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Solidali con Padre Paolo Turturro

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Solidali con Padre Paolo Turturro:
insieme per la giustizia, per vincere ogni mafia!

"Dicono gli empi:
Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni;
ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze […].
Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti,
per conoscere la mitezza del suo carattere e saggiare la sua rassegnazione.
Condanniamolo a una morte infame,
perché secondo le sue parole il soccorso gli verrà"
(Dal libro della Sapienza, 2,12.17.20)

Chiedo ancora una volta scusa ai nostri lettori, ma anche in questo numero intendo scostarmi dai grandi temi di diritto internazionale che mi sono propri, per proporre delle riflessioni che, comunque, riguardano il nostro stato di diritto (se l’Italia può così definirsi), i nostri diritti (e, in special modo, quel diritto alla difesa e quella presunzione di innocenza che sono pilastri del nostro ordinamento) e alcuni personaggi che dedicano la loro esistenza ad affermare tutto ciò.
In particolare, vorrei presentarvi la figura di padre Paolo Turturro, che ho avuto l’onore ed il piacere di conoscere personalmente l’anno scorso in Sicilia.
Padre Paolo Turturro nasce a Giovinazzo (Bari) il 18 marzo 1946 e, ordinato sacerdote nel 1978, parte come missionario in Costa d’Avorio e Togo (Africa occidentale); nel 1983 arriva nella sua nuova terra di missione, la Sicilia, a Palermo, prima nel quartiere dello ZEN, la famigerata Zona Espansione Nord, poi a Borgo Vecchio, in quella parrocchia di S. Lucia posta all’ombra delle mura dell’Ucciardone, il carcere cittadino, di cui padre Paolo diviene, per qualche tempo, pure cappellano.
Se un prete parla di pace e amore dal suo altare, non fa notizia; se, invece, chiama a bruciare le armi giocattolo in piazza, fa scandalo! Se si occupa delle vecchiette della parrocchia, tutto normale; se invita i bambini a consegnare le bustine di droga di cui sono corrieri, rischia! Se si limita a "tre pater e un gloria", ben per lui; se attacca senza remore politici corrotti e mafiosi locali facendone nomi e cognomi, allora no! E allora, qualche sparo di avvertimento, una bomba sotto la macchina, la scorta…
Negli ultimi vent’anni, le cronache italiane hanno parlato spesso della Sicilia, solitamente per fatti di mafia, omicidi, attentati, arresti, processi eccellenti, pentiti che accusano e ritrattano, politici conniventi e collusi; raramente si parla di coloro che lottano per instaurare uno stato di diritto là dove governa un anti-stato, di coloro che credono nella giustizia, umana e divina, e per questo lavorano in silenzio ogni giorno, di coloro che combattono la mafia, compiendo il loro dovere o assolvendo alla propria missione.
Raramente se ne parla, a meno che uno di questi servitori non diventi a sua volta vittima di quello stesso nemico, invisibile ma reale, potentissimo ma battibile, vigliacco e spregevole, che è il sistema mafioso: così è stato per i magistrati-simbolo, Falcone e Borsellino tra tutti, per quei poliziotti che eroicamente hanno servito sino all’ultimo il proprio Paese e le sue leggi, per quei sacerdoti che, come don Puglisi, sono diventati i nuovi martiri.
Ma ora le cose sono cambiate: leggendo i giornali e ascoltando i notiziari in tv pare che la mafia non esista più, o non faccia più notizia, o sia stata vinta definitivamente, o… sia divenuta ancora più forte e capace di una totale mimesi con l’ambiente che la ospita (la Sicilia, l’Italia, il mondo intero). E per questo, non ci si può più permettere di macchiare le strade di sangue, non si può richiamare l’attenzione dell’Italia su questo fenomeno di "costume", non si devono creare nuovi martiri da proporre a modello alle giovani generazioni, ma bisogna distruggere gli eroi dell’anti-mafia con ogni mezzo a propria disposizione, primo fra tutti quello dell’infamia e della vergogna.
Come recita il capitolo 2 del libro della Sapienza "Dicono gli empi: – Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze […]", anche cosa nostra ha scelto questa via, più facile, più sicura, più vicina alla cultura mafiosa: non uccidiamo l’uomo, distruggiamo ciò che rappresenta!
E così sta accadendo, purtroppo, con padre Paolo. Cosa?
