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La Revisione – Un passo avanti sulla strada della perfezione

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La Revisione
Un Passo Avanti Sulla Strada Della Perfezione

Abbiamo già visto che Stephen King, Il Re del Brivido sostiene l’inesistenza della trama in un romanzo. Per lui esistono tre livelli di narrazione: le descrizioni, il dialogo e l’azione. E tanto basta per far muovere una storia. In effetti se i protagonisti sono ben tratteggiati, se il contesto in cui li abbiamo inseriti è convincente e l’atmosfera creata è quella giusta, se l’azione con cui facciamo progredire gli eventi è credibile, la trama, in quanto tale, come canovaccio preordinato non ha motivo di esistere. La storia si snoderà da sè e i personaggi sembreranno muoversi autonomamente, come se godessero di vita propria.

A ciascuno di noi d’altro canto sarà già capitato più volte di trovarsi a NON rispettare suo malgrado l’intreccio inizialmente stabilito. Questo perchè in effetti la storia a un certo punto tende a staccarsi dalla penna, per così dire, ed acquisisce una sua propria volontà, contro cui nulla possiamo, e contro la quale non è mai consigliabile opporsi. E’ come se fossimo alla guida dellla BatMobile, lei sa la strada, a noi come scrittori compete solo di tenere l’autovettura entro le strisce bianca della carreggiata, senza domandarci dove stiamo andando.

Per cui sia che noi si appartenga alla specie di scrittori che scrivono sotto ispirazione medianica, sia che ci si annoveri tra le schiere dei rigorosi ordinati costruttori di trame con canovacci preparati dettagliatamente, potrà comunque capitarci che la narrazione si distacchi in brevi o lunghi voli pindarici in un suo percorso autonomo e non precostituito. Si chiama per l’appunto ispirazione, proprio perchè a un tratto, ci ispira di più che la protagonista faccia o dica qualcosa di inconsueto o di imprevisto in un dato momento della storia. Ma dev’essere qualcosa di coerente.

In questi casi è bene lasciar correre la penna, ma diventa poi molto più importante, a posteriori, essere in grado di compiere una competente opera di revisione che vale da sola almeno il 35% di un buon successo. Come vi potrà confermare chiunque che per mestiere faccia il lettore di testi esordienti, nella stragrande maggioranza dei casi i lavori presentati sono intuitivi, geniali, validi e stimolanti, ma inciampano penosamente proprio sul doloroso scalino della revisione. Una revisione mal fatta, o peggio mai effettuata, basta ampiamente a decidere le sorti di un romanzo, e ad instradarlo impietosamente verso la strada del cestino. Da dove, come chiunque sa, non è più possibile uscire, una volta che vi si è affondati.

Javer Marias, l’autore di Un Cuore Così Bianco, tradotto in ventisei lingue e pubblicato in trenta Paesi, vincitore di ben tre premi prestigiosi, tra cui il Premio della Critica del 1993, sostiene che lui naviga ad occhio, senza prima tracciare una rotta, veleggiando bussola alla mano, più o meno nella direzione desiderata, ma senza attenersi rigidamente a canoni o circuiti precostituiti, sentendosi libero di improvvisare e di inventare, che è poi il cuore pulsante del lavoro VERO di uno scrittore, tutto il resto è solo tecnica. Ed esperienza.

L’unica cosa che Marias afferma di non concedersi MAI è di tornare indietro a modificare ciò che è stato detto o fatto. Quel che i suoi personaggi compiono sulla carta, diventa un fatto ineluttabile, una realtà precostituita da cui egli non si permette di discostarsi. In questo modo quella che lui va rivivere è una vera realtà NON modificabile. Il fatto di non sapere cosa accadrà e di non avere idea di dove si vuole arrivare o tentare di dimostrare, concede allo scrittore di mantenere intatto il gusto dell’avventura, la curiosità del vivere, il divertimento dello scrivere, e al tempo stesso conferisce alla narrazione quel tono inconfondibile di vericidità che gli avvenimenti reali sempre hanno proprio perchè NON prevedibili, NON anticipabili e NON modificabili.

