KULT Underground

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Contatto

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CONTATTO

“Svegliati, poltrone!”, tuono’ Alice. Aveva faccia di mamma, nella luce del mattino. Barse strabuzzo’ gli occhi e tiro’ lontano i calzini che aveva sul letto. Dopo una decisione tormentata, si alzo’. “La colazione e’ pronta”.
Gia’, la colazione. E io ? Io sono pronto ? A me non pensate mai. Meno di una colazione.
Si calmo’ in fretta, non era colpa di Alice se era stata programmata cosi’. Barse era figlio di due comete, e per seguirle entrambe aveva finito per cadere nel fosso. Era inevitabile. I suoi erano troppo diversi, lui non poteva scegliere chi fosse il migliore. E’ piu’ affascinante la faccia chiara della luna o quella scura ? Lui non lo sapeva. Semplicemente, aveva cercato di sapere ed essere entrambe, e aveva fatto la fine di chi sciando apre le punte: si era spaccato. Ad un certo punto, verso i ventun anni aveva fatto un rumore sordo e non era piu’ stato lui. Era stato dopo quel momento che le due comete gli avevano comprato Alice, il suo servo parassita. Sei mesi prima,una vita prima.
Accese la radio e fece entrare il mondo in casa. Quando fu sepolto dalla merda, richiuse l’interruttore, e nel giro d’un minuto, il tempo di dedicarsi ad altro, la stanza torno’ pulita come prima.
E come prima sembrava la tomba di un vivo incompleto. Scese in strada.
Sul portone della vecchia palazzina, si fermo’ ad annusare l’aria.
Nulla di nuovo, l’umanita’ e’ ancora in piedi e nessuno puo’ farci granche’. Amen. Pronti, via, un altro giro d’autoscontri e’ cominciato.

Jenny abitava nel bosco. Sfamati i fratelli, imbocco’ la via di ciottoli. Intorno a lei tutto era verde, salvo l’elefante di ferro blu dell’acquedotto. Cristo, che stupro ! Dopo aver partorito l’uomo, il secondo choc piu’ grosso per Madre Natura doveva essere stato l’acquedotto. Pero’ la sua testa aveva altro a cui pensare per dedicare al mostro di ferro piu’ tempo di quello che serviva ogni giorno per farlo sparire dal campo visivo. Entro’ in citta’ e fece un sospirone. Chissa’ cosa succedera’.