Riporto quanto scrive la Repubblica di giovedì 18 settembre, ma potrei prendere un qualsiasi altro quotidiano nazionale o locale: «Palermo, prete antimafia accusato di pedofilia. Don Paolo Turturro parroco della chiesa di Santa Lucia obbligato dal gip a lasciare il capoluogo siciliano. Alla base dell’indagine la testimonianza di due bambini. Il sacerdote: "Sono sereno perché so di essere innocente". PALERMO – Per i giudici potrebbe inquinare le prove o reiterare il reato e per questo don Paolo Turturro, prete antimafia della chiesa Santa Lucia, dovrà lasciare la città di Palermo. Reati pesanti, accuse di pedofilia per il sacerdote di Borgo Vecchio noto per aver fatto un falò con le armi giocattolo che i suoi piccoli parrocchiani gli avevano consegnato e da sempre in prima fila nella lotta contro la mafia. Ad accusarlo due bambini che avrebbero riferito ai magistrati di essere stati oggetto di molestie sessuali da parte di don Paolo. La decisione del gip, ovvero il divieto di dimora a Palermo, arriva dopo due anni di indagini. L’accusa nei confronti del parroco si basa sulle testimonianze dei due ragazzini raccolte in seguito alla denuncia presentata dai loro genitori. Le indagini sono state avviate dopo che uno dei due bimbi aveva raccontato alla sua insegnante delle scuole elementari di essere stato baciato in bocca da un sacerdote. Successivamente è stato ascoltato anche l’altro bambino, che aveva riferito alla madre di avere subito violenze sessuali. Gli investigatori della polizia nei mesi scorsi hanno interrogato decine di ragazzi del quartiere Borgo Vecchio, alla presenza di assistenti sociali e del sostituto procuratore Alessia Sinatra, che coordina l’inchiesta. Anche loro avrebbero confermato di essere stati oggetto di attenzioni particolari da parte del sacerdote, sostenendo che in alcuni casi sarebbero stati pure picchiati. Ma lo stesso pubblico ministero non ha ravvisato la necessità dell’arresto per don Paolo. "Abbiamo ravvisato che non c’erano le esigenze della custodia cautelare in carcere per don Turturro, e per questo motivo è stato deciso di chiedere al gip una misura alternativa che è quella del divieto di soggiorno a Palermo e provincia". Il prete, gli occhi rossi di pianto, ha parlato con i suoi fedeli prima di trasferirsi nel messinese: "Sono sereno perché so di non aver commesso ciò di cui mi si accusa ed affronto questo calvario mettendomi nelle mani del buon Dio". I parrocchiani sono tutti con lui. E quando la notizia giunge nel quartiere, i commenti sono unanimi: "Non è possibile, è una sciocchezza", "non crediamo alle accuse"».
Ma ciò non fa giustizia di un uomo che sta dando la vita per offrire una speranza di riscossa a molti, bambini, giovani e adulti, che non ne avrebbero alcuna, di un uomo che è riuscito a coinvolgere nel suo sogno, nei suoi progetti, nelle sue realizzazioni, persone di età, nazioni, estrazioni sociali e culturali, religioni e lingue diverse, di un pastore che ha saputo vivere pienamente il Vangelo di nostro Signore incarnandolo e facendosene testimone nel quotidiano, con tutti, me compreso!
E allora ecco la risposta di chi conosce padre Paolo, di chi non crede alle accuse infamanti mosse ad arte dalle cosche, di chi, comunque, continua ad avere piena fiducia nella magistratura che farà luce sulla questione facendo trionfare la giustizia e permettendo a padre Paolo di tornare tra i suoi fedeli.
«In solidarietà a Paolo Turturro (di Marco Ronconi)
Noi, semplicemente, non ci crediamo. Di più, purtroppo, non si riesce a dire. È uno di quei casi in cui si avverte l’impotenza. E la rabbia cresce. Perché la situazione di padre Turturro, da qualunque punto di vista la si osservi, è perfetta. Perfetta. Perfetta. Perfetta, per creare impotenza e paralisi.
Provate a dire qualcosa, una qualsiasi. Provate a scegliere un titolo qualsiasi fra quelli apparsi sulle news. Ad esempio: "prete accusato di pedofilia".
È perfetto. Per un dibattito che non c’entra nulla. Ma sì, certo, sta per iniziare la stagione: facciamo un Porta a Porta sulla pedofilia nella chiesa in cui chiamare un prelato – meglio se affidabile – a difendere la causa in un dibattito a più voci con una pornostar, un parassita televisivo che ha fatto il chierichetto da piccolo e un deputato quaqquaraqqua qualsiasi, meglio se inesperto di tutto, affiancato dal collegamento con uno psicologo qualificato, che dia un tono al tutto, e che diamine.
E padre Paolo?
Ce lo si perde.
Aspettate, ricominciamo. Cambiamo titolo. Questo forse è meglio: "magistrato accusa prete".
Ancora la magistratura? Ma sì, dai, colleghiamoci con il ciccione dal sigaro in bocca e facciamoci fare una lezione di liberalismo o di giustizialismo, dipende da cosa suggerisce l’aria che tira, tanto va di moda il giornalismo estetico: la forma della discussione e il profondersi del passionale stanno evidentemente prima del fatto, della storia precedente e – figuriamoci! – anche delle conclusioni. Insceniamo quindi una bella lite sul potere della magistratura in Italia, con bei riferimenti al periodo in cui comandavano i comunisti – in Bulgaria? In Romania? – o, se in studio c’è almeno un professore universitario, ripensiamo alla questione romana di risorgimentale memoria. O, aspettate, un colpo di genio: in studio il cardinal Giordano, come testimone di "prelato accusato", così la frittata è completa.