Afferma Marias: "Ho scoperto, ma solo dopo averlo terminato, che Corazon Tam Blanco parlava del segreto e della sua possibile convenienza, della persuasione e dell’istigazione, del matrimonio, della responsabilità di chi ha saputo, dell’impossibilità di sapere e dell’impossibilità di ignorare, del sospetto, del parlare e del tacere."

Ora immaginate uno scrittore che invece volontariamente a tavolino decidesse di trattare proprio questo tema, e dicesse tra sè voglio scrivere un romanzo che tratti dei segreti, della convenienza del tacere, del peso del matrimonio, delle convenzioni familiari, di ciò che viene abitualmente taciuto, e ancor più convenientemente, semplicemente NON viene detto. Sarebbe sicuramente un lavoro impegnativo, e il risultato che ne uscirebbe sarebbe per buona parte paragonabile a un mixer letterario tra Guerra e Pace e I Promessi Sposi. E l’opera ottenuta sarebbe qualcosa di logorroico, pesante, ridondante, retorico, e …noioso.

Nel romanzo di Marias invece pagina pagina dopo pagina noi siamo esposti allo stupore, e assieme allo scrittore ci domandiamo " e cosa succederà adesso?". E questo stato di meraviglia perenne, di eterna interrogazione, che noi viviamo in contemporanea con lo scrittore, che anche lui non sa " cosa succederà adesso" è appunto la magia che ci tiene avvinti alle pagine, fino alla conclusione finale. Marias proprio per questo motivo non è un Deux Ex Machina, non è uno scrittore Onniscente, è solo una persona che racconta una storia, e il fatto che non sappia nemmeno lui cosa accadrà fino alla fine, lo avvicina al mondo del lettore, e lo mette in grado di meglio dialogare con lui, e di essere veramente convincente.

Sentite quello che sostiene Marias sul modo di lavorare degli altri scrittori, e rifletteteci. Quel che dichiara sarà sicuramente di conforto ai molti tra voi che si sentono dei Cantastorie, per coloro che vivono il bisogno imperioso di narrare qualcosa, senza porsi problemi sul messaggio da trasmettere, o sul tema da affrontare, per persone che insomma si sentono come le nonne di una volta che ai lati del focolare intrattenevano gli astanti con lunghe storie di fantasia, di cui nemmeno loro conoscevano la fine, almeno non prima di averla narrata.

Ecco dunque per tutti i Cantastorie, e anche per gli altri la suggestiva analisi di Marias.

" Esistono scrittori, accorti e lungimiranti, per me invidiabili, che sanno in cosa dovrà consistere la totalità della loro opera. Ne esistono altri che non arrivano a tanto ma che ugualmente invidio, poichè, riferendosi più modestamente a un solo testo, sanno, sin dall’inizio come vogliono che sia e di quale argomento tratterà. Sono scrittori che, per così dire, lavorano con una mappa, e prima di mettersi in marcia conoscono già il territorio che devono attraversare: si limitano a percorrerlo, sicuri di possedere i mezzi adeguati per riuscirvi. Le scarse occasioni in cui ne ho immaginato la traccia in anticipo ho avuto la sensazione di non essere che un mero compilatore e mi sono annoiato, cosa in cui non dovrebbe mai incorrere uno scrittore."

Capirete dunque che in condizioni come queste, le modalità di un’accorta revisione divengono particolarmente determinanti. Così come sono fondamentali per chi invece scrive non a soggetto ma a tavolino, seguendo un tracciato a suo tempo predisposto ed attenendosi alla rotta tracciata, nonostante il fatto che a volte, gli avvenimenti suggeriscano invece di derogare in alcuni punti, e di effettuare variazioni sul tema.

Quello che una revisione dovrebbe sempre far emergere sono infatti le incogruenze, i punti in cui per un motivo o per l’altro ci siamo allontanati dalla retta via, i momenti nei quali la narrazione perde il tono della verosimiglianza e della coerenza, per allontanarsi in direzioni poco credibili e tecnicamente non sostenibili.