Barse era nel bar. Aveva in mano un bicchiere pieno di latte.
Guardava dentro e sentiva la mucca lamentarsi: “Date il mio latte a chi volete,ma non a Barse !”. Ecco che ritornava la rabbia, la furia cieca. Alice non c’era e se la tenne. Qualcosa pero’ gli scappo’, strinse in mano il bicchiere di carta e qualche goccia si rovescio’ sul bancone. La cameriera cerco’ di fare piu’ in fretta possibile, ma il gestore non aspettava altro. “Sciagurata,io ti licenzio ! Non sei buona a far niente !”
Pianse senza farsi vedere mentre puliva il bancone. Barse cerco’, come qualche volta gli capitava di mattina, di amare l’umanita’ e volle scusarsi. Poi torno’ in se’. Si arrangiasse, la cameriera. Si vede che era quello il suo ruolo nella vita, la vittima. Eppoi lo sanno tutti che e’ inutile piangere sul latte versato.
Dov’era che doveva andare ? Ah,gia’. Il biglietto per Phobos, l’agenzia era dall’altra parte della città’. Prese l’ascensore, l’autobus per la sua destinazione era al settimo livello.
Fu nella sala d’aspetto che noto’ la ragazza, bianca come il latte appena versato, come la coscienza d’un bimbo. I suoi occhi…erano verdi o castani ? Forse un’altra che seguiva la moda delle lenti cangianti. Hanno sporcato anche questo, non si puo’ rimanere folgorati da una ragazza senza pensare che e’ in parte artificiale, non molto diversa da un’Alice qualsiasi.
Jenny non capiva perche’ il ragazzo coi capelli corti continuasse a guardare i suoi occhi. A volte avrebbe voluto che fossero insipidi.
Ora si poteva,era anche di moda mettersi le lenti. Ma lei non sopportava il contatto del mondo anche negli occhi. E quel ragazzo che continuava a guardare…
“Non ci siamo gia’ visti da un’altra parte ?”. Per tutti i buchi di
Deimos e Phobos,che razza di pappagallo ! Non aveva proprio nulla di piu’ originale da dire per attaccare bottone ? Liberatene al piu’ presto!!
“No, aspetta, non andare. Rifacciamo tutto dall’inizio, vuoi ? O.K. ciak, azione : dove sei stata tutto questo tempo senza farti vedere a noi mortali ?”.
Questa era appena meglio, ma non bisogna cedere subito…
“Lei cade in palese contraddizione, signore. Prima dice di avermi gia’ vista, poi mi chiede come mai non mi ha incontrato prima di oggi…”
“Lo faccio solo per rompere il ghiaccio. Su, non fare la ritrosa, il racconto prevede che io e te ci incontriamo, tanto vale fare conoscenza subito, no ?”
Beh, forse non era antipatico del tutto. Magari solo un po’ invadente.
“Sono Jenny,del bosco Nord”
Una dei boschi ? Una dei boschi !!! I boschi erano la terra promessa di Barse, erano il luogo dove si svolgevano le favole, l’unico trapianto di Terra che non fosse frutto di una sintesi o di qualche trastullo idroponico dei chimici.
“Com’e’…com’e’..laggiu’ ?”
La ragazza fu stupita dalla domanda. Tutti in genere vedevano i boschi con sospetto, come una cosa da nostalgici persi, fuori dal mondo.
Negli occhi di Barse invece non c’era disprezzo, solo la luce che appare nello sguardo del bambino davanti a una vetrina piena di giocattoli nuovi, bellissimi e impossibili da comprare. Era curiosita’, avidita’ di sapere.
“Vuoi vedere tu stesso ?”
Oh.si’, si’, avrebbe voluto, ma c’era quel dannato biglietto per
Phobos da andare a prendere, un accidente pigliasse Marte e tutti i suoi satelliti.
“Io…non posso !”
“O.K,come non detto. Ci vediamo piu’ vecchi”.
Arrivo’ l’autobus a reazione. Jenny sali’, e lui non la vide piu’ per due anni. La ripenso’ ogni tanto senza cercarla.
Ora aveva 23 anni e mezzo, era cresciuto, diverso, in un certo senso guarito, anche se la metamorfosi non era ancora completa. Era ad un punto di stallo, gli mancava un catalizzatore di processi psicologici.
Alice in quei due anni aveva assunto spesso la forma del grillo parlante, altre volte quella dell’istinto, se l’istinto puo’ avere una forma. Fu un 4 aprile, giorno di Marte, che la rivide.
Stava galleggiando in pieno centro, con gli occhi puntati ai lati del nastro trasportatore B. Non si accorse che Barse la guardava dal nastro A. Al primo nodo, Barse cambio’ nastro e la segui’, rischiando una multa perche’ sui nastri non si puo’ correre, sono loro a portarti. E invece lui doveva avvicinarsi; corse superando le gente che aveva davanti, buttandola quasi giu’ e collezionando una serie di insulti e nomi che avrebbe potuto scrivere un vocabolario e coi resti collaborare a una qualche rivisita culturale.
“Perso qualcosa ?”, le domando’ piombandole addosso da dietro e facendola sobbalzare. Lei stava per allontanarsi, poi lo riconobbe.
“Il mio portacrediti. Ah, dimenticavo: ciao”.
“Ciao. Come te la sei passata in questi due anni ?”, chiese Barse cercando a destra del nastro mentre lei guardava a sinistra.
“Sopravvivo”.
Che risposta, anche lui sopravviveva. Pero’ aveva ragione, gli altri davano tanta importanza alla propria vita, ai gesti, agli atteggiamenti. Lui se la sentiva scorrere sul corpo come l’acqua nelle docce disegnate al museo San Peter, dove portava il nastro B. Era cambiato tutto, tranne quel senso sgradevole di vivere una doccia continua. Decisamente sopravviveva anche lui. Piuttosto,come aveva fatto una donna ad avere un pensiero profondo e distaccato assieme? E diverso da quelli alla moda ?
Era sempre piu’ bella, e i suoi occhi cangiavano. Non erano lenti, la moda era andata persa nei ricordi degli edonisti piu’ assatanati.
Erano i suoi occhi. Era pulita, quindi.Barse si stava innamorando. Non cosi’, non vale, non e’ possibile.
“Tu cosa senti ?”, gli usci’ dalla bocca prima che riuscisse ad impedirlo.
“Cosa dovrei sentire ?”,rispose lei.Va bene, come non detto, coitus interruptus. Il portacrediti non salto’ fuori. Si separarono perche’ era ora di pranzo. La rivide qualche altra volta, e quando era solo pensava a quello che aveva provato quel giorno sul nastro B. Pensava se era ancora vero. Un po’ sbiadito, forse, ma ancora vero.

