Ho paura.
Ho gli occhi chiusi e ho paura. Ho paura di aprirli e di non sapere cosa posso vedere. O forse so cosa sto per vedere, ma ho ugualmente paura perché quello che vedrei mi terrorizzerebbe.
Mi faccio coraggio e un po’ alla volta lascio che le palpebre si schiudano. Vedo molta gente intorno a me, ma nessuno vicino a me.
Un po’ alla volta ripercorro con la mente gli ultimi giorni. Sempre la stessa scena che mi perseguita e che non mi lascia tranquillo.
Mi vedo che entro in un locale, probabilmente un ristorante, un bel ristorante, di quelli con almeno due paia di posate e due calici davanti al piatto, uno grande per l’acqua ed uno più piccolo, presumibilmente, per il vino. Entro e subito un tizio con un finto sorriso e un abbigliamento da pinguino ingessato mi si avvicina e mi chiede cosa quanti siamo. Io mi guardo intorno impaurito e perplesso: non ho mai sofferto di sdoppiamento della personalità, ma finirò per farlo se mi chiederanno ancora quanti siamo, seppure intorno a me non ci sia nessuno. Potrei iniziare ad usare il plurale majestatis, o addirittura un ‘Loro’ che fa sempre una bella scena e crea un gran casino… ma non vedono che sono solo? Comunque glielo faccio gentilmente e con tutta la cortesia, che ha già raggiunto livelli da riserva spinta, notare.
Mi invitano, dopo aver sbirciato alle mie spalle ed essersi accertati che realmente sono solo, a seguirli e mi fanno accomodare in un angolo, con le spalle contro il muro e la sedia incastrata tra un tavolo che peserà una tonnellata e un’altra parete. Nei film ambientati nel medioevo c’è sempre qualcosa o qualcuno negli angoli delle lussuose e lussuriose sale da pranzo: un cane, un servo, uno sguattero. Poco male. Io non mi formalizzo e inizio a leggere il menù.
Scelgo qualcosa di strano o che non ho mai assaggiato e che sicuramente sbaglierò a pronunciare. Frattanto il pesce con le ali e le zampe vestito di nero e bianco mi porta un paio di panini, che non toccherò per non dargli la soddisfazione di credere di aver salvato la mia vita affamata.
Ogni tanto getta uno sguardo nella mia direzione per vedere forse se ho terminato di degustare la portata che mi aveva in precedenza servito o forse per invitarmi a sbrigarmi e a liberare il tavolo che qualche altra persona vuole sedersi. Magari non un povero eremita solitario come me, ma una coppietta che vuole un po’ di intimità per potersi guardare prolungatamente negli occhi durante la cena, invece di fare come me che con lo sguardo cerco, scruto e osservo tutto ciò che avviene al di fuori del mio piatto: d’altra parte la rapidità nel mangiare è una qualità / difetto che si impara con anni di frequentazione di mense universitarie e aziendali.
Ad ogni portata mi chiede se tutto va bene, ma in genere è già scomparso prima che io abbia terminato di comprendere quello che mi ha chiesto. Quasi quasi inizio a parlare da solo, tanto per avere qualcuno per fare conversazione e magari anche una discussione accesa, dai toni duri e i modi bruschi: sicuramente non sarei guardato dagli altri avventori del locale in modo meno pietoso. Con sospetto e con diffidenza gettano occhiate verso di me, ma la cosa mi è indifferente perché io la rigetto a loro e alla fine sono io che vinco perché non ho nulla da perdere.
Distrattamente ed obbligatoriamente ascolto i discorsi di quelli che mi stanno vicino. Non lo faccio per curiosità o per invadenza, ma solo perché nel silenzio una voce è sempre più alta di un’altra e tutte sono più alte del mio mutismo. Sento quindi il cinquantenne attempato che tenta in tutti i modi di mostrarsi interessante e brillante con un’altrettanto attempata signora, le racconta la sua via avventurosa e i suoi successi lavorativi. Lei ascolta interessata, ma con un’aria di superiorità che traspare dai suoi gesti e dai suoi sguardi. Non vuole pendere dalle sue labbra, ma questa potrebbe essere un’interessante occasione, non l’ultima, ma una delle ultime, per modificare il corso della sua vita. Mi sorprendo perplesso a rivalutare quello che avevo erroneamente supposto: non è una coppia consolidata di coniugi o di vecchi amici, ma l’incontro di due persone che non si conoscono e allora fantastico sugli incontri scopo matrimonio organizzati dalle agenzie che pullulano sempre più sul globo. Poco male, ognuno è libero di ricorrere a chi vuole pur di essere felice.
