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La Provincia di Modena (2)

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La Provincia di Modena

e la promozione artistica(2)

La solarità diviene calura, in un’afa caliginosa, che incombe sui paesaggi campestri mentre irrompe una luce affocata, risolta nei timbri di colori caldi: l’ocra, il giallo, in contrasto con le terre bruciate. E’ un’arte simbolista, che elimina i contorni netti, i valori plastici e chiaroscurali, in un filone post-impressionistico che avrà esponenti sensibili, quali Cappelli, Forghieri, Jodi,
Lucerni, Vellani Marchi, e i più tardi Zoboli, Masinelli, Pelloni appartenenti all’alveo del Chiarismo della Scuola di Burano.
Di Evaristo Cappelli, sono conservati nella raccolta ‘Fiordaliso’ e
“Aratura in montagna” (1910) che registrano il distacco dal ‘verismo’ in un processo di abbreviazione stilistica, compendiata in “Ritratto di gentiluomo”, delineato con pennellate guizzanti. Ma sarà il Liberty ad animare la sua pittura, con gli affreschi della Villa Spezzani
Cionini di Magreta, in cui Flora e Zefiro si librano fra fiori smaltati, in una decorazione floreale, mediata dall’ambito bolognese di A. Becchi, A. Lugli, F. Forti: una propensione per ampie superfici affrescate si concretizza in Allegoria della primavera di Palazzo
Fantini a Modena, nelle Allegorie di Secchia e Panaro e Vedute modenesi di Città, monte e piano del 1920.
Riflette il fascino del Belle poque il Ritratto della contessa
Castiglione mentre, intimistico è la Madre, un’intimità domestica, in cui l’atmosfera è resa in tocchi divisionistici. Di marca post-impressionistica, in cui l’istanza divisionista; il segno si stempera nel crogiolo cromatico, risolto in tasselli e filamenti radiosi, come in Mietitura, in cui tocchi filamentosi di giallo, ocra e verde traducono il fluttuare del grano.
Tra i poli di divisionismo e simbolismo, oscilla Alberto Artioli in
Piazzale S. Giacomo del 1915; vincendo il Premio Poletti, nel 1904, il suo talento attecchisce nel più favorevole ambiente romano, dove elabora il divisionismo di Previati e Mentessi. Germinano nel suo assunto pittorico, il “notturnismo” di De Maria e la tematica sociale di Previati, confluito in Miserie del Museo civico con effetti di suggestioni atmosferiche alla Carriere, in cui la penombra assume riflessi iridescenti e perlati come in Maternità e Autoritratto (1910) del Museo civico. Egli propende per visioni crepuscolari, in Verso sera, in cui il fianco del duomo é immerso nella luce vespertina, in cui l’immagine si scorpora in un pulviscolo luminoso di una gamma azzurrina.
Notevole, é l’apporto simbolistico, di estrazione nordica, non disgiunto dal Liberty di De Carolis, facendo lievitare le sagome di
Pini marini, acquatinta di delicata suggestione evocativa, in cui il
Decadentismo d’ambientazione dannunziana, come in pittura avrebbe reso
F. P. Michetti, come si evince in “Primavera”.
Mosso dallo stesso amore per le visioni simbolistiche notturne, è il grande Giuseppe Miti Zanetti che partecipò alla prima Biennale veneziana (1895) che traduce in visioni struggenti scorci e vedute di una Venezia romantica. Esprime ancora istanze post-impressionistiche,
Giovanni Forghieri, i cui, Contadini con cesta e l’inedita Ceriano, con cui vinse il pensionato Poletti nel 1921; egli s’ispirò al
Graziosi e al Cappelli, Liberty, per Scena al mercato in un effetto d’instabilità prospettica in “Rocca di Savignano”, di remota matrice cézanniana e in “Scena rustica”, in cui crea suggestioni atmosferiche.
Nel corpus di disegni e pastelli, si nota una propensione verso l’essenzialità che si rileva in “Ritratto della madre” (Biennale romana 1923), di cui esiste una variante espressionistica.
Tra gli esponenti più signiticativi, Arcangelo Salvarani il cui medium espressivo più congeniale, era l’acquerello; dopo studi specifici a
Modena e Firenze, nel 1908 si stabilì in Polonia, con soggiorni in
Ucraina dove apprendeva l’insidiosa tecnica dell’acquerello. Tornò a
Modena, dopo la prigionia in Austria, dopo la Grande Guerra. Eseguì fogli di diario, di taglio cromachistico, in cui ritrasse Demolizione in V S. Agata, ad acquerello, ottenendo effetti di freschezza inventiva. Tra i pochi oli, come i Bernardini quasi fauve, o come