Aveva cominciato a lavorare per il Deimos Tribune. Ora il lavoro gli piaceva, ma all’inizio tutte le cose nuove gli piacevano. Era dopo che la smania passava, e lui si ritrovava ad odiare le cose e se’ stesso che le aveva apprezzate. Questa continua ridiscussione lo stava stremando. E Alice, sempre piu’ grillo parlante, non e’ che lo aiutasse molto. Naturalmente non si chiamava Alice, il nome sul catalogo era qualcosa con dieci X, Y, Z, ma nessuno in famiglia voleva rovinarsi la lingua per dire il nome di un ologramma computerizzato.
Eppoi andava ancora di moda dare nomi agli schiavetti. Alice era stata tarata su Barse,era lui che ne aveva bisogno. I suoi erano troppo egoisti per ammettere di sentire la necessita’ di uno psichiatra parassita robot, anche solo per concepirlo. Il matto di casa d’altronde era lui, gli altri due erano una maggioranza e come tale avevano agito infischiandosene della minoranza, i cui ideali sono sempre belli e santi, basta che non rompa piu’ di tanto.

All’inizio Alice lo aveva aiutato. Captava quello che succedeva nel suo corpo e nella sua mente. Lo avvertiva quando c’era bisogno d’intervenire. Non era un mago, piuttosto un rilevatore di guasti.
L’antifurto non ferma i ladri, ma fa accorrere gente. O meglio, faceva, ora non gliene frega piu’ niente a nessuno, basta che ci lascino dormire in pace. Alice era un antifurto contro le malattie, non solo fisiche. Se la depressione di Barse raggiungeva il punto di rottura, lei gli parlava e lo calmava. Non era difficile, doveva solo dirgli le cose giuste. Era stata programmata per questo. La forma che assumeva era adatta all’occasione. Quando Barse era troppo euforico, ad esempio, lei diventava un grillo parlante, faceva emergere qualche senso di colpa e lo stabilizzava. Inizialmente ci riusciva, poi lui aveva capito il trucco e non le aveva dato piu’ ascolto. A quel punto
Alice avrebbe anche potuto essere disattivata e buttata nell’inceneritore, o rivenduta al mercato dell’usato, ma i genitori di
Barse non s’erano neanche accorti che lui aveva bruciato l’esperienza piu’ in fretta di quanto la loro voglia di mancanza di responsabilita’ avrebbe detto. Alice, per conto suo, non era programmata per fare bilanci. Se anche non otteneva risultati doveva continuare a lavorare per raggiungere qualcosa che somigliasse ad un equilibrio. La gente come i genitori di Barse riteneva fondamentale che i propri figli crescessero equilibrati. Sulla Terra avevano pedagoghi, maestri, insegnanti, mogli, mariti. Ora, avevano ologrammi computerizzati.
Alice rimaneva spenta spesso, dopo che Barse aveva capito che non gli serviva piu’. Una mattina, era il 16 ottobre, lui doveva andare in città’. Prese un autobus, poi un ascensore, e si porto’ al quarto livello. E fu li’ che incontro’ ancora Jenny. Ma non ebbe il tempo di salutarla, perche’ l’autobus a reazione arrivo’, e sopra c’erano due uomini tinti di verde e due pistole nelle loro mani.
“Salite tutti, presto !”. Salirono in fretta, l’autobus usci’ dalla corsia luminosa e punto’ verso nord. In un quarto d’ora avevano rischiato quattro scontri, ma erano sulla perpendicolare del bosco
Nord. “Quello e’ il bosco”, indico’ Jenny col dito. Ma Barse non era nelle condizioni ideali per apprezzare la visuale.
“State tranquilli, non vi faremo niente”. I dirottatori non sembravano agitati, e del resto non e’ che ce ne fosse motivo. Ormai quelli dell’OLP erano professionisti che sapevano cosa fare. Sequestravano un autobus, lo costringevano a puntare verso i poli, e quando erano arrivati lo lasciavano libero. Se non danneggiavano i sistemi di trasmissione, c’era il tempo di chiamare Mars 1 e farsi venire a prendere da un altro autobus prima che l’ossigeno finisse. Altrimenti, i passeggeri potevano provare a tornare alla cupola a piedi, con i respiratori individuali. Pero’ gli autobus erano spesso affollati, e le maschere non bastavano mai per tutti. In genere, si aspettava finche’ l’ossigeno dell’autobus non era al limite nella speranza che ne arrivasse un altro, poi si scatenava la rissa per la maschera.
Questa volta c’erano parecchi posti vuoti, non ce ne sarebbe stato bisogno. I passeggeri erano altrettanto calmi, i disintegratori erano piu’ convincenti dei discorsi del rappresentante del proprio partito dopo le elezioni. I terroristi non avevano interesse ad ammazzare per gioco, meglio era che gli abitanti di Mars sapessero quanto erano veloci e sicuri nel fuggire. Piu’ testimoni, piu’ pubblicita’ gratuita. A volte bambini di dodici anni cercavano di arrivare ai loro covi, con la testa piena delle imprese dell’organizzazione per la liberazione dei poli.