E padre Paolo? Accidenti, ce lo siamo persi ancora. Non è possibile…
Facciamo un ultimo tentativo. Com’era il titolo? Ah, già: "prete antimafia accusato di pedofilia".
La mafia? Ma se non esiste più! L’attuale presidente del consiglio ha dichiarato che è un problema risolto al 90%. Beh, certo, passare da stalliere a ministro o più, effettivamente è un grosso passo avanti. Non è ancora il massimo, ma stiamo lavorando, anzi, la cosa è in mano alla Maurizio Costanzo communications. Dai, sì, facciamo qualcosa di alternativo: una bella celebrazione in memoria delle vittime di mafia a cui però chiamare anche qualcuno che ricordi come pure le vittime delle foibe sono importanti, perché la DC connivente in realtà era un’invenzione dei comunisti e perché la cultura clientelare non è più una necessità di cui vergognarsi, ma una medaglia di cui vantarsi…
E padre Paolo? Ce lo siamo persi di nuovo.
Non c’è niente da fare: è una situazione perfetta.
Padre Paolo è in quel di Messina. I suoi ragazzi sono rimasti a Palermo. La chiesa per cui ha dato la vita gli è stata tolta. Padre Paolo è solo. Potevano ucciderlo. Hanno fatto di meglio. Lo hanno messo in un angolo. Non solo gli hanno levato la parola, ma lo hanno pure isolato da ogni parola. Provate a parlare di lui: dopo pochissimo, sparirà dal discorso.
Verrebbe da urlare. Ma padre Paolo è di quelli che hanno testimoniato e testimoniano la necessità di articolare sempre le parole, anche quando le lacrime sono copiose come oggi.
Verrebbe da imprecare contro quei magistrati. Ma padre Paolo è di quelli che hanno insegnato e insegnano che è tramite le istituzioni che si vince la mafia, anche quando ci si sente ingiustamente accusati. Tra l’altro, la cautela che si legge sui giornali e il provvedimento adottato in luogo dell’arresto, lascia intendere che sia la moderazione a guidare le mani di questi uomini dello Stato, almeno speriamo.
Verrebbe da imprecare contro la sorte. Ma padre Paolo è di quelli che hanno sempre creduto e credono nella Provvidenza, nel Piano di Dio. Anche oggi, lo ha detto.
Verrebbe da andare in Curia e sollevare per il bavero alcuni dei nostri "servitori" – è la traduzione letterale di "ministri" – e supplicarli di fare qualcosa per questa chiesa che sta franando, che tollera mercanti e farisei nel Tempio e diventa sempre meno capace di una parola di consolazione per i più piccoli. Con qualcuno di essi verrebbe anche voglia di lasciarsi trascinare dalla foga e cacciarlo per le strade, a fare il suo dovere di pastore, o rispedirlo davanti al Santissimo, a fare il suo dovere di sacerdote. Ma padre Paolo è uno che ha sempre predicato, celebrato e rappresentato questa chiesa. Fieramente.
Verrebbe da irrompergli davanti, sfidare il suo caratteraccio sperando in un sorriso, e chiedere a lui che sta succedendo. Ma padre Paolo è da un’altra parte. E non per sua volontà.
Verrebbe voglia di piangere. Da qui, lo facciamo. Sperando che queste parole e queste lacrime possano raggiungere padre Paolo e dirgli che per ora, non sappiamo fare di meglio che essergli vicino e, almeno fino a quando non ci verrà mostrato il contrario, rifiutare di credere alla notizia. Noi, non ci crediamo. E in ogni caso, ci vanteremo di essere suoi amici. E continuiamo a fare, nelle nostre povertà e con i nostri limiti, il nostro mestiere. Aspettando di tornare a dialogare, progettare, litigare, faticare e sorridere con quel prete della chiesa cristiana, uomo impegnato contro la mafia, a favore del nostro bel paese
». [Fonte: www.namaste-ostiglia.it]
Non voglio emettere io sentenze di assoluzione, non sono un giudice, e nemmeno ergermi a difensore d’ufficio di chi non ha bisogno di difese, desidero solo portare una testimonianza, personale, gratuita, libera: padre Paolo è un vero modello, uno di quei grandi santi dei piccoli gesti quotidiani che, invisibili, seminano amore intorno e provocano conversioni dei cuori; uomo di buona volontà ed enorme fede che vive il messaggio cristiano e lo rende vivo ogni giorno.
E in queste sere le mie preghiere sono e saranno per lui!

Davide Caocci

"[…] il rischio è sapere.
Occorre uccidere davvero chi sa.
Chi sa è la mina che potrebbe fare disintegrare cosa nostra.
Giovanni Falcone sapeva. Altri sanno.
Devono per forza ucciderli o essere eliminati"
(Padre Paolo Turturro, Una carezza di Dio)

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