(secondo classificato)
"Insomma…" fisso Marco reprimendo l’impulso di mollargli un cazzotto. "Sei diventato uno spacciatore di droga"
Marco alza gli occhi al cielo e sbuffa, nonostante la paura lo faccia sudare ha ancora abbastanza sangue freddo per fare l’arrabbiato.
"Noo-o. Non sono uno spacciatore. Ho solo modificato geneticamente un pianta…"
"Di cocaina"
Mi guarda con quell’espressione da saputello che detesto: "Si chiama coca. La pianta da cui si sintetizza la cocaina si chiama coca"
Guardo ancora fuori dalla finestra. La strada è buia e lucida di umidità. Almeno ha smesso di piovere e la visibilità è migliorata. Marco mi si affianca di corsa trattenendo il respiro. "Ci hanno trovati?"
"No. Non ancora"
Da questa distanza la puzza di sudore è nauseante. "Perché?"
Mi guarda con uno sguardo così vuoto che immagino di scorgere i suoi pensieri dietro gli occhi. "Perché…Cosa?"
"Perché lo hai fatto?"
Lo sguardo si focalizza su di me, le labbra assumono una piega leggermente all’insù e strette in una linea sottile. L’espressione che fa tutte le volte che si arrabbia o vuol far vedere che è più intelligente. Non ho bisogno di ascoltare per capire che ha frainteso la domanda, ma sono talmente stanco che lo lascio parlare.
"Te lo spiego di nuovo ma cerca di capirmi stavolta. La cocaina cloridrato è un alcaloide iposolubile estratto dalle foglie di coca. Una volta ottenuta dalla pianta una partita di prodotto puro la si può tagliare con benzocaina, anfetamina, magnesio solfato, talco o simili… Se hai un chilo puro, lo tagli al 75% e ne ottieni quattro. Quindi un profitto quadruplo"
"E tu..?"
Marco sorride come un bambino con un giocattolo nuovo.
"E io ho modificato geneticamente alcuni germogli della pianta e li ho fatti crescere in laboratorio. Sono riuscito a decuplicare la percentuale di alcaloide. Capisci? Così si può tagliare al 750% ottenendo 10 volte la quantità di roba di un’unica partita! Eccezionale no?"
Il pugno gli fa scattare indietro la testa con uno schiocco. Gli occhiali volano via, come il sangue dal labbro spaccato. Marco barcolla all’indietro cercando un appiglio e poi piomba sul pavimento. Si porta le mani alla bocca e mi fissa con aria incredula.
"Che…Che..?"
"Percheccazzo sei venuto da me? Eh? Non avevo già abbastanza problemi? No, dovevi venire anche tu e portarti dietro dei mafiosi che ti vogliono morto perché li hai fregati!"
Marco afferra gli occhiali con le mani sporche di rosso e cerca di rialzarsi. "Non li ho fregati! Ho solo ricevuto un’offerta migliore. Tutto qua! Si tratta di affari dopotutt…"
La pedata che gli tiro lo manda di nuovo a gambe all’aria.
"MA PERCHE’ SEI VENUTO DA ME?!?"
Marco fa per rialzarsi di nuovo ma il mio sguardo è sufficiente a farlo desistere.
"Come perché? Perché sei mio cugino, no? E sei uno sbirro…"
"Ma quale sbirro? Quale sbirro? Cazzo! Lo vuoi capire o no che sono solo una guardia giurata?!? E neanche tanto bravo…"
"Ma hai una pistola, no?"
Scivolo fino al pavimento e mi prendo la testa tra le mani.
"Non ci credo. Non ci posso credere"
Marco non sa cosa dire. Pulisce freneticamente le lenti con la polo grigia ma il sangue era quasi secco e rimangono dei segni rossi sia sulle lenti che sulla maglia.
"Eddai Anto’. Che dovevo fare? Avevo bisogno di aiuto…"
Lo guardo con odio, ma ormai sono così stanco che non ho nemmeno la forza di urlare. "CHE DOVEVI FARE? Dovevi evitare di metterti d’accordo con dei mafiosi serbi per fabbricare una nuova droga. E dovevi evitare di rivenderla anche ai mafiosi di casa nostra. E già che c’eri potevi anche andare alla polizia invece di portarli da me e costringermi a scappare per mezza Italia!"
Questa stanzetta di albergo sembra sempre più piccola.
"Beh… Forse tu potevi evitare di ammazzare quel serbo che ci aveva trovati"
"Ci stava sparando addosso con un fucile mitragliatore. Cosa dovevo fare? Chiedergli gentilmente di smettere? Speravo di spaventarlo e invece…invece…"
"Invece lo hai ucciso"
"Si cazzo! L’HO AMMAZZATO! Ed è colpa tua! Non potevi laurearti come tutti i tuoi bravi compagni, vero? No! Tu dovevi diventare un criminale di merda!-
"Si! E’ vero! Ho fatto un paio di cazzate ma… insomma… sono umano, no? Mi sono fatto abbagliare dall’offerta… Un’offerta pazzesca. Davvero. Tu che avresti fatto? Dì, che avresti fatto?"