Non dimentichiamo infatti che al di là dello stile, del tono narrativo, dei piani temporali, dei tanto temuti congiuntivi, della punteggiatura e di tutte le miriadi di specificità tecniche che comunque DEBBONO venir controllate e verificate durante il piano di revisione, la coerenza narrativa è l’unica grande meta che non dovremmo mai perdere di vista dalla pagina 1 alla pagina 750, o quello che è. Dovendo noi rappresentare una finzione narrativa, e mai è stato più calzante il termine anglosassone americanizzato Fiction, diventa estremamente importante che quanto riportato, creato e inventato, sia verosimile, possibile, realizzabile e coerente. Deve, in una parola, SEMBRARE vero.

A questo scopo la revisione deve rispettare determinate regole e parametri e rispondere alla risoluzione di precise problematiche.

Normalmente nella stesura di un racconto breve, o di un normale racconto, accade che la prima stesura avvenga praticamente di getto, anche se non in un’unica sessione, quando ci sediamo a scrivere sappiamo già quello che abbiamo in mente, perchè il nostro racconto già vive di vita propria dentro la nostra mente e il momento in cui lo mettiamo giù corrisponde nè più nè meno al parto di una creatura già perfettamente formata e a suo tempo concepita.

E’ tipico quindi che quando ci accingiamo all’opera di revisione ci si trovi di fronte a una materia grezza, totalmente da raffinare. Un diamante puro, una pietra da tagliare.

Diverso è invece il caso di un romanzo, dove tipicamente quando si stendono nuovi capitoli, capita che si rileggano sempre i tre o quattro capitoli precedenti, o magari tutta la prima metà del lavoro effettuato, per vedere se FILA, chiaro dunque che quando ci dedicheremo alla revisione la materia prima sarà meno aspra, con minori asperità ed imperfezioni, perchè già sottoposta a un meccanismo periodico di rilettura e di limatura.

Una norma da tenere presente è la famosa regola del 10%. Una revisione ben fatta ci deve portare a ridurre l’opera prima ad un volume che sia almeno del 10% in meno rispetto all’originale. Una buona opera di revisione deve sempre portare a una concreta RIDUZIONE.

Un altro canone da considerare è quello di imparare a fidarsi del lettore. Il lettore va sì condotto per mano ed accompagnato nella narrazione, ma non lo dobbiamo mica imboccare. Il nostro utente, il fruitore della nostra opera, il destinatario del nostro messaggio, chiunque egli sia, non è mai uno stupido. Facciamogli capire le cose, mostriamogli la via, ma non abusiamo della sua pazienza con ridondanze inutili e futili spiegazioni. Partiamo dal presupposto che chi ci legge SA. E quello che non sa lo intuisce. Questa è la FIDUCIA che gli dobbiamo concedere.

Una cosa importante da tenere presente è il DISTACCO. Se stiamo scrivendo di una situazione che ci è nota, magari per noi particolarmente dolorosa o che riveste fondamentale importanza in quel momento della nostra vita, una malattia, un lutto, una persona cara a cui pensiamo, un divorzio, problemi economici o ereditari, crisi scolastiche, pruriti adolescenziali, qualcosa insomma trattiamo di qualcosa che ci coinvolge da vicino potrà capitare che ci si immischi troppo nella narrazione. Che ci si intrometta senza motivo in quello che fanno i personaggi. Che l’emozione ci prenda la mano. Che in alcuni punti la storia perda di credibilità e che l’azione ceda il passo alla retorica. Via dunque tutte le ridondanze, le rifessioni filosofiche, le intromissioni, gli incisi, le frasi tra parentesi e le considerazioni troppo personali.

