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Produzione artistica

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Produzione artistica

Franco Guerzoni, subisce il fascino discreto di Spazzapan e Fontana per il suo Sperimentalismo cartaceo, suo medium congeniale, con cui ha eseguito ottime prove, nelle accumulazioni neo-dada, già care a Kurt
Schwitters nonché sperimentalismi materici, mediati dalla lezione di
Prampolini e Cagli Cristina Roncati, ha seguito varie tappe di un itinerario, scandito da un esordio pittorico figurativo, siglato da “2 limoni”, in Raccolta, per subire il fascino della materia, nelle accumulazioni espressionistiche dell’icastica Ragazza d’Emilia, in cui agglutina carte pigmenti, gessi e collanti su tessuti, che assumono movenze flessuose in panneggiamenti neo-dada, già negli anni ’60 in un
Unicum, che finì per influenzare tardivamente Latina Bottazzi Colfi; ma Cristina va ben oltre, presa da amor di scultura; inserisce strutture muliebri, sotto viluppi di tessuto nelle alternanze
Bianco/Nero, un contrasto che acquista drammatico spessore espressionistico; ma inconsciamente, ricalca lo statuario dei
Compianti di Niccolò dell’Arca, Mazzoni e Begarelli; ne fanno fede i volti, contratti espressionisticamente in opere, quali la Novizia, l’Antenata; alleggerisce pio il colore bituminoso di certe accumulazioni, che assumono niveo candore; a una Triennale della
Permanenza di Milano, la sua Maddalena nell’armadio è smembrata, per ignoranza e irresponsabile incompetenza degli “addetti ai lavori”; un’opera le è sottratta dalla grande mostra del ’78 da un truffatore; impavida, prosegue il suo incessante sperimentalismo, ritrovando l’amore per il Pop, certe esperienze di Dubuffet e Burri, è allora il
Diavolo, a far capolino, in accumulazioni rosso-fuoco, in alternanza al nero pece; ma l’amore per la materia riemerge e in particolare l'”arte cotta” che è protagonista di una superba installazione all’Arte fiera di Bologna, in cui fan bella mostra di sé opere in ceramica, terracotta patinata e porcellana madreperlata; recenti l’antologica in cui superbe figure stilizzate rammentano nell’eleganza della struttura e delle movenze la statuaria greco-romana; si è appena conclusa la bella personale, che è un itinerario mirato, in cui non mancano nemmeno gioielli, oltre ad attuali, radiose creazioni di figure, avvolte in un alone luminoso dorato, come le aureole di santi e di angeli dalla pittura antica.
Wainer Vaccari guarda alla pittura espressionistica tedesca, anche se il suo repertorio è di impostazione orientale, ammirato alla
Palazzina; superbo disegnatore, delinea fattezze enigmatiche di personaggi misteriosi, immersi in un’aura ieratica.
Davide Scarabelli si è lucidamente costruito un curriculum di scultore, dai remoti ferri saldati, fino alle gigantesche sculture, fino ad approdare all’esperienza pubblicitaria, con la “Matita verde”, entrando in contatto con i protagonisti della cultura e dell’arte; intelligentemente, ha messo a punto, la sua inclinazione per le P. R. nell’esperienza della Casa Baldassarre, in cui, non solo ha ospitato mostre e manifestazioni culturali, ma ha recentemente organizzato seminari, laboratori d’arte e artigianato, incontri culturali, mentre
è venuto a ricoprire il ruolo di direttore della galleria comunale di
Pavullo che speriamo più “positiva” rispetto alle mostre ibride, pot pourri di buono, bello, sporco e cattivo con inserimenti spuri e a sproposito in rassegne a tema, di personaggi impropri e inadeguati alla tendenza declamata protagonista. Ad Majora, Davide!
Che dire delle sublimi, alchemiche prove dell’ottimo scultore e grafico lirico Raffaele Biolchini? La Raccolta annovera le sue Foglie, raffinata acquaforte, in cui elabora enigmatiche “Tabulae affinitatum”, lo gnomone e la sfera, quei simboli pre-socratici, che furono cari a Cézanne e avrebbero dato l’avvio all’arte astratta; di
Raffaele, voglio rammentare lo sguardo e i pensieri chiari, le opere raffinate di valenza alchemica e le sculture, quali la fontana nella piazza della Posta a Carpi; depreco il vandalico smembramento di una sua scultura fittile, avvenuto appena poche settimane dalla sua morte, per gelosie e invidie postume, sicuramente opera di cervelli e mani poco nobili, nel corso della mostra che Pavullo gli aveva dedicato, per onorare la sua memoria di ottimo artista e valido interlocutore, dedito al suo lavoro, senza indulgere al compromesso, né al pettegolezzo che troppo spesso è sgradevole condimento di vicende locali, beghe indecorose daa polli da cortile e altri bipedi d’allevamento.
Non solo la Provincia, ma anche il Comune dovrebbero acquistare opere di altri scultori, quali i bravi Paolo Sighinolfi, Luigi Lorenzi,
Fornaciari, Sergio Cerri trovando anche sponsor per permettere loro di tradurre in pratica la loro vocazione ai monumenti.
Un occhio di riguardo andrebbe rivolto anche a talenti emergenti, che non mancano davvero nell’articolato panorama di giovani, parecchi dei quali hanno ultimato la formazione in Accademie di Belle Arti: è il caso dell’ottimo grafico Andrea Chiesi; vorrei però precisare che la fatidica formula Under 35 sia ormai obsoleta; più che guardare all’età anagrafica, si deve puntare sulla qualità, finendola di dar la stara a iniziative raffazzonate, per giustificare il ruolo di Maitres à penser di piccolo cabotaggio; invece si dovrebbero indire concorsi, a prescindere dall’età verde o sempreverde e assegnare ai vincitori un lavoro e concrete realizzazioni dello stesso, sottraendoli così a lavoretti oscuri e ingrati, inventati a tavolino, solo per campare.

