affiancavano e le abbordavano. C’era un grosso traffico di auto su quella via, Jack non l’aveva mai vista così frequentata. Ma poi si ricordò del fatto che era Natale, la solitudine ti ammazza in quei giorni, e non c’e da stupirsi se
le puttane fanno grossi affari. Sofferenza per sofferenza, chissà se era così. Jack era sicuro che la maggior parte di quegli uomini non se fottesse un cazzo dei buchi pelosi di quelle: desideravano solo un contatto, una parola affettuosa magari, una mano dentro l’altra. Gli venne un mezzo pensiero di chiamare Sofia, ma questo gli dava l’impressione di assomigliare ad uno di quelli nelle auto da cinquantamilioni e questo lo disgustava. A Monara stava sulle palle la frase: uno come tutti gli altri. Il giorno dopo era la vigilia di Natale e gli avevano riferito che il turno mezzogiorno diciotto doveva essere l’ultimo prima del ponte fino
al ventisette. C’era necessità di produrre perché erano indietro con la commessa Fiat. Pensò in quel momento di andare a dare un’ultima occhiata in azienda il giorno dopo. Se quel bastardo di Bissonti mentiva se la sarebbe vista brutta. L’avrebbe messo alle strette, adesso doveva raccontare tutta la verità altrimenti parola di Monara l’avrebbe schiaffato in cella ed avrebbe fatto perdere le chiavi!

*****
L’indomani Jack arrivò alle dieci in azienda. I ragazzi della portineria non gli rilasciavano nemmeno più il passi, poteva girovagare liberamente all’interno dello stabilimento. Sembrava essere diventato uno di famiglia. Lo salutarono e gli chiesero: "Com’è dott. Monara?" Lasciò la Fiat della moglie nella zona del parcheggio occupata da vari modelli di BMW, ROVER e
MERCEDES recenti. Aprì il portone di uno degli ingressi ed una ventata di aria tiepida lo colpì. Lo stabilimento era in piena produzione, circa duemilaquattrocento cambi al giorno, mica male! Pensò Jack. Il rumore come sempre era assordante e gli operai che andavano da una parte all’altra dello stabilimento portavano degli archetti con tappi di gomma all’estremità che ponevano sugli orecchi a protezione da quel frastuono. Jack si tolse il cappotto e si diede una lisciata ai capelli con la mano destra. Si era anche sbarbato la stessa mattina. Si diresse verso l’emmettì come lo chiamava Bissonti, e cioè la sua consueta postazione di lavoro ormai da undici anni. S’incamminò a passo svelto oltrepassando gli uffici. Notò che qualche impiegata lo osservava con la coda dell’occhio, senza farsi troppo accorgere. Monara sapeva che la sua posizione dava un certo fascino e trasmetteva un non so che di erotico nelle donne. L’aveva notato in venti anni di servizio da magistrato, prima al nord e poi a Bari e qualche volta aveva approfittato della situazione. Arrivò in prossimità della macchina, sollevò la tela di cellofan e non trovò nessuno. Ma George era al lavoro, era il suo turno quello: ogni giorno gli operatori del controllo al metalloscopio turnavano in senso inverso a quello della
produzione. Vi era la busta di nylon nella quale si vedeva l’involucro di un panino ed una mela ed una banana che era solito portarsi Bissonti. Jack diede una scorsa sulle rampe dove erano poste le macchinette del caffè, niente anche lì. Pensò che forse l’uomo si fosse allontanato per portare dei cestelli sulla linea di montaggio. Seguendo la linea gialla sul pavimento che delimitava il percorso delle persone ospiti, arrivò ad uno spiazzale ed invece di fare il giro verso la linea decise di prendere il ponte pedonale che attraversava i banchi prova delle trasmissioni. Salì i gradini ripidi senza aggrapparsi al passamano mentre con l’altro braccio
