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Regia: Roberto Benigni
Interpreti: Roberto Benigni, Nicoletta Braschi,
Giorgio Cantarini
Sceneggiatura: Roberto Benigni, Vincenzo Cerami
Fotografia: Tonino Delli Colli
Produzione: Elda Ferri, Gianluigi Braschi
Distribuzione: Cecchi Gori
Durata: 2h e 03′
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Che la carica di ottimismo, comunicata dal titolo dell’ultimo film di
Benigni sia augurale per tutti per il nuovo anno. Sicuramente lo è per l’attore Toscano, che con questa sua ultima creatura, di cui è produttore, regista e interprete, è riuscito a conquistare tutti, anche quella piccola fetta di pubblico che lo aveva finora disdegnato a causa dei suoi atteggiamenti farseschi e troppo dissacranti. Scritto a quattro mani con il suo collaboratore di sempre, Vincenzo Cerami, prende spunto dalla storia nazista per dimostrare l’ipotesi che la vita è bella e vale la pena di essere vissuta nonostante tutto, in un momento storico, il nostro, pieno di tristi verità e di brutture.
La pellicola racconta come gli orrori della follia nazista dei campi di concentramento e della politica ariana possano essere superati dall’amore per la propria donna e per il figlioletto di cui riesce a proteggere l’integrità psichica. Con questa nuova sceneggiatura dimostra di essere cresciuto, di essere maturato e di aver acquistato una coscienza, una consapevolezza e un rispetto nei confronti degli altri che mai avremmo pensato di ritrovare in lui.
Non è il dissacratore anticlericale de “Il Piccolo Diavolo”, né il personaggio leggermente furbesco, malandrino e un po’ incosciente di
“Johnny Stecchino”, né la macchietta de “Il Mostro”, in cui tra l’altro aveva sempre cercato di sottolineare la farsa di certi atteggiamenti, eventi e situazioni della realtà odierna. Ne “La Vita è bella” Benigni interpreta l’uomo, con i suoi palpiti d’amore, le lotte quotidiane per il lavoro, l’educazione del figlioletto.
Lo stacco tra primo e secondo tempo stabilisce un vero e proprio taglio netto di stile e di tono, fra i fasti anteguerra e lo squallore del conflitto, fra la lotta surreale per la conquista della propria donna e lotta reale per la sopravvivenza, fra il Benigni classico, divertente, strampalato, comico, goliardico e il Benigni nuovo, maturo, tenero, affettuoso e coraggioso. Il secondo tempo è sicuramente quello che tutti apprezzeranno di più, soprattutto per la carica emotiva. Vi incontriamo un uomo consapevole della sua posizione di padre e marito, ma soprattutto dell’impossibilità di poter spiegare a sé stesso e soprattutto al piccolo Giosuè l’orrore dei lager, dei bottoni fatti con le ossa, dei bagni trasformati in camere a gas, della sparizione improvvisa dei bambini e degli anziani, della separazione dalle donne e dalle mamme, della sporcizia e delle armi spianate. L’unica soluzione astuta è trasformare la realtà in gioco.
Tutti giocano e si affannano per aggiudicarsi il primo premio: un meraviglioso carro armato vero, per la cui conquista il bimbo, ma anche l’adulto, s’impegnerà senza scervellarsi sulle ragioni di certe realtà terribili. La psicologia e l’intelligenza permetteranno al papà di conservare la vita del piccolo, ma anche la sua integrità mentale senza che niente leda il cuore di fanciullo innocente.
La vita sarà per lui più bella, perché qualcuno gli avrà permesso di conservare la sua innocenza e il suo candore, continuando a vivere la sua favola di bambino fino alla fine e a credere nella realtà e nelle persone circostanti.
Benigni ha sicuramente fatto un ottimo lavoro, raggiungendo un buon livello di cinema, comunicando, attraverso le risate e le lacrime, il concetto positivo della necessità di affrontare le negatività della vita con spirito positivo e coraggioso. Le lodi gli sono attribuite non solo per la novità propostaci, ma anche perché è un cinema di contenuti, verità e di sogni che lo riscatta da certe cadute di tono di cui è soggetto.
Un merito dovuto va dato a sua moglie Nicoletta Braschi, che ormai da tempo lo accompagna nei suoi successi cinematografici, ma anche al piccolo interprete di Giosuè, che nonostante l’età è stato capace di affrontare il set e superare l’impatto con la macchina cinematografica. Chissà se lui ha capito che tutto non era un gioco?