(Burning Heart, 2003)
Ai più il nome Turbonegro non dirà nulla. Sebbene circondato da un alone quasi mistico, sostenuto da un fandom vasto ed accanito ai quattro angoli del pianeta ed iniziatore di un intera scena musicale poi vitalissima, il quintetto norvegese è sempre rimasto una realtà underground; e, a dispetto dell’appeal che certi loro pezzi potrebbero forse vantare anche nei grandi circuiti, tale rimarrà, a meno di improbabili sconvolgimenti che dovessero portare qualche major a puntare tutto sul loro rock sporco e stradaiolo. Forse è un bene. C’è una certa soddisfazione nell’ascoltare musica che pochi conoscono, lasciando alle grandi masse ampio agio di placare i propri bollenti spiriti con il più banale rock da classifica…
Turbonegro è sinonimo di un’esplosiva mistura composta di street rock, punk, e glam. Immagine oltraggiosa (un trionfo del jeans e della pelle nera, unito ad un look a mezza strada fra una banda di motociclisti ed i New York Dolls), lyrics esplicite (qui sfilano fra le altre una Fuck The World (F.T.W.), una Wipe It ‘till It Bleeds ed una Drenched In Blood (D.I.B.), tanto per gradire…), ma soprattutto un impatto strumentale ruvido benché non rozzo ed un certo gusto obliquo per la melodia. Sebbene fautori di un suono saturo e di un rock essenziale ed adrenalinico, i Turbonegro non lesinano infatti ritornelli a presa rapida e passaggi di considerevole perizia stilistica.
Scioltisi poco prima che l’intera scena a cui avevano dato vita esplodesse, proiettando nello stardom del rock band quali Hellacopters, Gluecifer ed Hardcore Superstar, i Turbonegro erano stati omaggiati di un tribute album di ottima fattura, ma proprio in occasione di quell’operazione avevano smentito di volersi riunire, dichiarandosi sostanzialmente fieri di essersi chiamati fuori prima che il lato commerciale del fenomeno prendesse il sopravvento. A quanto pare, tale dichiarazione d’intenti non è stata presa troppo sul serio… per fortuna dei fan che ora si ritrovano fra le mani questo Scandinavian Leather: un album che si ascolta tutto d’un fiato, spesso ritrovandosi a battere il tempo con il piede o producendosi in un più o meno scatenato sing-along. Chi ha solo voglia di un po’ di sano rock & roll, senza troppe complicazioni, qui troverà pane per i suoi denti… e magari si ritroverà a canticchiare Turbonegro Must Be Destroyed senza però volere che il minaccioso anatema si tramuti in realtà.
Turbonegro: Scandinavian Leather
Fabrizio Claudio Marcon