«Demain, je veux que les droits de ceux qui nous succéderont
soient inscrits dans les devoirs de ceux qui existent»
(Jacques-Yves Cousteau)
Potrebbe essere considerato uno sterile esercizio accademico dissertare sull’effettività di diritti in capo a quei soggetti che, facendo parte di quella posterità che ha da venire, non soltanto non sono ancora presenti perché non nati, ma non sono nemmeno considerabili come entità potenziali; tuttavia, la sensibilità che contraddistingue i cultori dei diritti umani porta a prendere in esame tutte le categorie di soggetti meritevoli di particolari tutele in ragione delle loro debolezze e, tra questi, le generazioni future per diversi ordini di motivi.
Non si deve risalire sino al famoso Rapporto sui limiti dello sviluppo commissionato dal Club di Roma[1] nel 1972 per riconoscere che il limite fisico delle risorse naturali esistenti non consente una crescita indefinita e incondizionata della società umana così come noi oggi la conosciamo e comporti in capo alle generazioni presenti una qualche “attenzione” verso quelle future.
Proprio simile “attenzione” è oggetto di diversi strumenti di diritto internazionale e di riflessioni dottrinarie relative alla configurabilità di diritti delle generazioni future.
Già la Carta delle Nazioni Unite[2], sottoscritta a San Francisco nel giugno del 1945, riportava nel suo preambolo la volontà dei popoli ivi riuniti di «preservare le generazioni future dal flagello della guerra» con ciò denotando un primo sentimento di solidarietà ultra-generazionale derivante dall’esperienza del secondo conflitto mondiale che si era appena concluso; nel 1972, in seno all’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, viene perfezionata la Convenzione relativa alla protezione del patrimonio mondiale, culturale e naturale[3] che, al suo articolo 4, contempla espressamente l’obbligazione per ciascuno Stato parte di assicurare «la trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale» così come definito ai precedenti articoli.
Sin qui, però, risulta ancora arduo delineare veri e propri diritti. A partire dal 1979, il Comandante Jacques-Yves Cousteau[4] lancia la sua campagna, di carattere privato ma dotata di una rilevante incisività mediatica, per la ratifica di una Dichiarazione dei diritti delle generazioni future: nel giro di pochi anni le firme raccolte raggiungono quasi i 10 milioni in più di 100 paesi.
I diritti proposti dal famoso oceanografo sono ricompresi in cinque semplici ed efficaci articoli nei quali si riconosce il diritto delle generazioni future ad una Terra indenne e non contaminata (art.1), il dovere di tutte le generazioni di amministrare oculatamente il patrimonio-Terra nel rispetto dei posteri (art.2), la responsabilità di ogni generazione di sorvegliare le conseguenze del progresso suscettibili di nuocere alla vita sul pianeta, agli equilibri naturali e all’evoluzione dell’umanità (art.3), i governi, le ong e tutti gli individui sono chiamati direttamente a porre in essere ogni misura necessaria per tutelare tali diritti (art.5), vegliando pure che non vengano sacrificati a imperativi di convenienza immediata (art.4).
Per quanto suggestivo possa essere questo documento e il movimento di società civile ad esso conseguente, bisogna attendere il 1992 e la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo[5] tenutasi a Rio de Janeiro per ritrovare affermato, al Principio 3 della sua Dichiarazione, che «Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare in maniera equa i bisogni relativi allo sviluppo e all’ambiente delle generazioni presenti e future» e, successivamente, che «Le risorse e le terre forestali devono essere gestite in maniera ecologicamente sostenibile al fine di rispondere ai bisogni sociali, economici, ecologici, culturali e spirituali delle generazioni attuali e future».
Ma è poi nel 1997, sempre in ambito Unisco, che si addiviene alla solenne proclamazione della Dichiarazione sulle responsabilità delle generazioni presenti verso le generazioni future[6]: un atto questo privo di cogenza giuridica ma dotato di grande rilevanza politica e importante per l’evoluzione della riflessione sulla soggettività giuridica dei posteri.
L’agile testo della Dichiarazione sottolinea la necessità per le attuali generazioni di considerare adeguatamente i bisogni e gli interessi dei propri discendenti e chiarisce subito l’obiettivo perseguito: assicurare da subito un futuro sostenibile alle prossime generazioni.
Tra i principi fondamentali ricordati nel Preambolo si ricorda «La necessità di stabilire legami nuovi, equi e globali di partenariato e di solidarietà intragenerazionale […]; la constatazione che la sorte delle generazioni future dipende da decisioni e misure adottate oggi e che i problemi attuali […] devono essere risolti nell’interesse delle generazioni sia presenti che future».
