Come ormai è consuetudine, anche questo mese molto materiale “affolla” la rubrica dedicata ai SUSSURRI dei lettori-scrittori di KULT
Underground. E ai normali racconti, e alle poesie più o meno ipertestuali, si aggiunge, quasi come fatto dovuto, anche il primo testo “a salti” della storia della nostra rivista.
Che cos’è, direte voi, un testo a salti?
Beh, se avete “percorso” la rivista diligentemente fino a questo editoriale, allora probabilmente già ne avrete una idea (non vi sarà in fatti sfuggita la neo-rubrica GAMEBOOK), altrimenti, se il vostro desiderio di assaporare un po’ di letteratura “underground” è stato tale da piombare direttamente qui, vale la pena sprecare due parole affinchè possiate gustare il lavoro di Antonello con un minimo di cognizione di causa.
Un testo a salti, orrendo soprannome per indicare qualcosa più comunemente definito “storia a bivi”, è un modo un po’ particolare di intendere una narrazione. La storia, invece di essere un flusso univoco di fatti, nei confronti dei quali il lettore si deve mettere semplicemente a “disposizione”, è una sequenza di parti, collegate tra di loro in modo tale che sia possibile più di un finale.
Le decisioni che chi legge deve prendere permettono di “pilotare” la vicenda in modo da viverla in maniera più “personale”. Un parallelismo, giusto per darvi un’idea del grado di libertà che il lettore ha, può essere il gioco al laser Dragon’s Lair.
Non potete sempre cambiare il continuum, ma in punti specifici vi viene chiesto di farlo, e in quel momento compiete una svolta che influirà su ciò che vi verrà proposto in successione.
Non so se a questo punto avrete un’idea più precisa di cosa vi verrà proposto in “The bird is away”, oppure la vostra confusione mentale avrà raggiunto un livello tale da preferire passare oltre.
Se pensate che il gioco valga la classica candela, avrete il modo di leggere un delicatissimo e molto avvincente tributo non solo al cinema, ma ad una buona parte della cultura televisiva e fumettistica delle ultime decadi.
Cogliere tutti i riferimenti sarà probabilmente impossibile, ma ugualmente la sensazione di deja vu che vi prenderà in ogni scena, vi farà sentire a casa vostra e a vostro agio durante tutta la durata della vicenda, che si snoda in sei differenti finali.
You sing your dreams alone di Marco Giorgini è una poesia in inglese
(con anche la traduzione in italiano) che parla della difficoltà di non soffrire quando si cerca di mantenere rapporti con persone con le quali non si è “in linea”.
La seconda poesia di questo mese,Untitled, di Matteo Ranzi, è dedicata, come del resto la terza, alla figura di una ragazza amata.
Il tono dei due componimenti è però abbastanza diverso. In Untitled infatti, l’immagine della persona che si allontana, il viaggio come ricerca di una felicità che non si può trovare dove si è, e con chi si vorrebbe, è quella del viandante, del rambler. Il continuo richiamare una certa sequenza di cose (la brughiera, l’Inghilterra, le stelle), tende a far vedere l’io narrante come una persona alla ricerca in primis di se stessa, e con un’incapacità congenita di fermarsi in un rapporto stabile.
Al contrario Ehi piccola, esplicitamente messa in relazione dall’autore a Ehi Matteo, proposta il mese scorso, è un discorso tra il brioso e il maliconico compiuto in un ambiente definito: la propria casa. Il desiderio nei confronti di chi si ama è tutto integrato nella routine della vita di tutti i giorni (o al peggio, nella routine della vita svolta nei fine settimana), e l’inevitabilità delle cose, ed il vuoto, si fondono nella ricerca non più della fuga, ma della stabilità dell’amore come unico punto capace di dare concretezza al tutto.
L’illusione di Asia 68 (scritta nell’ipotetico diario dell’autrice il
21 agosto dell’ottantasei) è una stupenda premessa, all’altrettanto ricca e definita 6-10-86. Il tono debole, quasi sussurrato di una diciottenne alla presa con la vita, in queste poche righe di premessa prendono forza, e definiscono nettamente i limiti tra il reale e l’immaginario, tra il vuoto e ciò che si vede al di fuori di se stessi. L’illusione finisce con il sorgere del giorno. Il sole porta via tutte le speranze che l’attesa del mattino ha avuto come compagni di viaggio.
Ma nella poesia più lunga, 6-10-86, appunto, neanche questo è più vero. In una, a mio parere, stupenda trattazione sul tema, il discorso iniziale viene non rovesciato, ma completato, mostrando come l’attesa del compimento delle proprie speranze, muore non solo ogni mattina, ma anche e soprattutto ogni sera, quando il primo buio dimostra la fine del tempo a disposizione, e, voltatisi indietro nulla c’è di fatto. La notte rimane però il momento in cui si aspetta con ansia che altro tempo ci sia dato in mano, il momento in cui ogni nuovo desiderio rinasce, pur consci della difficoltà estrema che la grandezza delle nostre aspirazioni venga soddisfatta, giorno dopo giorno, come vorremmo.
Torno a casa di IGNATZ (che dopo tanti mesi di “anonimato” ha deciso di rompere il segreto e svelare ai lettori di KULT la sua vera identità, ma per questo dovete arrivare fino ai CREDITS), interrompe, come normalmente fa, questa sequenza di poesie dedicate ai sentimenti.
