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Un’iscrizione, una maledizione, un enigma…

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Un’iscrizione, una maledizione, un enigma: scoprite l’arcano di CHIMAIRA, capolavoro di Valerio Massimo Manfredi.

Con la trilogia "Alèxandros" ha battuto i record vendendo oltre un milione di copie e il libro è stato tradotto in tutto il mondo in ben diciannove lingue. Dopo la storia del giovane macedone considerato un dio dai suoi contemporanei, che ha affascinato ed entusiasmato i lettori, è stata poi la volta di "Chimaira". È infatti questo il titolo del capolavoro che Valerio Massimo Manfredi ha pubblicato per i tipi della Mondatori, uscito in tutte le librerie il 6 marzo 2000. Tra le arcane pagine di "Chimaira" gli enigmi assurgono a protagonisti, in un mondo in cui non farsi coinvolgere per appagare il desiderio di scoperta, abbeverare la sete di svelare il mistero e scoprire la verità, è impossibile.
Ancora una volta coinvolgente ed intrigante l’avventurosa storia regalataci da Valerio Massimo Manfredi nel suo ultimo capolavoro a ritmi di colpi di scena. Il giovane archeologo Fabrizio Castellani è impegnato in una ricerca sui tesori etruschi al Museo di Volterra; intanto una creatura mostruosa, una belva immensa, sta seminando il panico nelle campagne circostanti, sbranando molti tombaroli a caccia di cimeli. Proprio Fabrizio, in compagnia di una giovane ispettrice, viene coinvolto nelle indagini. Ed ecco il ritrovamento di un’ arà, una misteriosa iscrizione che rappresenta una maledizione per un orrendo crimine commesso a Volterra. Sarà proprio quell’iscrizione che ci condurrà alla scoperta di una spaventosa tragedia che si è consumata 25 secoli prima in quelle stesse terre.
Straordinarie pagine che, stimolando il suo spirito di avventura, non lasceranno certo il lettore deluso e inappagato.
È un thriller moderno, ambientato a Volterra, con una situazione claustrofobica, con un ritmo molto incalzante, da fibrillazione. C’è un effetto molto speciale e cioè una belva dalle dimensioni inimmaginabili che non si sa da dove venga, come sia uscita, che colpisce con una potenza devastante. Lo scioglimento dell’enigma sta in un delitto atroce, consumato venticinque secoli prima nella stessa città di Volterra, la cui soluzione è racchiusa in un’iscrizione frammentata in sette parti, ispirata alla Tabula Portonensis che è stata pubblicata di recente, anche se poi la storia va per la sua strada.
Se qualcuno si chiede il perché di un’ambientazione a Volterra, la risposta è che uno dei temi più forti del romanzo è una statua che si trova proprio nel Museo etrusco di Volterra, nota come L’ombra della sera, un’espressione molto poetica che Gabriele D’Annunzio coniò quando la vide. È la statua di un fanciullo filiforme che dà esattamente l’impressione dell’anima che esala, che ha un’inconsistenza proprio come se fosse nient’altro che uno spirito".
Nei romanzi di Manfredi c’è sempre una certo legame tra presente e passato, un filo che dà continuità al tempo. Le storie sono vissute nel presente ma sono collegate alle ere trascorse, il richiamo a "ieri" è forte. Per lui è importante non perdere questo vincolo con la storia passata non per il fatto che il passato insegni, perché se insegnasse l’umanità sarebbe migliore di quello che è. Quello che in realtà l’autore crede è che nulla sia più attuale del passato, in quanto il passato esiste perché viene continuamente reinterpretato e rimeditato. Esiste solo in quanto noi lo recuperiamo nel presente.
Guardandoci indietro e rivivendo il passato possiamo allora capire meglio il presente e noi stessi? "In teoria sì – risponde l’autore – per il semplice fatto che non c’è identità senza memoria. E la memoria è la parte più nobile dell’essere umano. Senza memoria non c’è identità e non c’è nemmeno alcuna coscienza di esistere.

Francesca Orlando

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