Leggevo Astra pensando che se almeno il 50 percento delle previsioni sul mio segno si fossero avverate, nel 2000 sarei stato al centro di avvenimenti bellissimi e avrei avuto qualche Euro in più in banca. Fuori pioveva, le isole Eolie si vedevano a un tiro di schioppo e i vecchi dicevano che quando erano così vicine, il maltempo sarebbe durato alcuni giorni, forse settimane.
Il mio lavoro non era certo un lavoro d’ufficio e era auspicabile che avrei fatto tanto pane di casa.
Il pane di casa, se fatto con grano duro, è molto gustoso e anche dopo molti giorni si mangia con gusto; ma quel "pane di casa" che usiamo noi, è un pane a volte duro. Per noi, dire pane di casa, significa stare a casa senza stipendio, né lavoro.
Per chi come me e compagni lavora fuori, è un handicap, il tempo sembra esporti in balia delle perturbazioni, il lavoro a "giornata" dipende dalle giornate effettive lavorate.
Ma non pensiamoci, quando si chiude una porta si apre un portone diceva mio nonno, non sempre era vero, ma a volte si avverava.
L’avevo letto e riletto, non sapevo cosa fare, finché suonò il campanello. Era lei, la signora Vanna, la salute in persona; 43 forse 44 Kg per 97 anni suonati, mai un acciacco, mai presa una pillola. L’unico disturbo che aveva erano i dolori, le artrosi, che curava con impacchi caldi fatti con una stoffa spessa di lana grossa, da lei stessa cucita, riscaldata sulla stufa a legna.
Così dolce e amabile che era "la zia Vanna" per tutti, forse ero l’unico a chiamarla signora Vanna, ma senza mai riuscire a spiegarmelo, io non ci riuscivo a chiamarla zia.
Come sempre, portava una manciata di fiori secchi, veniva a trovarci spesso ed io ero felice di sentirla parlare; anzi la esortavo a farlo, soprattutto dei periodi della sua gioventù, di quando per i paesani faceva la puttana in Argentina.
Rimasta vedova con tre figli, a 29 anni decise contro il parere di tutti, parenti, amici e conoscenti, di partire per l’Argentina.
Era rimasta senza marito, con tre figli e un pezzo di terra dentro la casa dei suoceri, dai quali veniva considerata come una serva senza libertà, né dignità; era umiliata e affamata.
I tempi erano tristi, ma i suoceri non pativano come tanti la fame, volevano però che lei e i suoi figli lo facessero e si privassero di tutto, così come non dovevano "sprecare nulla"; inoltre ritenevano che fosse lei la causa principale della morte del figlio.
I suoi genitori non erano in grado di prendersi a carico quattro bocche da sfamare, non potevano e non volevano.
Pazienza Vanna le disse sua madre, sopporta, devi sopportare.
E Vanna sopportò per un anno, per il bene dei figli. Poi ci fu Mariano.
Il cugino Mariano, era troppo spesso in casa, veniva e andava carico di formaggi, ricotte e attenzioni per lei e i suoi bambini, finché il suocero fu chiaro:Devi sposarlo, se la passa bene e ti ha messo gli occhi addosso!
Vanna non era certo ingenua, aveva intuito, capito, ma la cosa la faceva inorridire. Mai sarebbe stata di quell’uomo, era burbero, sboccato, volgare, sporco e vecchio almeno 50 anni o forse più, non voleva neanche saperlo; dopo essere stata felicemente amata dal marito, che era stato un vero angelo, non sarebbe stata di nessuno, tanto meno di quell’uomo.
Finché una sera il suocero l’aggredì e non c’erano santi che tenessero, lui si era impegnato con Mariano e poi era la soluzione migliore perché i suoi nipoti riavessero un padre.
Vanna fu volgare quella sera, alla fine di un batti e ribatti di ore, disse al suocero:Se proprio vuoi che in questa casa, Mariano vada a letto con qualcuna, fallo provare a tua moglie. Io non sarò mai sua, tuo figlio si sarà rigirato nella tomba a sentirti parlare così.
Poi prese i bambini e con pochi stracci, partì a notte fonda nel mese di Gennaio, in una sera di luna piena, verso casa dei suoi. Appena fuori di lì, baciò la terra umida e con un vento gelido, che tagliava la faccia come un rosaio, partì con i bambini che piangevano, anche lei lo faceva.
Affrontò circa tre chilometri quella notte, con il piccolino in braccio, trascinandosi dietro gli altri due e lottando contro quel vento.