"Li avrei mandati a cagare"
Marco fa di nuovo il sorriso cattivo e so già cosa sta per dire.
"E quella storia della rapina al centro commerciale? Guarda che lo so. Mamma ha parlato con zia che non voleva si sapesse, ma io ho capito subito. Anche se poi non c’è stato bisogno dell’avvocato. Eri d’accordo con i ladri o ti sei riempito il bagagliaio quando sei arrivato?"
Abbandono ogni impulso di pestarlo. Abbandono ogni cosa. Abbandonerei anche il pianeta se potessi e sto per dirglielo quando sento un rumore di fuori. Mi avvicino alla finestra.
"Stai lì"
Marco ubbidisce.
"C’è un uomo solo con un valigia che va verso l’ingresso. Hai controllato se la porta a vetri dietro si apre?"
Marco annuisce senza un suono.
Forse non è niente.
Forse è solo un turista ritardatario.
Esce dalla reception, dall’altra parte del giardino proprio dietro alla fontana, e si avvicina.
Merda.
Immobili, al buio, aspettiamo. L’uomo si avvicina, cammina con calma.
"Quanto ti hanno pagato?" chiedo.
Silenzio imbarazzato.
"3 miliardi"
"Se ce la facciamo ne voglio la metà"
"Ok"
L’uomo si avvicina ancora.
Ed entra nella stanza accanto.
Tiro un sospiro di sollievo.
"Tutto ok?" Marco sorride.
Poi la finestra sul retro esplode e tutto diventa confuso.
Sento Marco gridare, rumori di passi, molti passi, un suono di qualcosa di pesante che cade. Poi sono su di me e il buio diventa ancora più nero.
Mi riprendo all’impatto con il cemento del parcheggio, che fa male.
"Così volevate fregare me, ah?"
Accento marcato. Serbo. Alzo gli occhi quel tanto che basta per prendermi un calcio in faccia. Poi un altro, alle costole. Nel poco che ho visto Marco è steso per terra più in là, non so come stia.
Sono quattro: tre gorilla e uno con completo bianco e una camicia leopardata, basso, con i baffetti. Sembra uscito da un film di Kusturica. Ma sembra molto, molto cattivo.
-Ora vi ammazzo. Ma dopo avere scuoiato. Oppure no se dite dove è mia droga.
-Vuoi dire la MIA droga.
Sento distintamente il rumore di molte teste che si voltano e molte armi che si caricano. Riesco a rotolare abbastanza per vedere un gruppo di meridionali armati arrivati ora.
Neanche a dirlo il capo è l’uomo con la valigia.
Il serbo bestemmia qualcosa nella sua lingua. Tutti gli uomini si puntano le armi addosso.
"Volevi fregarmi Dusan?"
"No. Tu fregavi me!"
"Ti ammazzo!"
"No, io ammazzare te!"
Perdo interesse nella conversazione e cerco di strisciare via, ma mi ritrovo in mezzo alle gambe dei serbi. Un gorilla mi guarda dall’alto e, per gradire, mi molla un calcio in faccia.
Non avrebbe dovuto.
I meridionali vedono un movimento e cominciano ad urlare.
I serbi rispondono sparando.
Gli altri anche.
Il gorilla vola indietro in una nuvola rossa mentre le mie orecchie si riempiono di rumore.
Sento spari, urla e ancora spari.
Poi il silenzio ricopre tutto.
"Sai..? Ce la siamo cavata bene"
Sposto lo sguardo dalla strada quel tanto che basta per vedere il volto pesto di Marco, talmente gonfio da sembrare un panda, e mi scappa da ridere.
"No, davvero! Pensaci… quei criminali si sono fatti fuori da soli e noi, a parte un po’ di lividi… noi…siamo vivi e a posto per tutta la vita. Hai fatto bene ad avvertirli entrambi che eravamo in quell’albergo."
"Si, certo"
Ma c’è ancora una cosa da fare.
"Hai ancora i dati dei tuoi studi e i campioni?"
"Si, è tutto qui"
Mi porge una scatola di cartone dei biscotti da cui sporgono pagine stampate e sacchetti di plastica.
Con un unico gesto l’afferro e la butto fuori dalla machina, abbastanza forte perché superi il guardrail e finisca in mare, trenta metri più sotto.
"Ma che..?"
Con quell’espressione sorpresa ora sembra proprio un panda e comincio a ridere forte, ma il male alle costole mi fa tossire e per poco non finiamo giù, insieme alla scatola.
"Basta con le stronzate, ok?"
"Veramente vorrei…" Marco mi guarda con l’aria un po’ imbronciata poi si stringe nelle spalle. " Ok"
Lo guardo, poi tossisco e sorrido insieme. E’ quasi giorno ormai, e la fuga è finita.
Guardo ancora Marco.
Spero.
In fuga
Christian Bencivenni