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Necronomicon

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Necronomicon
Storia di un libro che non c’è

Il Necronomicon, come opportunamente ricorda già il sottotitolo del libro qui recensito, non esiste. Difficile però trovare nell’ambito della narrativa fantastica un volume più conosciuto e citato indifferentemente da autori, appassionati e studiosi.
Partorito dall’inesauribile fantasia di H.P.Lovecraft, il Necronomicon viene da questi descritto sostanzialmente come un testo redatto dall’arabo Adbul Alhazred e contenente indicazioni per riti esoterici. Al Necronomicon fanno riferimento parecchi personaggi dei racconti lovecraftiani maturi: solitamente sono impegnati a consultarlo nel corso di ricerche occulte, salvo poi usualmente rendersi conto così facendo di aver sollevato i sottili veli che garantivano all’umanità l’ignoranza su realtà che sarebbe stato meglio non conoscere. Ma a quel punto, per esigenze narrative, è sempre troppo tardi. Forze immani e terribili sono state ormai evocate e sono pronte a scatenare l’orrore supremo…
Lovecraft, che non era uno sprovveduto, immaginò che fornire di volta in volta dettagli, citazioni e infine indicazioni bibliografiche sul misterioso testo lo avrebbe alla fine reso un vero e proprio riferimento, un trait d’union, un lungo filo rosso che avrebbe attraversato trasversalmente tutto il suo corpus letterario offrendo non solo agganci per rimandi interni ma anche spunti che altri autori avrebbero poi potuto elaborare in proprio. Difficile immaginare un esito tanto vicino alle intenzioni. Il Necrononomicon ha acquisito negli anni tale a tanta risonanza, ha accumulato un numero sì elevato di citazioni da parte di innumerevoli scrittori, è stato descritto con tale dovizia di particolari da far ritenere a più di un ignaro lettore di trovarsi di fronte ad un testo reale.
A questa mistificazione hanno senza dubbio contribuito, involontariamente o meno, tutti coloro che nel corso degli ultimi decenni hanno curato e pubblicato volumi che si fregiavano di titoli pretenziosi e pretendevano di rappresentare ogni volta il vero testo del Necronomicon. Ricche di rimandi più o meno deformati a Lovecraft, tutti tesi a fornire una fittizia legittimazione all’opera, queste supposte trascrizioni dell’esacrabile grimorio erano invero costituite da un’accozzaglia più o meno assurda di riti magici, invocazioni e simbolismi pescati qua e là o inventati di sana pianta.
La proliferazione dei Necrononomicon, svoltasi in Italia sotto l’egida della Fanucci, ha portato ora alla pubblicazione da parte della stessa Casa editrice di quello si suppone possa essere un saggio chiarificatore sul tutto il fenomeno: Necronomicon – Un libro che non c’è, curato da Sergio Basile. Il quale, diciamolo subito, ha il merito di rimettere le cose al loro posto fin dalla premessa, chiarendo che il Necronomicon non esiste. Ma, si chiede subito dopo Basile, il confine fra libri reali e libri immaginari è veramente così netto? In altre parole, a colpi di citazioni, riferimenti, commenti ed indicazioni bibliografiche, non sarà che il Necronomicon sia stato in un certo senso scritto davvero? Non sarò una specie di libro a più mani, di cui tutti coloro che (a partire ovviamente da Lovecraft) lo hanno inserito almeno una volta nella propria narrativa sono autori ma che nessun singolo individuo ha mai materialmente vergato?
Da queste premesse prende le mosse una carrellata piuttosto interessante sugli pseudobiblia, ossia quei libri che come il Necronomicon non sono mai esistiti ma è come se lo fossero: inganni più o meno consapevoli e più o meno sofisticati, ma capaci di superare la prova del tempo e assicurarsi a volte un successo imprevedibile.
