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Il corvo e il banco…

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Il corvo e il banco dei pegni

Impietrito lo sguardo

innanzi a cinquant’anni

di storia dimenticata.

Immobile la bocca

scolpita in un ghigno

di ghiaccio.

Vecchio,

vissuto nella

tomba delle

umane storie,

cala il sipario

sulla tua esistenza.

Mani furiose

irrompono

dalla terra marcita

e nei tuoi

incubi,

feroci

strappano

il diritto ad

un ricordo.

Lento il CORVO

appoggia gli artigli

al terreno

umido di sangue,

dispiega le ali

ed urla

l’immonda sentenza.

Un grido di terrore scuote

le colline e le valli

di un Europa

lontana mezzo

secolo.

Tra i rami penetra

un vento gelido,

accompagna le foglie

in un viaggio senza ritorno.

Nell’autunno della landa

di Oswiecim copriranno

il lamento dei morti.

Scappano i bambini

di Terezin sopra

i loro disegni

dal cielo di Birkenau.

Li ho incontrati una

mattina di primavera

nel cuore di Praga;

e ho sentito ancora

questo gelido vento

attraversare il tempo,

oscurare gli animi,

devastare le mille città

e in muto orrore

spegnere le luci di

Roma.

Da Bergen Belsen

fino a Maidanek

volgono lo sguardo

i volti dei figli della paura;

un urlo straziante

atterrisce la storia,

Shema Izrael!

Il pegno non è stato

ancora pagato.

Matteo Ranzi

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Il breve scritto prende spunto da un fatto realmente accaduto nel lager di Auschwitz (Oswiecim in polacco) nella Pasqua Ebraica del
1944.
Giunse ad Auscwitz con un trasporto dalla Francia anche il Rabbino di
Bayonne, Rabbi Mose Friedman, egli dopo essersi spogliato si avvicinò ad un ufficiale delle SS e presolo per il bavero pronunciò un terribile anatema contro la Germania e tutto il popolo tedesco dicendo:
“…Verrà il giorno della resa dei conti, il sangue versato la pretenderà. Il nostro sangue non avrà pace fino a che l’ira sterminatrice non inonderà il vostro popolo e non distruggerà il vostro sangue bestiale.”
Pronunciate queste parole si mise il cappello in testa e gridò “Shema
Izrael”. Insieme a lui tutti i presenti urlarono “Shema Izrael” ed una straordinaria entusiastica fede si impossessò di tutti.
Questo episodio viene narrato nel volume “Auschwitz, grida dalla terra” di Teresa Swiebocka e Henryk Swiebocki ed edito dalla casa editrice “Parol” di Cracovia – Polonia -.
Il volume penso sia disponibile solo presso il Museo Statale di
Auschwitz – Birkenau – Polonia-.

Ho immaginato le anime dei perseguitati vagare ancora la notte in cerca della pace eterna fintantochè le parole del Rabbino non si avvereranno, ma forse anche questo non è nient’altro che un nuovo incubo in questa estate che scoperchia di nuovo l’orrore dello sterminio.

Ho deciso di scrivere queste poche righe la sera del 1° agosto dopo aver appreso la sentenza del “caso Priebke”.
E’ stato per me quasi istintuale mettere per iscritto le senzazioni che provavo in quel momento.
Considero quella sentenza un abominio per il significato che essa porta con se: l’impunibilità di un crimine orrendo.
Ma questa è una valutazione di ordine puramente morale, da un punto di vista giuridico non mi permetto di giudicarla perchè non conosco le motivazioni della sentenza e non so se in base al nostro codice era possibile prendere una decisione diversa. Non di meno considero un arbitrio quello che è successo dopo la lettura della sentenza ad opera del ministro della Giustizia, ma questa non è la sede appropriata per un discorso di questo tipo.
Spero, quindi che in altra sede gli esperti di diritto di KULT vogliano illustrare meglio quanto successo da un punto di vista puramente giuridico.
In questa Italia pervasa da un perdonismo d’accatto di uno squallore sconfortante, che perdona i Priebke, si commuove di fronte ai Craxi che hanno rubato allo stato cifre da capogiro, colpiti da 4 ordini d’arresto senza che abbiano mai fatto intravedere un minimo pentimento o una minima disponibilità verso la giustizia Italiana; in questa
Italia che applaude nella grande e purificatrice arena del Maurizio
Costanzo show gli stupratori televisivi, queste poche righe servano da monito a non dimenticare mai la storia. Dimenticare la storia è un lusso che nemmeno le società piu civilizzate possono permettersi, essa
è l’anticamera di grandi catastrofi.

Matteo Ranzi

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