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Visioni del Dirigibile

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Visioni del Dirigibile
Seconda parte

A caratterizzare i grandi gruppi sono una compattezza ed una forza assai superiori, si è soliti dire, rispetto alla semplice somma degli apporti dei singoli musicisti che li compongono: una constatazione che si può applicare anche ai Led Zeppelin, anche se qui il valore dei singoli è elevatissimo già in partenza.
Jimmy Page, colui che utilizzò gli ultimi e demotivati Yardbirds quale trampolino di lancio per spiccare poi il volo con il Dirigibile, è indiscutibilmente l’anima degli Zep. Da lui prese il via il progetto di costituire il gruppo, e fu ovviamente lui a contattare l’allora semisconosciuto Plant ed a proporgli l’ingresso nella band: d’altra parte Page era già, all’epoca della formazione degli Zeppelin, un professionista di altissimo livello ed una stella luminosissima del panorama musicale dell’epoca. Forte di un’esperienza maturata in un numero infinito di partecipazioni quale session-man a svariate incisioni per ogni genere di artista e gruppo, aveva conosciuto la sua consacrazione al grande pubblico proprio con l’ingresso negli Yardbirds, dove nelle intenzioni avrebbe dovuto costituire assieme a Beck la più formidabile coppia di chitarre immaginabile al tempo. Le cose poi non andarono esattamente così, e non mi sembra il caso di soffermarmici in questa sede, ma Page ebbe lo stesso la possibilità di lavorare costruttivamente con la band e sperimentare sul campo certe idee sulle quali avrebbe lavorato con più calma successivamente. Capace, sulla scorta della flessibilità acquisita nel lavoro in studio, di variare il proprio stile senza mai spersonalizzarlo, ed intenzionato a mettere a frutto le sue doti, si trovava però a dover fare i conti con compagni di viaggio chiaramente inadatti (basti pensare al demotivato Keith Relf di allora, ad esempio). La dissoluzione degli Yardbirds, forse più o meno segretamente auspicata dallo stesso Jimmy, si trasformò nell’opportunità di ripartire da zero per costruire la più grande rock-band del pianeta.
Robert Plant (che venne segnalato a Page quando si esibiva a livello locale e, pur avendo conosciuto una relativa notorietà almeno con la Band Of Joy, era ancora sostanzialmente un illustre sconosciuto) non era in realtà la prima scelta del chitarrista per il ruolo di lead vocalist: Page aveva inizialmente cercato di coinvolgere nomi più altisonanti e sicuri, tra i quali spicca quello di Chris Farlowe, ma scontratosi da un lato con l’indisponibilità dei suoi primi obiettivi e fulminato dall’altro dalle doti di Plant, non esitò allora ad offrirgli il posto. Fu un opportunità che il giovane cantante non rifiutò, a maggior ragione dopo aver constatato la consonanza di gusti ed ascolti musicali con il chitarrista nel corso di un breve e storico incontro, avvenuto a bordo della casa galleggiante di Page. I due tasselli più famosi degli Zeppelin erano dunque già andati al loro posto.
L’ingresso di John Bonham nella band fu più controverso, visto che il fenomenale batterista, caldeggiato da Plant che lo conosceva da anni e aveva già lavorato con lui nella Band Of Joy, dapprima si mostrò sordo alle lusinghe di Page e del manager Peter Grant: pare che a convincerlo fu, sostanzialmente, la prospettiva di poter subito partire in tour negli States con i futuri Led Zeppelin. John Paul Jones invece proveniva dagli stessi ambienti in cui si era formato Page, ed era uno stimatissimo bassista di studio la cui professionalità fu ritenuta dal chitarrista un elemento più che sufficiente ad affidargli il posto ancora vacante.
Nei racconti dei diretti interessati non è difficile percepire l’elettricità che doveva saturare l’aria durante la prima session che vide riuniti nella stessa sala i quattro. Sebbene imperniata esclusivamente su classici rock e blues, nonché su pezzi forti del repertorio degli Yardbirds e della Band Of Joy, viene descritta come un momento assolutamente sublime, in cui tutti si resero immediatamente conto del potenziale del quartetto. L’incantesimo era stato lanciato!
Allargando la prospettiva all’intera carriera degli Zeppelin, è facile capire come inizialmente l’influenza del più esperto Page fosse molto forte. I primi brani del gruppo sono sostanzialmente suoi, come è vero che fu lui a gestire quasi tutti gli aspetti del lavoro in studio e ad accollarsi le fatiche (e in fondo anche le spese, per quanto egli si fosse presto guadagnato la fama di tirchio…) della produzione: sarebbe difficile credere altrimenti, vista la fama di inguaribile perfezionista che si sarebbe conquistato sul campo. La frenesia dei primissimi anni di vita degli Zeppelin non permise d’altra parte un’armonica fusione tra le singole personalità artistiche che li componevano: ciò accadrà solo quando, abbandonata momentaneamente la routine delle tourneè a tappeto, la band potrà permettersi di lavorare con più calma al terzo album. Da questo punto in poi la produzione comincia ad essere veramente collettiva, emergendo a fianco dell’indiscussa leadership di Page la scrittura di Plant ed i contributi creativi di Jones e Bonham: figli di questa magnifica sinergia saranno tra l’altro quelli che giudico i migliori album del gruppo, ossia IV e Physical Graffiti. Lungo la parabola discendente del gruppo, nella concitata lavorazione di Presence Page tornerà ad assumere decisamente il controllo della situazione, mentre In Through The Out Door rappresenterà l’apice compositivo del grande talento "nascosto" degli Zeppelin, ovvero John Paul Jones: ma giunti a questo punto mancheranno solo pochi passi alla conclusione della loro straordinaria avventura, ed il meglio sarà già alle spalle.


Fabrizio Claudio Marcon

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