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Notevoli gli acquisti della Rolo Banca, esposti a Palazzo
Montecuccoli, tra cui un superbo San Vincenzo di L. Carracci della dinastia pittorica bolognese, è una figura sontuosamente adorna di stola rosso fuoco, che spicca su sfondi montani, nel cielo di smalto campeggia, radiosa, la Madonna.
Superbe le prove di A. Tiarini: Apparizioni a Francesca Romana del figlio e di un angelo; dal fondo cupo emergono figure sapientemente ammantate; Adorazione dei pastori su uno sfondo affocato si scorgono appena la Sacra famiglia, angeli e pastori; la disposizione emblematica dei “fuochi” fa risaltare il Bambino e la Madonna relegando le altre figure che si amalgamano nello sfondo.
Curioso il contrasto, tra due diverse maniere del Guercino: la prima fase, scandita dal contrasto drammatico di chiaroscuro, da cui emerge cristo in preghiera a Getsemani e la più chiara, quasi tiepolesca
Lucrezia, in cui l’incarnato assume sfumature dorate.
Di Giuseppe Maria Crespi (lo Spagnolo), eccelso Mosè mostra il serpente di Bronzo in cui il volume verticale su cui si attorce il serpente scandisce lo spazio come una cortina che si dipana su un cielo velato; intorno al Mosè in veste purpurea, su muove un gruppo folto di personaggi; bucolica, la scena con pastorelle in cui è intessuto un dialogo su uno sfondo bluastro.
Si deve al Pallucchini, che qui fu docente al Venturi, compiendo esemplari ricerche artistiche, come funzionario della Sovrintendenza a
Venezia, pio commissario della Biennale veneziana, si deve la valorizzazione di Antonio Carneo, udinese, che guarda Della Vecchia,
Fetti, B. Strozzi, E. Maffei e a Ruben, al primo Luca Giordano. Di
Carneo la Banca ha acquistato numerosi dipinti, per lo più soggetti sacri. Le figure appaiono fatte di puro colore, prive di contorni netti, intrise di luce calda con l’impiego di toni freddi verde-celestini che acquisiscono senso di mobilità, in contrasto con i colori primari degli abiti che ammantano lo figure; l’incarnato, ottenuto sapientemente col ricorso a grigi che si scaldano in tocchi di tenero rosa, in un procedimento, già caro al Barocci.
Si è coinvolti nel fragore delle battaglie, che resero famoso Ilario
Mercanti detto lo Spolverini, del resto allievo del Borgognone, conobbe larga fortuna alla corte Farnese.
Abbiamo una Veduta di porto fortificato e arsenale (1712); in primo piano, brulicante di figurine come un alveare, si scorge un veliero, ridotto a relitto, in uno sfondo irto di fortilizi affacciati su una marina solcata di velieri Sapido il casolare di campagna di G. Ciardi che qui applica valori plastici sottolineati dalle brume del cielo.
Levigata, la Sacra Famiglia di A. Malatesta in una composizione bel calibrata, in cui le figure risultano armoniose, sullo sfondo di un paesaggio tonale di Domenico Induno avvincente “Profughi del villaggio incendiato, esposto all’Expo di Parigi del 1855; la composizione saldamente impaginata risente della pittura veneta e olandese del
‘600; più pittoresco “Cortile con giocolieri” in cui l’autore intona temi popolareschi.
Di Mosè Bianchi avvincente è Laghetto nel bosco un’entità verdeggiante, lambita dalla liquida trasparenza del lago
(l’inquinamento era di là da venire). Né mancano per il Naturalismo romantico, Marina di Fragiacomo, che rivela la Venezia recondita e appartata, velata di malia simbolista e la più luminosa Veduta di
Venezia, tersa e abbagliante nel suo nitore, di Carlo Fotnara, prima di approdare al Divisionismo.