Forse fu lo choc della situazione, forse il fatto di trovarsi sbattuto in un angolo dell’autobus con lei vicina, sdraiati, ed il profumo della sua pelle che gli faceva perdere il controllo. Forse lo volle il destino, o un qualche Dio, o un qualche io. Sta di fatto che lui si ritrovo’ a dire parole importanti, e anche stavolta non riusciva a fermarsi.
“Senti, pensavo che potremmo mettere assieme qualcosa di importante, mi piaci molto”.
“Me n’ero gia’ accorta, anche se non riuscivo a crederci. Siamo molto diversi. Non posso risponderti adesso, ho bisogno di tempo”.
“O.K.,aspettero’…”. Avrebbe voluto continuare, ma fu zittito dai terroristi. Poi accadde quello che doveva succedere, loro furono liberati, i sistemi di trasmissione lasciati intatti, chiamarono Mars
1 e furono recuperati in fretta. Mentre faceva una doccia, Barse pensava a quel saluto abbastanza imbarazzato che si erano scambiati.
Accese il videosmell, annuso’ un programma che quantomeno non lo facesse vomitare e si addormento’ sulla poltrona anatomica. Pensando a cosa gli avrebbe risposto Jenny.
Si incontrarono due giorni dopo, per un accordo non detto, alla stessa fermata. Stavolta lui’ sali’ sull’autobus, controllo’ che non ci fossero sorprese, poi la guardo’ dalla porta mentre lei stava per salire, quasi per farle capire che doveva varcare due soglie contemporaneamente. “Allora ?”
“Ho deciso di si'”, rispose lei con aria candida.
Lui fece prima un salto di gioia, poi grido’ “Uaaaa!” e comincio’ a correre per tutto l’autobus, gli fecero una multa e diede all’omino in divisa il doppio dei soldi, con la mancia ulteriore di un bacio schioccato in fronte. Poi comincio’ a guardarla in modo avido, cercando di assorbirla. Scesero dall’autobus, lui continuava a fissarla negli occhi. “Ecco,io..”
Fu lei a baciarlo.
“Non volevo farti credere di avere troppa fretta”, rispose a testa bassa, vergognandosi di avere fatto la figura dell’imbranato.
“Non ti preoccupare”.

Di tempo ne e’ passato. Lui ha capito cosa vuol dire essere dei boschi, lei ha visto la determinazione ossessionante della città’. Si sono conosciuti, hanno comunicato. Un giorno si sono lasciati, si lasciano, si lasceranno. Non importa. Sono stati in comunione. Hanno ricordi bellissimi e non stereotipati, non da raccontare davanti al camino nucleare ai nipotini, con la consapevolezza che ti ascoltano solo perche’ sei parte del mondo dei dinosauri. Hanno ricordi veri, quelli che scaldano il cuore e formano un groppo in gola. Non importa quanto tempo sono stati, sono, saranno insieme. Hanno avuto, hanno, avranno un contatto diretto. E’ come in quella canzone: “Io mi dico e’ stato meglio lasciarsi che non essersi mai incontrati”.

E sullo sfondo,il cantastorie del secolo ventesimo aleggiava. Per forza, era ormai un fantasma. Si chiamava Stefano Benni. Ripeteva il suo urlo, il suo monito che nessuno sembrava voler ascoltare sul serio….

“O voi che credete che indifferenti e rassegnati invecchierete, contenti che non c’e’ una bocca che vi puo’ ferire o una foto sul muro che non vi fa dormire non c’e’ niente da fare non si puo’ scappare ! guardate e’ dietro ! vi guarda goloso chissa’ da quanto lui vi seguiva vi prendera’ ! non c’e’ scampo ! vi ha preso ! evviva ! evviva !
Prima o poi l’amore arriva “

IGNATZ

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