"Il Trovatore" al Comunale di Modena, 11 maggio 2001
Non vi è dubbio che Il Trovatore, rappresentato in moltissimi teatri in questo anno di celebrazioni verdiane, rischi di assuefare il pubblico dell’opera. Dopo la celebre e contestata apertura alla Scala l’anno scorso per il mancato "do di petto" del tenore, anche a Modena si è voluto un allestimento della seconda fatica della "triade verdiana" (insieme con Rigoletto e Traviata).
Tema centrale del libretto è la vendetta: quella che deve compiere la zingara Azucena alla quale, molti anni prima, mandarono al rogo la madre con l’accusa di aver stregato il figlio minore del conte. Azucena, per vendicarsi, rapisce il bimbo e lo getta su quello stesso rogo ma, accecata dall’ira, scambia il proprio figlio con quello del conte. L’immancabile contesa amorosa coinvolge il presunto figlio della zingara, Manrico (il Trovatore) e il conte di Luna, figlio maggiore del conte e quindi fratello di Manrico, mentre la bella contesa è Leonora. L’opera si conclude con il suicidio di quest’ultima, che si è promessa al conte in cambio della libertà di Manrico, e con l’esecuzione di Manrico stesso: finalmente Azucena ha la sua vendetta.
Certo, le recenti disposizioni sull’autonomia finanziaria dei teatri d’opera qualche difficoltà l’ha portata: allestimenti eccessivamente minimalisti, ingaggi di cantanti non sempre all’altezza e, soprattutto, continue proposte dei titoli di maggior richiamo al fine di riempire il più possibile i teatri a scapito delle opere "minori". Non si pretendono allestimenti di prime versioni delle opere (come Macbeth) o degli adattamenti per altri paesi (come Don Carlos), ma i titoli verdiani poco rappresentati sono parecchi, a cominciare dall’Ernani fino a La battaglia di Legnano (troppe implicazioni politiche?) e al Simon Boccanegra.
Le scenografie del Trovatore al Comunale ben si addicono a questo clima di "tira cinghia": ecco infatti il solito fondale con proiezioni (ricorda una Butterfly all’Arena di Verona, solo che allora era una novità), mentre tutte le scene si svolgono su di una specie di arida landa desolata (che sembrava un castagnaccio appena sfornato, quando sulla superficie si formano le tipiche crepe); al centro di questa, una botola da cui compaiono e scompaiono, con molto rumore dei meccanismi di azionamento e qualche difficoltà, alberi, torri, personaggi.
Gli interpreti, tutti giovani vincitori di concorsi, come cantanti hanno svolto il loro dovere con grande serietà e impegno, ma, al solito, mancavano gli attori: Leonora, ricordando il suo amore lontano, non può saltellare come se fosse a passeggio, così come Azucena, a cui hanno appena ucciso il figlio, non può limitarsi a un gesto con il braccio destro dichiarando: «Sei vendicata, o madre!»; nessun fremito di orgoglio e gelosia in Manrico e nel Conte di Luna quando si fronteggiano a causa di Leonora. Non sembrava poi operazione tanto complicata e costosa far apparire Azucena un po’ più vecchia: invece della madre poteva benissimo passare per la figlia di Manrico.
Alcuni momenti imbarazzanti, per non dire ridicoli, si sono avuti a un’uscita del coro dalla scena durante la quale stava per rovinare a terra una quinta, e allo scatenarsi delle vampe (vampe vere che scaturivano da fori nel castagnaccio): facevano tanto baccano (avete letto bene, baccano) da distogliere completamente l’attenzione su chi cantava in quel momento, oltre a incutere un certo timore sull’incolumità di interpreti e fondali. Per finire, nel momento in cui Leonora canta davanti al sipario chiuso (espediente non usuale ma che permette il cambio di scena), i tecnici o il coro che usciva copriva Leonora con uno scalpiccio da Cavalleria rusticana veramente incredibile (e fastidioso per la cantante, immagino).
Uno dei difetti maggiori delle regie d’opera moderne è l’assoluta indifferenza verso il pubblico del loggione e dei palchi laterali. Certo, in questi posti si paga anche meno (certo, non sono biglietti regalati), ma con qualche accorgimento si potrebbero evitare busti che sporgono pericolosamente per seguire l’azione che non si svolge al centro della scena.
Indirizzati soprattutto al direttore alcuni isolati dissensi; applausi poco convinti e fuggi-fuggi di spettatori alla fine di questo Trovatore senza alcuna verve.
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