Salve a tutti! Permettete che mi presenti: mi chiamo Fabrizio
Cerfogli, sono programmatore, ho ventidue anni e questa è la prima volta che appaio su Kult Underground. Molti di voi avranno già capito dal titolo di cosa tratta questa nuova rubrica, ma per chi di voi non l’avesse ancora capito, il Quake editing è in un certo qual modo tutto ciò che concerne la personalizzazione parziale o sostanziale di uno dei più famosi videogiochi mai scritti per home computer, Quake appunto.
In realtà, definirlo solo un videogioco significa sottovalutare di molto le sue potenzialità (sento già il coro: Huuuuu… addirittura!), perché in realtà Quake non è un gioco, ma è l’insieme di un motore grafico tridimensionale all’avanguardia (in realtà oggi ormai comincia a dare segni di vecchiaia, ma rimane comunque di tutto rispetto) e di un programma che costituisce in realtà il vero e proprio gioco.
Sorpresi? Molti di voi forse già lo sapranno, ma altri forse no, ed è proprio per questo che io ora sto qui a sbattermi, per fare conoscere a chi nemmeno se le immaginava tutte le potenzialità di questo gioiello tecnologico (anche qui un bel coro ci sta bene!).
Per capire meglio perché questo “videogioco” è così diverso dagli altri, occorre considerare bene chi è che l’ha sviluppato, quindi chi sono le menti che stanno dietro a tutto quello che Quake è e rappresenta: la Id Software.
Per chi non lo sapesse, questa software house è nata qualche anno fa da quel gruppo di programmatori (di un certo livello per la verità) che ha sviluppato quel fenomeno mondiale che è stato Doom (chi di voi non lo conosce si vergogni!), e che a sua volta è nato dall’evoluzione di un ennesimo gioco di azione chiamato Wolfenstein 3D, uscito circa un anno prima.
Solo successi insomma, per questi creativi che sembrano in tutto e per tutto “nati per il 3D”.
Infatti, il filo conduttore che abbraccia tutti quanti questi tre famosi titoli è proprio il “3D”, il tridimensionale, la realtà simulata dal punto di vista dell’osservatore, un gioco quindi che dà l’impressione al giocatore di trovarsi in un mondo virtuale, e vedere direttamente con i propri occhi quello che gli sta intorno (anche se in realtà mentre giocate potete comunque tenere d’occhio la prosperosa biondina del vicinato che lascia sempre aperta la finestra del bagno mentre fa la doccia).
Wolfenstein 3D infatti era già tridimensionale, anche se in realtà si trattava di una “finta tridimensionalità”: infatti tutto il gioco era ambientato sempre sullo stesso “livello”, quindi il soffitto era sempre alla stessa altezza dal pavimento, non c’erano scale, piattaforme, nessun dislivello di nessun tipo, però era possibile guardare intorno da qualunque punto di vista, quindi l’impressione era proprio quella di gironzolare in un vero e proprio “ambiente reale”, come potremmo trovare all’n-esimo piano di un qualunque palazzo della nostra città.
Già questo fu un grosso passo in avanti, anche se non proprio una vera rivoluzione, nella produzione videoludica, perché nessuno prima di allora aveva mai “azzardato” la simulazione, su home computer, di un vero ambiente a tre dimensioni: a quel periodo si era ancora limitati alle due a causa delle ridotte prestazioni dei processori di quel tempo, quindi i giochi di punta erano giochi a piattaforme, spara e fuggi con la solita astronave e i soliti alieni di turno, ed altri titoli sulla stessa linea conduttrice (una linea di mercato sicura, non c’è che dire, però a volte il rischio ripaga abbondantemente).
Dopo questo titolo di indiscutibile qualità, uscì però la vera e propria rivoluzione del mondo dei videogiochi: Doom (beh? E gli applausi?). Perché una rivoluzione? Perché Doom fu in tutto e per tutto il primo e unico videogioco d’azione in 3D, che ha portato tanti di quei soldi a quei fetenti (scusate ma ci scappa) che penso siano ancora lì che non sanno come spenderli.
Qual è il motivo di questo incredibile successo? In realtà è tutta una serie di fattori, comunque il più importante di tutti penso sia proprio la capacità di far entrare il giocatore in un vera e propria realtà virtuale, fatta di scale, ascensori, ponti, baratri, colonne, templi, mondi infernali popolati da creature demoniache col potere di tenere incollato il giocatore per ore ed ore. Un vero e proprio fenomeno.
In un certo senso era naturale che dopo l’esperienza di Wolfenstein dovesse nascere qualcosa di “un po’ più 3D”, ma sicuramente con Doom quelli della Id dimostrarono al mondo di essere avanti anni luce da tutti gli altri (Una bella paga!).
Ora forse molti si saranno posti questa domanda: ma se Wolfenstein 3D era troppo “piatto”, e Doom fu il primo gioco 3D, cos’ha in più
Quake?