I dodici articoli di cui si compone la Dichiarazione prevedono, nei settori dell’educazione, della scienza, della cultura e della comunicazione, specifici dispositivi di salvaguardia dei bisogni e degli interessi delle generazioni future. In materia di ambiente, ad esempio, l’art.4, riconoscendo che «ciascuna generazione riceve temporaneamente la Terra in eredità», dispone che si dovrà vegliare a «utilizzare ragionevolmente le risorse naturali e a fare in modo che la vita non sia compromessa da modificazioni nocive degli ecosistemi e che il progresso scientifico e tecnico in tutti i settori non nuoccia alla vita». Idea ribadita dall’art.5 che invita a fare in modo che le generazioni future non vengano esposte a contaminazioni che metterebbero in pericolo la loro salute o la loro stessa esistenza.
Ricordando poi il fattore culturale, la Dichiarazione indica come necessità per le generazioni presenti di «identificare, proteggere e conservare il patrimonio culturale, materiale e immateriale e di trasmettere questo patrimonio comune alle generazioni future» (art.7). Una uguale attenzione si ritrova relativamente alle questioni dello sviluppo e della biodiversità, ambiti per i quali si richiede da una parte di «assicurare le condizioni di uno sviluppo socio-economico equo, durevole e universale […], in particolare attraverso un utilizzo giusto e prudente delle risorse disponibili al dine di lottare contro la povertà» (art.10) e, d’altra parte, di proteggere il «genoma umano nel rispetto della dignità umana» (art.6).
Altre voci importanti della Dichiarazione riguardano la ricerca della pace, il rispetto della diversità e i diritti umani, basi del lavoro dell’Unesco: le presenti e future generazioni dovranno, pertanto, poter scegliere liberamente «il proprio sistema politico, economico e sociale e preservare le proprie diversità culturali e religiose» (art.2), parimenti dovranno imparare a «vivere insieme pacificamente, in sicurezza, nel rispetto del diritto internazionale, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali» (art.9) e lottare contro ogni forma di discriminazione (art.11).
Per l’applicazione di quanto previsto, l’Unesco chiede l’impegno degli Stati, ma anche delle organizzazioni internazionali, delle ong e di tutta la società civile, così sottolineando ulteriormente che la Dichiarazione è dotata di una mera valenza politica (art.12).
A questo punto, parlare dell’esistenza di una categoria di veri e propri diritti in capo alle generazioni future e, di contro, della soggettività giuridica delle stesse, richiederebbe una disamina puntuale delle dottrine relative alla capacità di esser titolari di diritti e alle caratteristiche che tali diritti debbono avere per essere tali.
Per non prolungare eccessivamente il discorso, si faccia riferimento a quanto sviluppato dalla dottrina in merito ai diritti umani di quarta generazione[7]: tale categoria riconosce un maggior favore per la dimensione comunitaria e collettiva della titolarità di situazioni meritevoli di tutela rispetto a quella individuale e privatistica, anche per soggetti non ancora esistenti. Questo, però, attraverso l’impiego di una teoria dei doveri certi posti a carico di determinati soggetti presenti nei confronti dei soggetti futuri nei quali si presume potranno esservi analoghi bisogni e, di conseguenza, simili diritti. Si arriverebbe, così, all’individuazione di una serie di doveri che discendono da un principio di solidarietà e “simpatia” umana più che da vincoli giuridicamente rilevanti.
Ma tutta la gamma di diritti, e di conseguenza di doveri, è in continuo divenire e l’umanità ha già dimostrato di essere in grado di sviluppare categorie tali da ricomprendere e spiegare ogni necessità: sicuramente, nel prossimo futuro sarà in grado di rispondere in maniera adeguata pure a questa sfida.
I nostri posteri ce ne saranno grati!
«Si par mon uvre j’ai pu permettre à nos enfants et à ceux qui ne sont pas encore nés
de vivre dans la symphonie du monde, j’aurai rempli ma mission»
(Jacques-Yves Cousteau)
[1] Cfr. http://www.clubofrome.org.
[2] Cfr. http://www.un.org/french/aboutun/charte/preamb.htm.
[4] Cfr. http://www.cousteau.org.
[5] Cfr. http://www.un.org/french/events/rio92/rio-fp.htm.
[7] Cfr. Riccobono F., Soggetto Persona Diritti, 1999, Napoli, in particolare il cap. V, I diritti umani della quarta generazione.