Nella riammessa Settimana Internazionale della Critica si trovano alcune perle troppo modeste per farsi sentire nelle sezioni maggiori.
E’ proprio il caso di “Fassloh Padjom” (“La quinta stagione”) dell’iraniano Rafi Pitts. Pitts, pur studiando e crescendo professionalmente in Inghilterra e in Francia, conserva un certo attaccamento alla sua terra natia ed ai suoi personaggi. “La quinta stagione” è un vero gioiello di profondità e semplicità che dimostra l’esistenza di culture cinematograficamente “giovani” possano stupire e insegnare ancora qualcosa ai più navigati europei.
La storia è tanto elementare e naturale quanto avvincente e ricca di spunti. In un villaggio due clan, i Jamalvandi e i Kamalvandi, sono in contrasto da sempre, anche se nessuno ricorda bene il perché. Il sindaco benedice quindi con entusiasmo le nozze, anche se combinate, tra l’accigliata Mehrbanou Jamalvandi ed il pensieroso Karamat
Kamalvandi che però, all’ultimo istante utile, manda tutto all’aria pretendendo una dote non dovuta. L’orgogliosa Mehrbanou, umiliata nel profondo, non si dà per vinta nemmeno quando Karamat compra un pulmino
(capito?) e soffia il lavoro a suo fratello che trasportava i compaesani al mercato della città vicina. Entrambi sanno che dovrà cambiare qualcosa ma è solo grazie ad un imprevisto che la situazione prende una piega definitiva. Non voglio raccontare troppi particolari o le scene più significative per non togliere interesse a tutto ciò che di bello rimane da ammirare nel film. Lo svolgersi degli eventi è perfetto e alla fine della proiezione ci si stupisce di come una storia così semplice, interpretata da attori non professionisti nel paesaggio brullo e monotono del deserto iraniano ci abbia tenuto incollati alla poltrona per unoremmezzo. La sceneggiatura, tratta da un racconto di un famoso scrittore iraniano, è lineare, i dialoghi sono essenziali ed esaurienti, senza sbagliare un tempo e ci sono persino i personaggi di contorno che “ammorbidiscono” il tutto.
L’Iran dunque non è solo il pluricelebrato Kiarostami ma, anche grazie a lui naturalmente, stanno emergendo le seconde linee, quelle incaricate di consolidare una posizione dove si prende anche un po’ di sole. “La quinta stagione” si offre anche ad un’altra interessante chiave di lettura e cioè il ruolo di una donna sola in una società tipicamente maschile e rigida. L’ostinazione e la determinazione di
Mehrbanou sono piuttosto insolite per chi, come me e la maggiorparte degli occidentali, pensa alla donna mediorientale solo come una reclusa e sottomessa. Il film è forse anche un incitamento ed un avvertimento.
L’altra faccia dell’Iran
Michele Benatti