Semi assiderati, arrivarono dai suoi che albeggiava. Suo padre era sull’uscio di casa, stava mettendosi gli stivali, appena li vide apparire, urlò alla moglie e corse loro incontro; prese da terra i suoi nipotini inzuppati e infreddoliti e li strinse a sé senza parlare. Sua madre uscì la testa, appena li vide urlò:Pazza, pazza incosciente, cos’hai fatto?
Sono tornata madre e per sempre! dopo un attimo di silenzio, tra il panico e la disapprovazione replicò:Tu sei pazza davvero, non potete restare.
Suo padre portò i nipoti dentro casa, poi disse alla moglie:Ripulisci i tuoi nipoti e tua figlia, sfamali e mettili al caldo.
Ma l’hai sentita? È tornata per restare!
Cosi sia!
Tu sei più pazzo di lei, come faremo?
Dio provvederà, noi col suo aiuto provvederemo.
Suo padre non ci provò mai a rimproverarla o a rinfacciarle qualcosa, ma la madre in quei mesi, non faceva sempre che ripeterle che lei, per il bene dei figli, doveva sacrificarsi a Mariano.
Non poteva certo dire a sua madre di coricarsi lei con Mariano, ma era una tortura psicologica continua, oltre che a volte, un problema effettivo, quello di sfamare degnamente i bambini. Doveva trovare una soluzione migliore, si spaccava la schiena lavorando e anche i suoi, ed era una lotta contro i mulini a vento, non c’era avvenire, lei doveva "vivere" con i suoi bimbi, non "sopravvivere"!
Alcuni parenti parlarono della terra promessa, emigrare in Argentina. Decise, doveva partire, avrebbe venduto quel terreno lasciatele dal marito, sarebbe partita contro il parere di tutti.
I parenti furono chiari con lei, con i suoceri, con i suoi, sarebbero stati solo compagni di viaggio, una volta laggiù chi si è visto si è visto.
Era veramente impazzita, una donna sola con tre bambini, cosa andava a fare verso l’ignoto? Ma lei partì. Con l’aiuto di Dio ce l’aveva fatta, era riuscita a crescere e a far sposare i suoi figli, due dei quali rimasti laggiù con la famiglia e solo una sposata con un paesano, era tornata in Sicilia, vivendo qui da anni.
Da anni lei, faceva la spola tra l’Argentina e la Sicilia, prendeva l’aereo come prendesse un pullman, senza paura né altro, a volte pensavo che sarebbe morta in volo.
Mi disse: Mi serve un favore, pagando disse, devo tornare in Argentina, parto sabato. Mi puoi portare all’aeroporto?
Ma alla sua età, non ha paura a partire? dissi.
L’unica paura che ho disse è quella di vedere morire i miei figli, mio figlio sta male, deve operarsi alla prostata; vado ad assisterlo.
Non ha la moglie, i figli?
Una moglie non ti può amare mai più di una madre.
Ma prendere due aerei, uno a Catania, l’altro a Roma, alla sua età.
Sai, a Catania mi aspetta un angelo, ormai sono anni che mi prende per mano.
Durante il viaggio verso l’aeroporto, mi parlò meglio di quell’angelo. Era un hostess che la prendeva per mano e a Roma, la faceva salire sull’altro aereo portandola fino al suo posto.
Te la presenterò, vedrai con i tuoi occhi. Le ho telefonato, mi aspetta all’aeroporto.
Sorpresa delle sorprese, le hostess erano due, due angeli belli, alti, la presero come fosse una nonna, felici di rivederla.
Mi presentò l’angelo, il suo nome era Apollonia. Quest’ultima mi confidò che si era ormai affezionata alla nonnina che viaggiava con loro ormai da anni.
Ha un gran coraggio disse.
Credi che la vedrò tornare? chiesi.
Se Dio vorrà! In questo andirivieni può morire anche in volo, ha già una certa età.
Ma può anche arrivare a cento anni!
La vidi salire la scaletta con i suoi passi lievi da gatta, appoggiata appena ad Apollonia, mi venne di pensare che l’angelo anziano, si appoggiava all’angelo giovane.
Tornavo verso casa, felice, avevo in tasca 500.000 £. La signora Vanna era generosa come un angelo, i favori li pagava bene ed io ero sereno, pensavo a quei due angeli in volo. E il tempo pioveva, pioveva.
Il pane di casa se verrà, sarà più morbido, grazie agli angeli.
La signora Vanna
Nunzio Cocivera