KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Coltura 42

4 min read

Coltura 42

Dallo studio dell’Ammiraglio si poteva godere di una vista mozzafiato. Su un lato della stanza si apriva una grande finestra che in quel preciso momento inquadrava il pianeta attorno al quale la nave stava placidamente orbitando: l’Ammiraglio, che pure aveva ormai fatto l’abitudine ad un simile spettacolo, se ne gratificava ancora come fosse la prima volta. Il profilo circolare bianco-azzurro del globo, apparentemente immobile ma in realtà in vorticosa rivoluzione attorno alla propria stella madre e in contemporanea rotazione su se’ stesso, si stagliava nettamente sullo sfondo nero e lontano dello spazio profondo.
L’interfono annunciò il Direttore del Laboratorio di Genetica. L’Ammiraglio premette un bottone e la porta d’ingresso dello studio si aprì.
"Ammiraglio", esordì il Direttore accennando ad un impercettibile inchino: il suo interlocutore gli rispose semplicemente indicandogli la sedia di fronte alla scrivania. Il Direttore si produsse in un secondo, ancor più contenuto cenno di apprezzamento e prese posto.
"La produzione è terminata, Ammiraglio", furono le sue parole. Fermatosi un attimo per gettare uno sguardo allo schermo del proprio terminale portatile, riprese: "La Coltura 42 è stata sottoposta all’ultimo processo di mutazione previsto dal Protocollo Tecnico ed è pronta per la sperimentazione sul campo".
L’Ammiraglio ebbe un lieve sussulto. Ancora lo stupiva vedere con quanta meccanicità ed indifferenza quelli della Direzione Tecnico-Scientifica assolvessero ai propri compiti. Per quanto lo riguardava invece neppure gli oltre trent’anni di onorata carriera, dieci dei quali con il grado di Ammiraglio, lo avevano immunizzato completamente da qualche fastidioso ed assillante rimorso di coscienza. Sapeva di essere fra i pochi a provarne; forse l’unico, dopo che negli ultimi anni i quadri dell’Ammiragliato erano stato profondamente svecchiati. I giovani non sembravano mai riflettere su quanto facevano, il che in queste situazioni era indubbiamente un vantaggio non indifferente.
"Che risultato hanno dato i test preliminari?", volle informarsi l’Ammiraglio mentre continuava a guardare, non senza un’ombra di tristezza, il globo al di là della finestra.
"Eccellente, direi", commentò il Direttore con malcelato orgoglio. "Prevediamo un’efficacia vicina al novantasette per cento ed un tempo d’azione di tre volte inferiore al lotto precedente". Bene, pensò amaramente l’Ammiraglio. Forse fermandosi un po’ troppo sulla riflessione, perché udì vagamente il Direttore schiarirsi la voce prima di sollecitarlo, cortesemente ma freddamente. "Aspettiamo solo il suo ordine per procedere, Ammiraglio".
La Terra. Dai libri di storia l’Ammiraglio aveva appreso che si trattava della sesta colonia fondata dalla sua gente, milioni di anni prima che lui vedesse la luce sul Pianeta Madre. Per un tempo lunghissimo la razza umana impiantatavi aveva vissuto e prosperato, nonostante fosse stata sottoposta un paio di volte a test di minore entità. L’Ammiraglio aveva letto da qualche parte che i coloni avevano chiamato ‘peste’ la coltura utilizzata in una di quelle occasioni.
"Novantasette per cento, ha detto?", chiese con un filo di voce mentre il pianeta sotto di lui continuava imperturbabile la sua marcia nell’oscurità.
"Esattamente, Ammiraglio".
Non gli restava granché da fare. Il Protocollo Tecnico non ammetteva deviazioni dal programma: nessuno degli ufficiali preposti alla sua esecuzione ci aveva mai neppure pensato. Così doveva essere e così sarebbe stato, una volta ancora.
"Va bene. Procedete".
Il Direttore si congedò con un ultimo inchino, questa volta più accentuato, e uscì dallo studio. In fin dei conti, pensò l’Ammiraglio, non aveva colpe, era solo un ingranaggio del meccanismo. Lo erano tutti. Quando si lavora per il proprio Stato non ci si può permettere di fare troppo gli schizzinosi: e d’altra parte la funzione delle colonie era stata chiara fin da subito, fin dalla nascita delle prime. "Le colonie sono state impiantate su altri pianeti con la funzione di rappresentare lo scenario di simulazioni tese ad analizzare e prevedere la reazione della nostre società ad emergenze di tipo sociale, climatico o medico": così recitavano tutti i manuali di scuola, compreso quello su cui si era formato l’Ammiraglio.
Nel suo studio perfettamente insonorizzato l’Ammiraglio non poté sentire il sibilo sommesso che accompagnò l’apertura dei portelli dell’hangar principale della nave. Dopo pochi istanti però apparve nel suo campo visivo la sagoma dei tre missili, tre argentei cavalieri dell’Apocalisse che portavano nelle proprie viscere l’intera produzione contrassegnata dal codice "Coltura 42"; tre proiettili inarrestabili lanciati a tutta velocità verso il gigantesco globo azzurro dal quale, ora più di prima, l’Ammiraglio non riusciva a distogliere lo sguardo. I tre missili si facevano sempre più piccoli di secondo in secondo, attraversando voracemente lo spazio vuoto e silenzioso che ancora li separava dal loro obiettivo.
L’Ammiraglio provò per un istante a lasciarsi andare all’immaginazione. Non aveva mai visto immagini della Terra, ma non faticava a figurarsela simile a tutte le altre colonie che aveva visitato. Vedeva case e ponti e strade e grattacieli ed automobili e fattorie… e persone.
Sei miliardi di coloni Terrestri, ai quali il Protocollo Tecnico aveva stabilito toccasse l’onere di testare la Coltura 42.
Sei miliardi di coloni Terrestri, sulle cui teste da lì a poco sarebbero state scaricate tonnellate del più terribile agente virale geneticamente mutato che i tecnici della Direzione Tecnico-Scientifica avessero mai approntato.
Sei miliardi di coloni Terrestri, i cui antenati erano riusciti faticosamente ma tenacemente a sconfiggere la Coltura a cui avevano dato il nome di ‘peste’.
Sei miliardi di coloni Terrestri, il novantasette per cento dei quali sarebbe probabilmente morto da lì a poche ore.
L’Ammiraglio si sentì improvvisamente vecchio, terribilmente vecchio. Quante volte aveva pronunciato quel fatidico "procedete"? Non riusciva più nemmeno a ricordarselo.
Il maestoso globo azzurro era sempre lì, oltre la sua finestra, immutato ed apparentemente immutabile. Ma nella propria mente all’Ammiraglio pareva di udire il rimbombo di un muto, disperato ed impotente grido d’accusa.
Pochi secondi dopo, il primo dei tre missili entrò nell’atmosfera terrestre.

Fabrizio Claudio Marcon

Commenta

Nel caso ti siano sfuggiti