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Pulendo il culo di mia madre

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Pulendo il culo di mia madre[1] è un dramma teatrale di Iain Heggie, drammaturgo scozzese nato nel 1953 a Glasgow, che – come si legge in una nota introduttiva al testo – appare influenzato da David Mamet, scrittore di teatro molto importante di cui si possono ricordare: Reunion, Dark Pony,  Crittogramma.

Il testo è composto da due atti che corrispondono a due giornate consecutive alla casa di cura dove alloggia Andrene, vecchia madre della storia, appare personaggio costruito pensando ad una bambina totalmente disinibita, capricciosa e amorale. È lei l’anima del dramma che continua a ripetere sempre: “Devo andarmene. Tirami fuori di qui” o “Ho 120.000 sterline che mi ha lasciato mio marito”, quasi come se fosse una filastrocca, e ancora: “Cambia le lenzuola. Pausa. Ma non devi guardarle. C’è un po’ di cioccolata!” fino ad arrivare alla fine del dramma in un crescendo di affermazioni che le scappano quasi di bocca e davanti a tutti rivolgendosi a suo figlio e al suo ex ragazzo dice: “Devo andarmene di qui, razza di maiali puzzolenti. Vi piaceva farvi il solletico. Vi divertivate a sculacciarvi. Tu hai perso il lavoro al Dipartimento di Soldati Sexy. E pensi di portarmi via il gelato. Ma io lo farò arrivare qui apposta, appena avrò comprato i mie nipotini.”

L’autore quindi individua delle situazioni sociali universali e le descrive nel dialogo con cruda ironia e una vena sottile di cinismo fino a sfociare a volte (soprattutto nei dialoghi madre-figlio) nel non-sens beckettiano e quindi in un sistema linguistico di ripetizione e ribaltamento di parole e significati che creano momenti divertenti e inaspettati, estranianti, che però fanno riflettere lo “spettatore” sulla vacuità della comunicazione e l’ingiustizia della vita? No, quest’ultima affermazione è di troppo, infatti l’autore non vuole evidenziare quello che è giusto o sbagliato ma semplicemente mostrare come vanno le cose in un oggi come sospeso tra quattro personaggi emblematici: una vecchia, suo figlio con la sua nuova compagna e l’ex ragazzo gay di lui che tra l’altro è l’infermiere di sua madre. L’intreccio dunque è basato sullo svelare il passato, un passato che non si supera mai del tutto, un passato di rapporti abbandonati senza un addio, senza un saluto, un passato che lascia al presente cose guaste, simbolicamente rappresentate dal cardigan giallo della vecchia Andrene, regalatole da suo marito, ormai infeltrito dalla lavandaia della casa di cura, forse starebbe bene solo ad una bambola. Un presente che si carica nei discorsi dell’infermiere e dalla compagna di Derek di frasi riciclate da “C’è posta per te” di Maria, che diventa per i due quasi una sorta di Bibbia o documento guida dell’esistenza per comprendere l’oggi e sapere come comportarsi, cosa accettare oppure no.   

Il dramma si conclude con Andrene che cerca di alzarsi dalla sedia a rotelle e dice:

“C’è il ministro della moglie

Il ministro è un poco pazzo

A lei prendono le voglie

E si lancia sul suo…

 

(Al pubblico) Sapete come continua? Disgustosa, vero? Me l’ha insegnata quello stronzo di Derek. Me l’ha insegnata e ha perso il posto al Dipartimento di Morte e Distruzione. Tanto siete tutti uguali: una manica di stronzi bastardi pezzi di merda! E io me ne andrò da qua!

 

Inizia a sollevarsi a fatica.

 

Ve lo giuro! Ve lo giuro! Ve lo giuro!

 

Quando pronuncia l’ultima parola è tornata in piedi. Buio improvviso.

 


[1]              AA.VV., Teatro scozzese, Ubulibri, Milano, 2007.

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