Restarne fuori e non farsi coinvolgere è una bella difesa per evitare ogni rischio di contaminazione. Ma come ti metti sullo stesso piano, cadi. In tutti i sensi, cadi e cominci a imparare; a non cadere, in tutti i sensi.
Il giorno zero. Effettivamente ci abbiamo messo parecchio tempo a decollare. All’inizio c’erano due mondi distinti e da entrambe le parti c’erano persone distanti, tutti che si giravano intorno ma distanti. Ancora oggi qualcuno quando mi vede mi saluta con un semplice "salve" senza mai sbilanciarsi troppo. Non si può parlare di diffidenza o di chiusura, la situazione era diversa. Diciamo che subito ho incontrato una cordiale disponibilità ma nessun coinvolgimento, nessuna emozione apparente. Adesso è tutto diverso, conosco perfettamente le loro facce, il loro modo di vedere "gli altri", tutte sfumature della stessa realtà.
Il difficile è sempre imparare la lingua. Tutte le volte che si esplora un nuovo mondo, è difficile comunicare per via della lingua perché all’inizio siamo tutti alieni, noi e loro.
Mi ricordo che ho passato la seconda metà dell’estate ad osservarli, semplicemente osservarli. Lasciavano che mi avvicinassi, sempre di più, ma è trascorso un sacco di tempo prima che mi salutassero quando mi rivedevano eppure sono convinto che fin dalla prima volta si ricordavano benissimo. Sicuro.
Nessuno aveva un nome, si chiamavano fra loro e non ti facevano nemmeno capire il nome e non potevi neanche dire ieri ho visto … che faceva questo o mi ha detto quello … i nomi sono arrivati dopo, prima ho dovuto imparare a riconoscerli dai dettagli. Come si muovevano, i salti, come si salutavano, le ore in cui potevo trovarli. Per capire in parte le abitudini ho dovuto intensificare le visite, la presenza.
Si, all’inizio erano soltanto visite; arrivavo lì e stavo a guardare, sentivo i discorsi, soprattutto osservavo come si parlavano fra loro. Non hanno una lingua ufficiale; alcuni in spagnolo, altri in russo, altri in portoghese. Strano adesso che ci penso, nemmeno adesso che li conosco non li ho ancora sentiti parlare inglese, non uno. La lingua più parlata nel mondo non esiste.
Certe volte nella vita ti trovi su un treno in corsa e se hai deciso di salire sai che non potrai scendere fino alla fine del viaggio; nessuna fermata, sempre avanti senza interruzione. Sei costretto a trovarti un posto e cerchi di metterti dove le facce ti sembrano quelle di gente decente. Il treno, è un luogo sconosciuto popolato da gente sconosciuta e sai già che dovrai adattarti alle regole e convivere, perché non potrai scendere per nessun motivo.
Qui la situazione era completamente diversa, quasi capovolta; tutto era fermo, un viavai da stazione ferroviaria ma tutti sembrano conoscersi fra loro tranne te, un viaggiatore occasionale capitato per caso. Non è stato facile convincerli che quel viaggio avremmo potuto farlo insieme.
Sembravano proprio uguali uno all’altro, sapevano fare un sacco di cose e la rampa sempre immobile e accogliente, disponibile ad ascoltare i loro capricci.
Strana gente. Ancora oggi, strana gente. Non so se un giorno sarò dei loro ma intanto andiamo avanti in questa storia.
Col tempo le cose sono diventate più semplici, almeno così mi è sembrato. Ho cominciato a parlare con uno di loro, Manuel mi sembra spiegandogli che volevo imparare un po’ come si fa, come funzionano i trick dello street, aggressive, le cose che facevano loro. Quasi la sensazione netta che si fosse aperta la porta. Nel giro di qualche giorno mi sono trovato di fronte un gruppo di persone disponibili che sembrava non aspettassero altro. Ho intravisto Misha un po’ di volte in quel periodo ma non abbiamo scambiato più di un saluto, giusto un cenno.
Brown ho capito subito che era abbastanza popolare, e anche a me che ancora non riuscivo a fare molte distinzioni sembrava uno dei più bravi, in mezzo agli altri. Brown è completamente matto, almeno secondo le regole comuni, uno che fa sempre le cose un po’ superiori ai propri limiti ma proprio su questo ci siamo trovati subito d’accordo; anche con lui comunque ci è voluto un po’ di tempo.
All’inizio non pensavo alla storia – a quello che è diventata adesso – poi mi è venuto in mente che potevano darmi una mano non solo sugli aspetti tecnici ma anche sulla strada come luogo di incontro o posto da percorrere e attraversare così ho cominciato a parlarne in giro, proprio a Manuel mi pare; è il primo che ho visto fare un tresessanta sulla rampa. Con lui in seguito non si sono fatte grandi cose; è incasinato, la scuola, altri impegni, ma credo abbia capito che poteva essere qualcosa di importante perché l’ha detto proprio a Brown e poi – un altro paio di settimane – abbiamo cominciato a trovarci abbastanza regolarmente e c’erano anche Misha e Alexis. E’ da lì che è iniziata la vera e propria storia, verso la fine di agosto giorno più giorno meno.
Brown non lo sa ancora ma ha la stoffa del capo, almeno per lo sport e potrebbe essere un buon coach. E’ stato il primo che ha capito cosa avevo intenzione di fare e si è subito buttato con tutto l’entusiasmo sull’idea; lui è stato il primo in assoluto poi è arrivato Misha che ha una visione più tecnica della realtà e Alexis.
#1. Brown