Oggi, per fortuna, le cose sono abbastanza cambiate: la rappresentazione della realtà queer si è fatta finalmente plurale, anche nel cinema di massa, a largo consumo, che vediamo nelle sale sotto casa e in televisione; soltanto in questa stagione, innumerevoli sono state le pellicole che hanno avuto al centro delle tematiche omosessuali, a vario livello qualitativo: tra le altre, O fantasma, Seconda pelle, Prima che sia notte, Krampack, Le fate ignoranti (produzione italiana ma autore turco), Tabù, con un buon successo di pubblico, in alcuni casi. Discorso a parte per il cinema italiano (rappresentato in questa edizione della rassegna soltanto da cortometraggi), che ancora per lo più indugia in modelli e stereotipi da avanspettacolo, commedie di basso livello per solleticare gli istinti più volgari (pensiamo a Uomini uomini uomini), ma, si sa, questo è un paese ancora sotto pesante tutela religiosa, e i produttori di cinema (in gran parte le reti televisive nazionali) non osano molto rischiare (con eccezioni, appunto, vedi i produttori del film di Ozpetek). Per avere un esempio vicino ed opposto, basta pensare alla Spagna che, pur avendo una cultura anche religiosa simile alla nostra, è riuscita ad emanciparsi dal condizionamento della chiesa cattolica, come dimostravano anche numerose pellicole presenti a Torino e lo stesso Krampack, visto nei mesi scorsi nelle sale. Altro esempio a noi vicino, la Francia, di cui abbiamo visto in rassegna un film, La confusione dei generi di Ilan Duran Cohen, grande successo al di là delle Alpi, su come essere uomini e donne oggi, in un gioco dai confini aperti, senza nessuna ipocrisia e riconciliazioni di facciata (tutto il contrario de L’ultimo bacio, tanto per intenderci).
Accanto a film che non hanno più bisogno della promozione da parte di una rassegna specializzata, il festival fa conoscere una vasta produzione internazionale, su video e pellicola, che documenta del forte squilibrio ancora esistente nel modo di vivere la condizione omosessuale in giro per il mondo ed anche all’interno della stessa nazione, come nel caso degli Stati Uniti, dove convivono ampia tutela dei diritti civili (adozione anche per gli omosessuali) con violente forme di discriminazione. Il cinema a tematica omosessuale oggi esplora, accanto ai temi più classici (scoperta della sessualità, riconoscimento della propria identità, lotta contro le discriminazioni e le violenze), anche territori nuovi, più aperti a fertili contaminazioni con i nuovi bisogni e le moderne forme di socializzazione e di vita affettiva, provocando anche spiazzanti contraccolpi sui meccanismi mentali comuni, attraverso la proposta di codici e di modelli di racconto "altri", sempre con il piacere della provocazione.
Il vento orientale è spirato anche a Torino: quest’anno infatti il festival si è concluso con la vittoria del film di Taiwan Scappando la notte di Li-kong Hsu (anche produttore, tra gli altri di film come Il banchetto di nozze e La tigre e il dragone) e Chi Yin, melodramma a tre (lei, lui e lui) di amori non consumati. Uno dei maggiori successi di pubblico è stato un film tailandese (che dovrebbe uscire anche in Italia), The iron ladies (Le signore di ferro) di Youngyooth Thongkonthun, che racconta di un scatenata squadra di pallavolo formata quasi interamente da gay, drag-queen e transessuali, che è riuscita avventurosamente a vincere il campionato nazionale (anche nella realtà), dimostrando che lo sport non è solo per "uomini veri".
Accanto all’attualità, Torino proponeva anche omaggi a personaggi-icone come Marlene Dietrich e David Bowie e l’inizio di una rassegna dedicata a Rainer Werner Fassbinder, che proseguirà anche l’anno prossimo, sempre sperando che i nuovi venti politici che spirano anche su Torino non raffreddino troppo gli entusiasmi e le energie di Minerba & Co.
Da Sodoma a Hollywood
Il Festival internazionale di cinema a tematica omosessuale di Torino è nato 16 anni fa, per iniziativa di due emeriti personaggi, Ottavio Mai (purtroppo scomparso) e Giovanni Minerba (tuttora direttore della rassegna), che volevano in tal modo reagire ad una rappresentazione cinematografica della realtà queer (cioè, gay, lesbiche, bisessuali e transessuali) fatta solo di pochi stereotipi, per lo più negativi (travestiti, effeminati, macchiette, quando non anche perversi, mentalmente deviati, comunque destinati a finir male, uccisi o suicidi).
Paolo Baldi