L’altro punto su cui spesso si inciampa, soprattutto nelle narrazioni complesse, sono i piani e le sequenze temporali. E’ ben vero che dobbiamo dosare le informazioni gradualmente e trasmettere al lettore quello che gli serve di sapere, non troppo tempo prima di quando gli occorra di saperlo, ma è altrettanto certo che spesso dobbiamo chiederci alcune cose. Ci siamo ricordati di dire al lettore che proprio quella mattina il nostro protagonista aveva messo le chiavi della macchina in un posto diverso dal solito? Abbiamo pensato a dare una spiegazione plausibile a quell’improvviso scoppio d’ira del terzo capitolo che sarà poi fondamentale per tutto l’intreccio successivo? E il primo incontro tra i due amanti si verifica in un momento adatto e fila col resto della narrazione? In breve si tratta di fare una verifica della COERENZA del tutto.

Ma come si effettua una revisione complessa ed efficace?

Innanzitutto, come già detto nell’articolo riguardante il blocco dello scrittore, dobbiamo lasciar decantare la nostra opera, distaccarcene, cercare di leggerla con l’occhio di un esterno, non con quello del creatore. Come se riuscissimo a vedere noi stessi attraverso gli occhi degli altri. Se non siamo in grado di ottenere questo non faremo altro che commuoverci davanti alle nostre grandi capacità liriche, ammirare la perfezione di un determinato paragrafo, e complimentarci con noi stessi per l’efficacia con cui abbiamo saputo rappresentare il nostro personaggio preferito. Se non arriviamo a dimenticarci di tutto questo, e ad esaminare il nostro lavoro spassionatamente, l’opera di revisione sarà nulla e servirà solo per correggere qualche stupido errore di congiuntivo.

Dunque decantare, aspettare, lavorare a freddo e non a caldo. Poi stampare su carta e rileggere in condizioni neutrali. Come un lettore qualunque rileggiamo il nostro lavoro in situazioni di assoluta normalità e non sotto una campana di vetro. Come sostiene Stephen King, si scrive a porte chiuse, segregati nel proprio studio, per chi ha la fortuna di poterlo fare, e si riscrive a porte aperte, in mezzo alla gente.

Rileggete il vostro testo sull’autobus, durante un ingorgo, mentre preparate la cena, la sera e la domenica, mezz’ora alla volta, a mozzichi e bocconi, a intervalli, distrattamente, nell’anticamera del dentista, mentre aspettiate il bambino in piscina, tra un appuntamento di lavoro e l’altro, a mensa davanti al vassoio del pranzo, la sera prima di addormentarvi.

E mentre rileggete segnate velocemente tutti gli errori che vi saltano all’occhio, intendo anche quelli banali, ripetizioni, virgole, punteggiatura, tempi sfalzati, congiuntivi sbagliati, vocaboli ripetuti, o assonanze, parole che stridono, che non convincono, passi che non spiegano abbastanza, altri che sono troppo circostanziati, gli eccessi di retorica, le ridondanze, i momenti in cui ci siamo intromessi. Insomma tutto quanto vi salti all’occhio, ma non perdeteci tempo, limitatevi a un segno, veloce a penna o a matita accanto alla parola, una croce, un visto, un asterisco, e passate oltre. Quando poi ci tornerete sarete certi di quel che dovete sistemare e vedrete con chiarezza i punti sui quali occorre intervenire.

Procedete veloci, distratti, asettici, spassionati, imparziali. Scrivete brevi note come: sistemare qui, accorciare, spiega meglio, non fila, terribile, ripetizione, assonanza, cacofonico, poco chiaro, eccessivo, poco credibile, da verificare. Questi pochi appunti basteranno poi per sistemare punto per punto e risolvere le criticità quando tornerete indietro in un secondo momento.