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A Reggio Emilia riapre i battenti Pari e Dispari, glorioso centro culturale, che aveva esordito già negli anni ’60 a Cavriago facendo sfilare le tendenze d’avanguardia dal Gruppo Fluxus alla Body Art,
Mail Art, Poesia visiva, per citarne solo alcuni; ora Pari e Dispari si trasferisce in Via S. Carlo a Reggio con una mostra di Robert
Rauschenberg, protagonista di una recente Biennale veneziana, Art director l’ormai provetta Rosanna Chiessi dopo un’annosa assenza in cui dirigeva un centro culturale a Villa Malaparte a Capri.

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Il bravo pittore carpigiano Edi Brancolini ripropone suoi recenti lavori, alcuni scelti tra quelli esposti all’antologica del
“Paradisino” di Modena, presso la galleria 2E di Suzzara, Siamo alle prese con un virtuoso, che abbina la lalentìa del sogno, con cui delinea superbe anatomia, valorizzate da una sapida tavolozza dispiegata con rara perizia, nel coniare versioni rivedute e corrette di antichi miti in un’iconografia personalissima, con cui dà vita ad allegorie particolari, come i Vizi capitali scandite da imponenti scenografie su cui si stagliano figure sapientemente impaginate.

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Ha esposto presso la galleria Archivio di Mantova il bravo artista reggiano Stefano Grasselli, dotato di sicuro talento, dispiegato in soggetti desueti: iene dai fosforici occhi di bragia sbarrati, a punteggiare di particolari “fuochi” una nigredo, diffusa dalle tenebre di una campagna, dai connotati inquietanti, che rammenta le ambientazioni di Ignazio Silone o le notti difficili di buzzatiana memoria. Queste iene sono il versante in ombra della coscienza, il regime notturno dell’immagine, che fa affiorare dal rimosso fantasmi e memorie ataviche. E’ l’archetipo della ferinitas a farci sprofondare nelle tenebre di un remoto passato, come si rileva anche nell’hemingwiano Le nevi del Kilimangiaro. In realtà sono iene e lupi a richiedere protezione nei riguardi del dissennato sterminio da parte dei nostri “simili” bipedi sì, ma davvero feroci, per di più gratuitamente, per puro divertimento, mentre l’animale conosce solo la legge della sopravvivenza. E’ un messaggio rivolto al WWF.
L’artista formatosi all’accademia di Bologna è anche ottimo grafico.
Loretta Parenti enuclea sinuose silhouettes simboliste, di raffinata struttura formale, ricorrendo a un segno fluido, con cui delinea fattezze ironiche di curiosi animali, come per Eros Marino, in cui s’intuisce un’inedita Love Story tra una vistosa conchiglia di
Nautilus e un mutante Paguro Bernardo. in cerca di una nicchia accogliente. Oppure sono fossili, conchiglie, coralli, che protendono le loro mani dentellate a solcare un habitat marino a stagliardi con profili vibranti resi nitidi e affilati da un segno esile ma preciso e tagliente come un bisturi che tradisce la perizia grafica dell’autrice messa a punto presso l’Accademia di Bologna.
Il curriculum dell’artista è scandito da partecipazioni a mostre e rassegne. Recentemente ha eseguito un imponente ciclo decorativo in un grande Murale di 100 mq presso la discoteca Picchio Rosso in cui ha dispiegato notevoli doti creative in soggetti decorativi ispirati al