“Autoritratto allo studio”, in cui s’avverte la percezione luminosa, di valori atmosferici post-impressionistici, che emergono anche negli affreschi di “Allegoria del Risparmio”, accanto a quelli Liberty di
Cappelli.
Casimiro Jodi è uno dei talenti più brillanti, che si colloca emblematicamente tra Boldini e Cavaglieri; certe atmosfere suggestive sembrano echeggiare Bonnard e Vullard, mentre la pennellata sinuosa dal ductus avvolgente rammenta Graziosi, Cappelli e Artioli inserendosi nel Decò. Il mercato delle erbe di Verona (1919) en pleine air, in cui la luce si atomizza in scaglie di colore puro, come in
Fioresi e Pizzirani. In certe atmosfere, subisce l’influsso di
Semeghini nel periodo veronese.
Mario Vellani Marchi, come Jodi, subisce il fascino discreto del chiarismo della Scuola di Burano; nella Raccolta, una prova giovanile,
“Interno di cortile” (’22) mentre “Rustico in Valtellina” è al Museo civico, di analoga resa prospettica.
Nei più tarsi “Paesaggio francescano” (Civico) e Pagliai umbri, l’impaginazione formale diviene più salda, in cui si rilevano valori platici, risolti in vaste campiture cromatiche, per l’influsso del
Novecento milanese di Carrà, Malerba, Sironi, Oppi. Si registra poi, la sua adesione alla Scuola di Burano di Semeghini, in opere, immerse in un’atmosfera fluida e palpitante, nella svolta chiarista, tradita da Burano, orto grande (’35) Sandali buranelli all’approdo (’38). Ma l’artista è noto anche per l’annosa collaborazione, come scenografo alla “Scala” di Milano e la partecipazione all’intensa vita culturale, come il Premio Bagutta.
Di matrice storiografica e cronachistica, diari visivi di viaggio, è la produzione di A. Zoboli che raggiunge la piena felicità espressiva nelle opere “di getto”. In raccolta, citiamo Anzio (’21), in uno stile sintetico d’atmosfera post-impressionista come in Pizzirani e Fioresi;
“La Chiesa della Salute” (’25) è sotto l’influsso del Graziosi, in una traduzione di suggestivi effetti atmosferici vibranti con accensioni cromatiche barocche; “Un canale veneziano”; Venezia, risalta la stessa tersa luminosità delle opere di Graziosi. Anche Zoboli avrebbe subito il fascino della “Scuola di Burano”, anche se risiedette a Firenze,
Rouen e Parigi, oltre a compiere viaggi esotici in remote contrade.
Leo Masinelli opta tra il ’20 e il ’30 per il post-impressionismo, con accezioni neo-fiamminghe, con nature morte illusionistiche; dal ’40, aderisce alla Scuola di Burano con rese atmosferiche di vedute veneziane; rispetto all’impalpabile chiarismo di Semeghini, opta per una base “costruttiva” dell’impianto formale in Marina (’45), con spunti novecentisti alla Funi e alla Carrà, attraverso il filtro dell’amico Vellani Marchi.
Tino Pelloni – Dopo esordi novecentisti con “Ritratto di Egle” (’27) aderisce al chiarismo della Scuola di Burano, con evanescenti paesaggi e nature morte e lirici ritratti di bimbi, donne, fanciulle dallo sguardo languido, velato di malia in una “pittura di luce”, per dirla con F. Arcangeli.
Bruno Semprebon aderisce a “Valori platici” sulla scia di Rosai, in una struttura formale solida, che gli deriva dall’esperienza scultorea che con Il lanciatore di giavellotto gli era valso il Premio Poletti nel’30, anche se aveva poi optato per la pittura, il cui excursus si vede ora, in una significativa retrospettiva all’Istituto Venturi, in cui ammiriamo una sobria pittura tonale, con cui ritrae “Modelli in riposo”, “L’allieva”, “Maschere” tra le più interessanti della sua produzione, accanto a nature morte novecentiste.
Nereo Annovi; accostatosi a F. Carena, durante il soggiorno fiorentino, nel ’33 poi assimilando il linguaggio espressivo di
Soffici e Carrà; di resa sintetica, Monterosso al mare della Raccolta
(’57), in cui si alleggerisce la struttura formale nella traduzione di valori atmosferici; realizza sagome dai colori puri, intaccando i contorni, in Mamma e Bambino (Biennale di Venezia XXV) della Banca
Popolare; in “Ritratto di J. Barozzi”, si assiste a un rovesciamento del piano prospettivo di tipo cézanniano.
Elpidio Bertoli traduce il Verismo nell’Autoritratto della Biennale del ’46. Dopo un periodo simbolista, siglato da Vertice (’35), adotta una pennellata sciolta dall’andamento mosso di taglio post-impressionista, con “Giardino pubblico” e “Paese di montagna”.

Giuliana Galli

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