Questa sua poesia ci porta in altri luoghi, dove cioè l’ironia e il surrealismo aiutano a vivere ciò che ci circonda in modo differente.
Lo spunto per questa poesia sembra essere una di quelle storie dei telegiornali, che noi spesso associamo ad un modo di vita molto americano, e lo stile è quello, già proposto anche il mese scorso, del discorso diretto, del dialogo con il lettore.
La forza di un componimento del genere consiste nell’abilità di svelare il carattere dell’oggetto del discorso, in questo caso la figura della madre del protagonista, piano piano, come se si stesse togliendo un velo dopo l’altro, fino a rivelare un quadro bizzarro e piacevole, che non mancherà di fare riflettere e sorridere insieme.
Ode alla ragazza che traduce le Ecloghe di Virgilio, di Antonello, ultimo componimento poetico di questo mese, mantiene in parte il tono
“leggero” di IGNATZ, creando un testo estremamente ritmato e veloce.
Già dal titolo si può intuire l’aria di scherno che l’autore vuole attribuire alla sua opera, dipingendo con mano sicura il ritratto di una ipotetica ragazza incontrata in biblioteca (o meglio,
“bibblioteca”), le cui caratteristiche principali non sono sicuramente il portamento e la classe.
Divertente contrapposizione di scritti più “seri”, in cui è l’agonia la sensazione con cui ci si pone di fronte all’oggetto del proprio discorso, è sicuramente una validissima chiusura dell’area dedicata all’ispirazione delle muse.
Nuova comparsa sulle nostre pagine è Stefano Cipriani, che, personalmente, spero voglia continuare a collaborare con la nostra rivista, dopo questa sua prima apparizione in SUSSURRI. Il suo racconto breve, il cui titolo “…ma gli uomini grandi non saranno cresciuti mai” è una citazione di una canzone di Enrico Ruggeri, è un testo che vi consiglio di non perdere assolutamente. Sia lo stile narrativo sia il modo di proporre questa storia circoscritta in un periodo ben definito, sono tali da rendere godibilissimo il finale, che difficilemente si riesce ad intravedere se non in ultime battute.
Inoltre l’atmosfera stessa che si respira fin dalle prime righe è abbastanza concreta da far apparire perfettamente il quadro della situazione, anche a chi, come il sottoscritto, non ha mai partecipato ad un campo estivo… ma di più non voglio dire. Lo so che non è un giallo, ma a mio parere la forza di questo scritto è anche quella di avere come caratteristica in comune a “Torno a casa” l’abilità di avere qualcosa di nuovo da svelare, passo dopo passo.
Contatto, sempre di IGNATZ, ha un’ambientazione futuristica estremamente dettagliata e avvincente, e ripropone, sempre in chiave ironica e a tratti comica, la tematica dei rapporti con gli “altri”, con la società (intesa come blocco unico nei confronti del quale ci si deve forzatamente o integrare o entrare in lotta), e con le persone con le quali si vuole andare oltre alla semplice stretta di mano.
Il quadro è poi arricchito da una serie di particolari, potremmo definirle quasi “pennellate”, che qualificano e quantificano un mondo immaginario diverso dal nostro, ma non così diverso, se si riesce ad eliminare quella paratia che copre i concetti per mascherarli, e che permettere così loro di colpirci, senza offenderci.
Un altro ottimo lavoro di IGNATZ che ci sta viziando ormai da tempo con testi “impegnati” e surreali, tanto da non riuscire più a classificarli per somiglianza con altro che con se stessi.
Il treno di Raffaele Gambigliani Zoccoli, racconto arrivato sul filo del rasoio, ma che abbiamo ovviamente accolto con piacere, è una gradevole assonanza di richiami Kafkiani: dalla descrizione di una situazione apparentemente familiare a tutti (un viaggio in treno), che nasconde però qualcosa di inquieto, alle elucubrazioni a più livelli dell’io narrante, che arriva, in un angosciante e avvicente susseguirsi di immagini, a strangolarsi con la propria fantasia.
L’elemento femminile, quasi immancabile nei racconti di Raffaele, e la figura del controllore, stupiscono per la loro “vaga” concretezza e gli accenni alle regole non normali del mondo in cui tutto avviene, magistalmente presentate come semplici considerazioni, danno una ricchezza al complesso in poche e semplici righe. Gli “attori”,poi, che sono abbozzati quel tanto che basta perchè possano viaggiare nella mente del protagonista, acquistano un senso di distanza e malizia che non mancheranno sicuramente di colpire l’immaginazione.
In ultimo In the evening. Racconto di Marco Giorgini (che, per chi non l’avesse capito, sarei poi io, e fra l’altro mi vergogno un poco a commentare da solo le mie opere) vuole essere un “tributo” al film francese “L’odio” e ad una parte di quella letteratura cyberpunk che prende come punto di inizio i conflitti sociali degli emarginati.
Unico avvertimento, il testo, per esigenze di trama, contiene termini volgari.
Ok. Anche per questo mese è ora del “passo e chiudo”. Ma prima rinnovo l’ormai tradizionale invito (questo mese raccolto da Stefano) di collaborare con noi, inviando racconti o poesie, o perchè no, “storie a bivi”. Pensateci su, e mentre lo fate, premete F5 per iniziare a leggere il racconto di apertura di questo numero.