Una lunga serie di estratti dalle opere di vari autori, parte dei quali amici o discepoli immediati di Lovecraft (Clark Ashton Smith, August Derleth, Frank Belknap Long, Robert Bloch e molti altri ancora), mostra la portata del fascino esercitato dal Necronomicon sulle fervide menti dei campioni della narrativa fantastica del Novecento, e in un certo senso aiuta a capire come mai ad un certo punto la tentazione di considerare il testo reale abbia preso il sopravvento.
Il resto di Necronomicon – Un libro che non c’è riporta tre edizioni del Necronomicon, già pubblicate a suo tempo da Fanucci: la prima è quella storica del 1979 a cura di George Hay; la seconda risale al 1994 ed è curata dallo stesso Basile e da Giampiero de Vero; la terza, uscita come Necronomicon II – La Tomba di Alhazred è invece datata 1998. Al di là della curiosità infantile che il lettore può provare nel far scorrere gli occhi sui minacciosi incantesimi e simboli disseminati con generosità in tutti i tre testi, il valore reale delle opere in questione è veramente trascurabile. Come a dire che i meriti di Necronomicon – Un libro che non c’è si esauriscono praticamente nel saggio introduttivo del curatore, insomma.
Anche questo però suscita qualche perplessità. A pagina 37 per esempio, apprestandosi a discorrere della storia del Necronomicon, Basile riesuma per l’ennesima volta la classica, fuorviante citazione apocrifa di Lovecraft fornita a suo tempo da Harold S. Farnese ad August Derleth: "You will, of course, realize that all my stories, unconnected as they may be, are based on one fundamental lore or legend: that the world was inhabited at one time by another race, who in practicing black magic, lost their foothold and were expelled, yet live on outside ever ready to take possession of this earth again" (così riportata in Joshi-Schultz ed., An H.P.Lovecraft Encyclopedia, pg.53). Mai rintracciata in alcuna lettera sopravvissuta di Lovecraft e ricostruita da Farnese sulla base delle sue sole memorie, questa citazione è stata accettata di buon grado da Derleth in quanto fedele alla visione che egli aveva dell’opera di Lovecraft: sfortunatamente, è stata da lì in poi tramandata e diffusa al punto da divenire fonte di fraintendimenti anche per gli studiosi più attenti. Gli sforzi di S.T.Joshi per rimuoverla dalla coscienza degli appassionati hanno cominciato a smuovere le acque, ma molto ancora andrà fatto per ristabilire finalmente chiarezza su questo controverso aspetto della letteratura lovecraftiana. Più avanti nel testo comunque Basile rimette le cose al loro posto, sottolineando in occasione diverse i punti del cosiddetto Mito di Cthulhu frutto della fantasia del solo Derleth. Permettetemi ora, anche se questo non c’entra granché con il libro qui preso in esame, un commento di passaggio su quest’ultimo personaggio: è infatti curioso come ogni ammiratore di Lovecraft sia combattuto tra proclamare a Derleth eterna gratitudine, per aver sottratto all’oblio gli scritti del maestro di Providence ed averli pubblicati indefessamente nel corso dei decenni, o al contrario gettarlo nella polvere per aver a tal punto manipolato e travisato il pensiero dell’autore da renderne universalmente diffusa una versione in realtà del tutto artificiosa e ben lontana da quella reale. August Derleth, gioia e dolore del lovecraftiano medio…
Tornando a noi e concludendo, direi che nel complesso Necronomicon – Un libro che non c’è è un volume moderatamente interessante. Come già detto, la prima parte merita attenzione e offre un buon servizio; mentre la riproposizione dei vari Necronomicon è poco più che un divertissement e sicuramente non aggiunge granché alla valutazione complessiva dell’opera. In altre parole, ritenetevi soddisfatti di voi stessi se riuscite a convincere il vostro libraio di fiducia a vendervi, per una somma opportunamente contrattata, solo le prime centocinquanta pagine…


Fabrizio Claudio Marcon

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