Questa è una bella domanda. Grazie per avermelo chiesto (da Elio e le storie tese).
…a parte gli scherzi, questa è una bella domanda semplicemente perché è quella che il mondo intero ha fatto alla Id quando ha visto
Quake. cosa c’è di innovativo?
E’ molto semplice: Doom in realtà non è ancora un vero 3D, è lo
“sviluppo tridimensionale” di una mappa “bidimensionale” (beh? Cosa c’è di così complicato?). Questo significa che le mappe di Doom sono in realtà in due dimensioni, solo che sono “suddivise” in aree separate l’una dall’altra che hanno la particolarità di avere un’altezza variabile.
Per capire cosa significa, immaginate di prendere una scatola da scarpe senza il coperchio e considerla la stanza di uno sperduto maniero (lo so che non è facile, soprattutto se la scatola è servita a contenere scarpe per così dire “vissute”, ma sforzatevi un po’).
Immaginate ora di “tagliare” la scatola per il largo in tre parti distinte (esatto, proprio come fa un mago con la scatola gigante che contiene la sua slanciata assistente). Ora alzate la parte sinistra della scatola verso l’alto di un paio di centimetri, e abbassate quella destra di altrettanto. Cos’avete ottenuto? Una scatola da scarpe ormai inutilizzabile? No! Una stanza con due dislivelli sia nel soffitto sia nel pavimento, qualcosa di veramente 3D!
Questo è infatti il trucco di Doom: è semplicemente come Wolfenstein
3D, solo che può
“innalzare” parti di mappa a qualunque livello, in modo da creare scale, piattaforme, baratri, tutto quanto serve insomma per creare qualcosa che “sembra veramente 3D”. Infatti cosa ci vuole a fare una scala? Niente, basta tagliare una scatola da scarpe in più parti (non tre questa volta, ma dieci o dodici, o anche di più) e innalzare ogni segmento di un gradino rispetto al precedente, procedendo in fila un segmento di seguito all’altro, e la scala è fatta! (usate la stessa scatola però, non vorrei sentire il rimorso di avervi costretto a comprare un portascarpe in tek). Questa è stata l’idea geniale che ha fatto di Doom una pietra miliare, il giusto equilibrio tra quello che poteva fare un computer a quel tempo e quello di cui il giocatore aveva e ha ancora bisogno: in fondo al giocatore quanto interessa che sia vero 3D? Nulla, conta solo che “dia l’impressione” di essere reale, il resto non ha importanza. Ancora una volta abbiamo scoperto che quello che veramente vince non è l’estremizzazione di una parte, ma il perfetto equilibrio di tutte le parti in gioco (wow, questa è filosofia pura!).
La domanda iniziale però è ancora irrisolta. cos’ha in più Quake?
Beh, Quake è veramente in 3D. Questo significa che in Quake si può fare qualunque cosa (in realtà non è poi così, ma di questo parleremo in dettaglio più avanti), perché non si tratta più di una mappa in due dimensioni ma di una vera e propria costruzione modellata interamente sui tre assi cartesiani, quindi in Quake possiamo trovare ponti sospesi, gallerie che si snodano sotto al pavimento su cui camminiamo, strutture architettoniche complesse che prima, nel mondo di Doom, non erano neanche immaginabili. E’ indiscutibile però che la differenza che passa tra Doom e Quake non è assolutamente paragonabile a quella che passa tra Wolfenstein 3D e Doom: in quest’ultimo caso si tratta di una vera e propria rivoluzione, è una “genialata” per dirla tutta, qualcosa che Quake non è. Esso è solo un passo in avanti rispetto a
Doom, non un vero e proprio “salto” come quello che quest’ultimo appunto ha rappresentato con la sua uscita ormai anni or sono.
Le critiche a Quake sono state molte infatti, proprio perché il mondo si aspettava dalla Id qualcosa che riproducesse in un qualche modo il
“terremoto” (scusate la battuta scontata, ma è doverosa) che Doom scatenò tanto tempo prima. Non ci si può aspettare il miracolo però, in fin dei conti mangiano e dormono come noi anche quelli della Id, non sono certo l’incarnazione di qualche dio greco, ma ognuno è libero di pensarla come vuole, tanto sappiamo che “le opinioni sono come le palle, ognuno ha le sue” (Clint Eastwood).
Comunque la pensiate voi, io sono qui per dimostrarvi che Quake è molto più avanti di quanto pensa la maggior parte dei giocatori, e nel prossimo numero di Kult inizierò infatti a descrivere per filo e per segno come Quake in realtà sia un vero e proprio ambiente di sviluppo, e come il Quake che tutti noi abbiamo giocato sia in realtà il “demo” che viene fornito dietro ad ogni ambiente di sviluppo che si rispetti.
Incredibile ma vero.
Alla prossima!