portava con sé il cappotto. Il fumo della Marlboro gli colpì gli occhi che gli lacrimarono ed ebbe un annebbiamento della vista. Per poco non inciampò. Appena su, vide un gruppo numeroso di operai attorno all’ingegnere responsabile del reparto montaggio. Assieme a lui c’era l’amministratore delegato con un viso paonazzo, si vedeva molto preoccupato. Riconobbe Monara sul cavalcavia e fece cenno verso di lui in segno di saluto ma con aria seriosa. Adesso riprese a parlare ancora lui, mentre si vedevano arrivare altri membri della direzione generale, probabilmente tedeschi ed altri operai, alcuni sembravano provenire dal
reparto go-out. Qualcuno gridò: "Ferma la lineaaa!" Doveva essere successo qualcosa. Dalla posizione di Monara le urla del direttore generale cominciavano a farsi comprensibili. "La GiEmme ha trovato circa diecimila trasmissioni difettose! E’ saltata la quinta." Monara stette lì a sentire ciò che poteva. In pratica erano giunti i clienti di un centinaio di autovetture ed avevano denunciato che la quinta marcia non ingranava, la Giemme aveva ritirato le auto dal mercato e smontando i cambi si erano accorti che la causa principale del guasto era stato il mancato serraggio del corpo di aggancio sulla ruota; un difetto della saldatura. Jack scese
dalla scala ignorando gli ultimi tre scalini metallici, diede un’occhiata al tabellone sul quale era registrato il numero dei cambi prodotti. Fece un piccolo calcolo a memoria e si accorse che il principio della produzione difettosa risaliva a quel turno mezzanotte- sei del venti di dicembre. Allora corse verso la postazione di Bissonti mentre l’impiegata dell’ufficio che aveva occupato il posto di Katarina Schmidt si fermò e lo fissò per tutta la vetrata. Jack stava raggiungendo il magnetoscopio ma da lontano aveva già visto che le sue gambe e le scarpe di pelle dalla punta all’insù, spuntavano sotto il separé Nello stesso tempo vide che un ragazzo con la maglietta verde stava aprendo la copertura dove erano i misuratori ed i regolatori del campo magnetico. "Fermo!" Gridò Monara superando i decibel dei diffusori che chiamavano a raccolta il personale.
Il giovane si fermò, rimase con la mano sul regolatore, ansimava, sicuramente aveva appena saputo la notizia e stava correndo ai ripari.
George uscì dalla cabina con un pennarello verde nella mano destra e non si accorse del giovane che era fermo alla sua sinistra, coperto. Jack guardò subito i misuratori, anche lui aveva il fiatone. Era evidente: le lancette segnavano uno e due. George aveva capito tutto ma non lo dimostrò. Si limitò a dire verso il caposquadra: "Cosa cazzo stai facendo! Bastardo!" Urlò. Poi vide i misuratori ed impallidì. "Bissonti!" Cominciò Monara. "Questo ragazzo non ha ancora fatto niente." George guardava Jack con lo sguardo che passava dalle lenti sottili degli occhiali. Era segno che aveva paura e le mani gli stavano tremando. "Questo ragazzo ti ha
fregato e sai perché?" Si avvicinò al viso di Bissonti. Quest’ultimo sentì una traccia di alcol provenire dalla gola di Monara. "Perché ti ha manomesso i misuratori nel momento in cui la notte del venti non eri qui sulla tua postazione." Il caposquadra abbassò lo sguardo in cenno di assenso. Era stato il suo collega a cambiare l’intensità del campo la notte dell’omicidio. "Ma cosa dice Monara! E dove sarei dovuto essere?" Chiese Bissonti a voce alta ma tremolante. "Nei sotterranei!" " A strangolare Katharina Schmidt rea di aver tradito. Come ha fatto tua
moglie con te!" " Adesso sta esagerando! Io denuncerò lei e tutta la sua Procura per queste accuse gratuite." "Bissonti, io ti ho in pugno! Non ho nessuna prova concreta ma gli indizi raccolti danno l’idea di un progetto ben studiato e realistico" continuò Monara. "Ti conviene dire tutto e subito se non vuoi che la cosa vada ancora più per le lunghe in sede
processuale." "Ti tallonerò fino a quando la verità non verrà fuori da sola ed a quel punto la tua posizione sarà ancora più grave." "Lo sai che alla fine qualcuno parlerà?" Monara sperava che confessasse adesso o mai più. In cuor suo sapeva che l’unico modo per mandare in carcere definitivamente Bissonti era ottenere una dichiarazione di colpevolezza.
