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Staind – Break The Cycle

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Staind – Break The Cycle

Oggi come oggi gli Staind sono uno dei nomi che si sentono circolare più spesso in ambito rock. Non poca della loro fama è dovuta invero alle credenziali che possono vantare, ossia una raccomandazione proveniente dritta dritta da quel buontempone di Fred Durst, la voce dei Limp Bizkit. Pare che inizialmente Durst in realtà non apprezzasse per nulla la band: si sarebbe ricreduto solo più tardi, cambiando opinione così radicalmente da apparire persino come ospite su un brano incluso in questo recente Break The Cycle.
Tanto per sgombrare il campo da possibili fraintendimenti, gli Staind non sono una copia dei Bizkit. Lo stesso Durst duetta in un pezzo, Outside, che nulla ha a che vedere con la roboante e sguaiata musicalità del gruppo di cui è leader. Gli Staind infatti più che dai Limp Bizkit paiono aver preso casomai qualcosa dai primi Deftones (si prenda ad esempio Can’t Believe), meno proni al crossover, rielaborandoli poi in virtù di un approccio vocale assai più vicino a certi Soundgarden o ai Days Of The New; a questo hanno aggiunto infine una vena fredda e malinconica, che serpeggia lungo parecchi brani ed emerge in particolare nelle ballate quali la già citata Outside o l’ottima It’s Been Awhile (non a caso scelta quale singolo di lancio dell’intero album).
Pur robuste strumentalmente, le sonorità non sono mai grezze e spesso paiono anzi occhieggiare più o meno spudoratamente alle charts. Rispetto ai quella dei Linkin Park, ai quali si potrebbe dire che contendano la palma di rivelazione rock dell’anno, la musica degli Staind è più ragionata e riflessiva, meno immediatamente aggressiva e forse più silenziosamente disperata, sofferta: manca poi del tutto la componente hip-hop, che invece è ben presente nel calderone musicale dei Linkin Park.
L’hard rock oggi si suona così, almeno in America (il che poi vuol dire un po’ in tutto il mondo, visto che il rock è già da tempo sceso a patti con la globalizzazione): ritmi generalmente medio-lenti con occasionali accelerazioni, stop-and-go strumentali che costruiscono ad hoc minacciosi momenti di bonaccia in mezzo alla tempesta sonora, voce sufficientemente espressiva da poter passare dal sussurro al grido di guerra. Gruppi come gli Staind, i quali presumibilmente avranno cominciato a suonare imbevendosi come spugne di sonorità tipicamente nineties, mostrano che la lezione di quegli anni (Alice In Chains e Soundgarden in primis, ma anche Pearl Jam: si ascolti a questo proposito Epiphany) non è rimasta lettera morta. In atmosfere che rimangono sempre e comunque livide e notturne riescono almeno a mutare registro quel tanto che basta da offrire un’esperienza d’ascolto relativamente variegata: ma attenzione, ho detto relativamente

Fabrizio Claudio Marcon

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