Liberty e all’Art Deco, attraverso il filtro di un simbolismo esotico.
Loretta elabora simboli e suggestivi sfondi policromi, desunti dagli
Elementi: Terra, Aria, Acqua e Fuoco da cui elabora emblematiche valenze alchemiche, in un’onirica Tabula Affinitatum, filtrata da Arte e alchimia di Jung. Oltre a questo notevole lavoro, il cui lirismo si traduce in senti e viluppi vegetali, in vivide corolle e in simboli, che emergono dal fondo intrise come sono di un cromatismo vivido e brillante.
In Novembre, ha inoltre partecipato alla rassegna Autoritratto, con una prova che si colloca tra una matrice post-cubista e istanze simboliste di sapida concisione formale.

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In questo periodo mostre e mostrine ci hanno costretto a un Tour de force; alla Chiesa del Paradisino, il fascino del presepe ha colpito ancora, allineando diligentemente, accanto ai presepi tradizionali da cartolina natalizia. opere di autentica, sia pur piccola, scultura; tra i moderni ceramisti, vorrei citare le opere sinuose e accattivanti di Nordera e le suggestioni simboliste di un maestro, di levatura internazionale, Silvano Fabbri, che ha saputo piegare l’alto magistero della ceramica faentina a superbi esiti, foggiando deliziose e morbide statuette dai volumi avvolgenti, per l’articolarsi dei panneggiamenti in movenze Art Deco, facendo adottare una delicata cromia, che fa palpitare la struttura di queste figurette ammalianti, catturando i bagliori della luce.
Questo contributo di scultori moderni in arte cotta raccoglie la sublima eredità del grande platico Antonio Begarelli che della terracotta, talvolta patinata, fece il clou della sua toccante produzione fittile, ci cui preferisco la prima fase per la nuda semplicità dei Compianti, attecchiti nell’antica Padania, con Niccolò
Dell’Arca, Guido Mazzoni, cui Begarelli guardò solo esteriormente, non adottando la vivace policromia, che avrebbe camuffato la tersa politezza della terracotta, dissimulando il modellato animato, la sobria compostezza nel dolore delle figure in vari gruppi platici. la
Deposizione dalla croce di S. Francesco qui esposti, per volere di
Francesco IV d’Este dalla demolita chiesa di S. Margherita, l’affollata scenografia di S. Agostino, la piccola, ma superba
Deposizione di S. Pietro, la chiesa più ricca delle sue sculture con
12 figure della Madonna e dei Santi, che adornano le navate della splendida Basilica, che contiene anche la sua ultima opera, tramutata nel suo sacello dal nipote Lodovico, esempio sovraccarico inghirlandato di fregi, nervature, simboli che si rilevano nell’ultima fase prebarocca: quella della statue di S. Benedetto Po. Il presepe più importante, sua opera giovanile, si trova nella navata destra del
Duomo, là vi fu trasportato da un’altra collocazione, che era adeguatamente ideata a fini prospettici; a questo presepe si lega
“Visita alle pie donne” in S. Domenico, di una committente privata.

Giuliana Galli

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