Nel tavolo accanto si nutre voracemente un’altra coppia. Anche questi sono troppo in confidenza e troppo entusiasti per essere una coppia ‘legale’: il martedì è il giorno delle cene di lavoro e quale migliore scusa di questa per un incontro con l’amante? Il pasto è consumato velocemente perché ciò che interessa è il dopo… mi fa un po’ tristezza pensare i sotterfugi a cui gli amanti ricorrono per potersi amare e dimenticare per qualche attimo la famiglia, il consorte, i figli. Sono sicuro che il loro incontro terminerà in un sordido parcheggio di periferia dove lei scenderà dalla macchina di lui e salirà su un’utilitaria per ritornare a casa, ove forse il marito non è ancora rientrato…
Arrivo celermente al dolce che assolutamente non disdegno. Mi faccio portare il conto e pago non lasciando alcuna mancia. Esco dal locale e ci ripenso: magari avrei potuto lasciare qualche Euro, in fondo il pinguino non è stato poi così crudele, forse sono stato io che l’ho visto così poiché non sono dell’umore giusto per essere gentile e generoso con gli altri, forse domani mi comporterò diversamente…
Mi incammino per il centro storico di questa città che non conosco che non è mia e che non riesco a vivere neppure con la curiosità e lo stupore di un turista. Intorno a me coppiette, famigliole, gruppi di amici che ridono e scherzano e già sento la mancanza del cameriere con il quale almeno potevo scambiare qualche rapida parola. Guardo le vetrine, ma non le vedo; guardo le persone che passano, ma no le vedo. Davanti ai miei occhi si materializzano tutti quei fantasmi che ero riuscito, o almeno credevo di esservi riuscito, a scacciare dalla mia mente.
Sono stanco. Sono abbacchiato. Vorrei tornare nella mia camera, ma ciò significherebbe lanciare a briglie sciolte la mia mente e la mia memoria, libera di modificare e ritoccare i ricordi per renderli più dolci e per farmi illudere che il futuro potrebbe essere roseo. No, continuo a girovagare senza meta. Ogni tre minuti guardo il cellulare implorando perché squilli, così avrei qualcuno con cui scambiare qualche parola. Inizio a scorrere la rubrica telefonica e a mandare messaggi a tutti quelli che potrebbero rispondermi. SMS inutili, privi di un reale significato ma che potrebbero rappresentare un reale legame con la vita, con la mia vita. Sono in pochi a rispondere e pochi a iniziare uno scambio di battute, un po’ ermetiche, un po’ filosofiche, un po’ richiesta di conforto.
Un’altra ora è passata e abbandono anche il posticino tranquillo e panoramico su cui avevo dato sfogo alla mia creatività poetica.
Vorrei andare in qualche locale, ma sono ancora tutti semivuoti e poi cosa ci andrei a fare da solo in mezzo alla gente? Non sono il tipo che fa conoscenza facilmente.
Rientro in albergo e gelidamente il portiere, che probabilmente avrebbe preferito veder entrare una sventola da paura, verso cui non avrebbe finto di mostrarsi servizievole, mi chiede se voglio puntare la sveglia per il mattino dopo. È da anni che non mi serve più e che tutte le mattine suona mentre sono già in piedi, ma non voglio correre rischi: il letto inusuale, l’aria diversa, la digestione un po’ più lenta e chiedo di essere svegliato alle sette. Ho nove ore per dormire.
Mi infilo sotto le coperte, ma non prendo sonno. Accendo il televisore e inizio un frenetico e infruttuoso zapping alla ricerca di chissà che cosa. Spengo il televisore e inizio a rigirarmi nel letto. Ho sete. Dal frigobar prendo una bibita e la scolo con avidità: sicuramente è piena di caffeina poiché mi sveglio ancora di più e inizio a sudare. Inizio a leggere qualcosa ma la mia mente è lontana mille miglia, tanti chilometri e diversi anni. Mi rassegno alla mia condizione, chiudo gli occhi e lascio che i miei ricordi corrano dove vogliono. Amori persi, amori rifiutati, amori non avuti. Tutte le sere mi danzano davanti agli occhi e mi dicono quanto diversa sarebbe stata la mia vita se solo fossi stato diverso, se solo avessi accettato qualcosa di diverso da me, se solo avessi accettato me stesso.
Mi giro dall’altra parte e dagli occhi mi esce una lacrima: quanto vorrei avere qualcuno a cui augurare la buonanotte!
Spalla
Ho paura