"Non hai veramente capito qualcosa fino a che non sei in grado di spiegarla a tua nonna" Albert Einsten
Nel suo ultimo libro On Writing Stephen King si cimenta nel dare oculati consigli agli aspiranti scrittori, dall’alto della fama e dell’esperienza di chi regolarmente sforna un libro nuovo ogni anno, battendo ogni record di pubblicazioni. Le sue indicazioni oltre che chiare, risultano molto utili per chi si cimenta con la scrittura, gialla e non.
Nella prefazione di questo suo libro onestamente King afferma che "in genere i romanzieri non capiscono molto di quel che fanno, non sanno perchè funziona quando va bene, e per contro non sanno perchè non funziona quando va male." E’ abbastanza vero, nel senso che scrivere è una sorta di alchimia, che si produce in determinate condizioni, e che non sempre si è in grado di replicare con i medesimi risultati ogni volta che lo si voglia, ma in ogni caso i consigli qui riprodotti risultano a volte davvero illuminanti, forse perchè come sosteneva Einsten "non hai capito veramente una cosa fino a che non sei in grado di spiegarla a tua nonna", ed il pregio di questo piccolo corso di scrittura sta proprio nella semplicità di comunicazione e nelle esemplificazioni che rendono questo testo un manuale davvero prezioso.Edito dalla Sperling & Kupfer, On Writing è un testo che non dovrebbe mancare negli scaffali di ogni aspirante scrittore.
Uno dei primi consigli che King ci fornisce è quello di non presentare compiutamente il personaggio vizi e virtù comprese, ma di far filtrare le sue caratteristiche attraverso un dialogo ben costruito che ce ne sveli a poco le fattezze.
Da qui scaturisce l’importanza del dialogo che deve assolutamente essere reale, senza suonare artificioso ed artefatto, alcuni dei migliori autori sono caduti su questa specialità, magari senza che il lettore medio se ne avvedesse, ed hanno sempre limitato al minimo i loro dialoghi proprio perchè "deboli" su questa particolare branca della scrittura. Si calcola per esempio che Lovecraft, autore davvero geniale per quanto riguarda la narrazione del macabro, dedicò dei milioni di parole che scrisse, solamente cinquemila alla stesura dei dialoghi, ma anche questa è un’arte, scrivere un romanzo riducendo i dialoghi diretti al minimo indispensabile.
Secondo King i dialoghi artefatti, ampollosi, privi di vita e artificiali, sono indici di una scarsa socialità dell’autore, e della sua poca abitudine ai contatti interpersonali, infatti uno dei consigli che ci fornisce è quello di tacere e di ascoltare: i dialoghi carpiti alla realtà, ovunque noi siamo, sul treno, sulla metropolitana, al bar, in ufficio, sono esempi perfetti di quel che dovremmo poi riprodurre su carta.
Si distinguono infatti i soggetti predisposti alla riproduzione di un buon dialogo tra coloro che sanno ascoltare, cogliendo accenti, ritmi, slang, inflessioni, pause e interezioni dalla realtà, e che riescono a rendere un dialogo vivo e frizzante, e coloro che non sono avvezzi ad ascoltare, e che continueranno a riprodurre dialoghi che pur funzionando sembreranno scritti in una lingua straniera, stentati, artefatti, costruiti, in una parola falsi.
Un altro errore in cui si cade facilmente nella riproduzione della lingua parlata è viceversa l’ampollosità, la ridondanza, le infarciture morali, il ricorso a frasi fatte e clichè strabusati, si corre insomma il rischio di presentare invece di un dialogo brillante, una pomposa retorica, fino al punto che spesso si ha l’impressione di assistere a un soliloquio piuttosto che un colloquio, in poche parole l’autore si lascia prendere la mano e scrive in un linguaggio da film, esagerando i toni e calcando le parole, ottenendo un effetto sgradevolissimo ed altisonante.
Un buon dialogo deve essere come una partita di tennis, un botta e risposta, e ci deve dare in poche righe l’idea precisa di una situazione, i caratteri dei personaggi, la loro collocazione, il loro ambiente, perfino le loro idee politiche, o le loro inclinazioni.
Ulteriore riflessione è da porsi sul punto che il dialogo è in realtà solo una riproduzione della vita quotidiana, e solo una certa idea della vita, quella che noi abbiamo, se decidiamo di far parlare un musicista, o un attore hollywoodiano, lo faremo parlare come noi riteniamo che parli, e se riproduciamo un mondo che non ci appartiene, è sempre come noi riteniamo che sia, non come esso è veramente, per cui in ogni modo nella scrittura, qualcosa di artefatto c’è sempre, l’importante è che il tutto suoni convincente, e che funzioni.
Per ottenere che il nostro dialogo abbia le risonanze e il realismo che noi desideriamo, bisogna che il personaggio parli liberamente così come ci si aspetta che faccia, in breve saprete come esprimervi se conoscete bene il vostro personaggio, per cui iniziate a riprodurre realtà di cui siete consapevoli, che vi sono vicine, il resto verrà con l’esperienza, perchè, come dice King, in un libro si deve dire la verità su come la gente parla e si comporta attraverso lo strumento di una storia inventata. E’ una specie di patto con il lettore: è una storia finta, ma deve sembrare vera, il trucco è tutto qui.
Ci sono poi come in tutte le discipline artistiche, i talenti veramente ispirati, e quelli che invece apprendono le abilità con l’esperienza, c’è l’arte di chi sa mettere a frutto la sua immaginazione creativa con splendidi risultati, e c’è la disciplina di chi acquisisce questo dono dopo anni di esperienza, come un’abilità, ma non v’è dubbio alcuno: è un’arte che si può imparare.
Naturalmente ci sono circostanze in cui essere veritieri, o riprodurre troppo fedelmente certi slang, o linguaggi, caratteristici di un determinato ambiente, attirerà le ire della critica, e della cosiddetta società benpensante, ma come dice giustamente King, se narrate di storie appartenenti alla classe lavoratrice, di fabbriche, di ghetti, di metropoli, di contadini, di operai, non è auspicabile che il vostro personaggio parli come un professore universitario, perchè non sarebbe veritiero, nè giustificabile.
Quanto alla critica, come diceva Oscar Wilde, non esistono libri buoni o libri cattivi, esistono solo libri scritti bene o scritti male, e infatti il solo scopo del vostro lavoro è che tutto sia orecchiabile, e che suoni come veritiero e possibile, potete raccontare quel che volete e con le parole che volete, purchè siate convincenti ed abbiate in pugno il lettore.
Per inciso, riguardo la critica, si calcola che così come ci sono più lettori che scrittori, alla stessa stregua tra gli uomini di penna ci sono più critici che autori, il mondo letterario è popolatissimo di aspiranti censori, che sotto sotto mirano tutti alla stessa cosa: " vogliono che vediate il mondo come lo vedono loro… o che almeno teniate la bocca chiusa su quello che vedete voi e che se ne discosta".
Il consiglio di King è: " Il vero interrogativo non ha niente a che vedere con il sacro e il profano che mettete in bocca ai personaggi della vostra storia; il solo interrogativo è come suona sulla pagina e all’orecchio. Se volete che suoni sincero, dovete parlare in prima persona. Ancora più importante, dovete chiudere la bocca ed ascoltare gli altri."
I consigli di Stephen King
Sabina Marchesi