Bissonti abbassò il capo e tutta la figura di uomo all’improvviso si rimpicciolì. A Jack non era mai sembrato così piccolo George, ma le braccia, quelle sì che erano nerborute e forti, capaci di strangolare ed uccidere una donna dal fisico fragile come la Schmidt. L’uomo si girò di
spalle ed appoggiò le braccia sul supporto d’acciaio all’altezza della vita. Dal lato Jack scorgeva delle lacrime cadere sulle guance. "Quella puttana!" Mormorò a voce appena udibile dalla parte di Jack. Il caposquadra guardò il giudice con occhi spalancati. "Perché lo
fanno. Perché lo fanno!" La voce adesso era diventata di pianto, poi solo pianto quando s’inginocchiò a terra. Dopo un minuto circa ritrovò la voce per continuare. "L’ho trovata che era ancora nuda" "Non mi ha visto quando sono giunto alle sue spalle." Monara era molto
più disteso adesso. Lo guardava quasi con empatia.
"E le ho affondato la testa. La testa nell’emulsione! E l’ho tenuta lì, lei si dimenava. Ma è durato poco." Monara si guardò intorno, non ci aveva fatto caso ma negli ultimi cinque minuti si era radunata una folla di gente attorno a loro. Anche i dirigenti seguirono la scena. Jack guardò verso la vetrata dell’ufficio del reparto montaggio e vide l’impiegata che lo osservava. Accanto a lei vi erano anche le altre impiegate degli altri uffici. Jack alzò la mano destra ed imitando un gesto comune se la avvicinò al viso. La ragazza capì, era una brunetta molto giovane, forse al suo primo impiego. Dopo dieci minuti arrivarono i carabinieri di istanza a poche centinaia di metri di lì delle truppe cinofile che presero Bissonti e lo portarono via. La postazione emmettì rimase vuota, gli operai si dispersero e la maggior parte tornò sulle linee, altri tennero un meeting con i leader del settore ruote e del settore montaggio. Mentre
andava via Jack udì l’amministratore delegato urlare: "Voglio subito un operatore al controllo, chiamate il dottor De Feno voglio un operatore qui subitoo!" Appena spalancò la porta, Jack sentì come un colpo sul viso dovuto alla differenza di temperatura tra l’officina e l’esterno. Si
strinse nelle spalle e tirò verso il petto il giaccone. Dopo si accese una marlboro ed entrò in macchina. Girò la chiave ma la Fiat non voleva saperne di partire. Tentò tre, quattro, cinque volte, niente. Si guardò un attimo attorno fuori dal finestrino e gli venne quasi da ridere: piantarlo in mezzo a quelle BMW sfavillanti sotto le luci dei faretti che illuminavano le yucche sul prato, sarebbe stato imperdonabile ed assolutamente vile da parte di quella Fiat di dieci anni. Era colpa della moglie e delle donne in generale che pensano che possedere un’auto
significhi solamente appoggiare quei loro culi schifosi sui sedili e riempire il serbatoio. Provò ancora una volta ed i pistoni finalmente andarono da soli. Diede alcune zaffate di gas ed uscì dal parcheggio.
Qualche volta il ventiquattro di dicembre poteva essere una giornata accettabile. Ma solo qualche volta!

Joe Ferrara

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