Terminato questo lavoro, riposatevi, prendete un altro intervallo, pensate ad altro, leggete altro soprattutto, e ripensate in retrospettiva all’effetto generale che il vostro romanzo vi ha fatto. Vi ha trascinato mentre lo leggevate? Vi ha entusiasmato? Vi ha commosso? Vi ha fatto riflettere? Vi ha convinto? Se non ha fatto nessuna di queste impressioni a voi, che ne siete i procreatori, figuratevi agli altri…

Poi verrà il momento in cui si passa al lavoro veramente duro, quello noioso, quello tecnico, indispensabile e delicatissimo. Il controllo degli errori. Come scoprirete trovarli è relativamente facile, sistemarli è naturalmente tutta un’altra cosa. Vi capiterà di dover cancellare interi passaggi. Di dover sopprimere un personaggio, o di diminuirne l’importanza. Dovrete andare avanti e indietro nel testo in tutti i punti in cui avete sostenuto una determinata cosa, e trovarvi a doverne sostenere un’altra. Avrete forse necessità di riscrivere interi brani di dialogo, di cambiare un’ambientazione, di verificare un determinato particolare tecnico attraverso approfondite ricerche su internet e sui testi specializzati. Magari scoprirete che a un certo punto della narrazione siete passati improvvisamente dal presente storico all’imperfetto, e dovrete risistemare almeno metà del vostro lavoro, riscrivendo magari il tutto in passato remoto. Forse deciderete di passare dalla prima persona alla terza. Di sostituire addirittura l’io narrante. Magari riscriverete da capo una serie di passi che non vi convincono affatto, una volta riletti. Infine passerete anche a sopprimere alcuni di quei pezzi soffusi di vibrante lirismo che tanto vi piacevano. Sarà un lavoro duro, noioso, asfissiante, esasperante, logorante e micidiale.

Un compito squisitamente operativo, da amanuense, totalmente privo di poesia e di ispirazione, ma, credete a me, assolutamente fondamentale. E in quanto tale non vi preoccupate di quanto ci metterete. Scoprirete che per legge tipicamente proporzionale e inversa, per minor tempo che avrete impiegato nella stesura, maggior tempo impiegherete nella revisione. Per paradosso vi renderete conto che magari ci avete messo tre mesi per scrivere un romanzo di seicento pagine, e che ve ne occorreranno invece almeno sei per rivedere e ristendere un BUON romanzo di cinquecento.

Ma ne varrà la pena. Prendetelo questo come un lavoro, perchè mentre scrivere è divertente e trascinante, riscrivere è fastidioso e stancante. Sarete tentai di lasciar perdere, di buttare tutto quanto al secchio o di spedirlo agli editori così com’è. Vi prego, non fate nessuna delle due cose. Perseverate e portate l’opera a compimento.

Una volta terminato, di nuovo riposatevi, sappiate attendere e non abbiate fretta. Contentatevi di aver portato a compimento un incarico impegnativo. Congratulatevi con voi stessi, concedetevi un premio, riposatevi, distraetevi, festeggiate. Fate conto di aver ottenuto un’opzione per l’acquisto del romanzo, e sappiate che in un certo senso è proprio questo che avete fatto. Attuando un valido e competente intervento di revisione avrete posto delle eccellenti basi per la vendita del vostro libro presso gli editori.

Dopodiche, a tempo debito, e saprete voi stessi quando i tempi saranno maturi, riprendetelo in mano, sempre stampato su carta, in confezione perfettamente impaginata e rilegata, come se fosse pronto ad essere spedito, e leggetelo tutto d’un fiato, senza penna, senza matita, e senza alcun tipo di riserva mentale, o di preoccupazione.

Troverete che sarà una lettura piacevole e che avrete compiuto un lavoro eccellente. Forse ci saranno ancora una o due cosine da sistemare, mimine imperfezioni, aggiustatine, minuzie, piccoli dettagli. Ma sostanzialmente l’opera è compiuta. Siete pronti per impaginare, impostare graficamente, presentare e spedire.

E poi dovrete solo aspettare a piede fermo che qualche editore vi contatti per proporvi un’opzione, e non prendetevela se comunque poi ve lo faranno riscrivere da capo, perchè il cammino che avrete intrapreso vi porterà sempre un passo più avanti sulla strada della perfezione.

Sabina Marchesi

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