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Europa T&R, Tradimento & Rinnovamento

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«There are two kinds of Europeans: the smart ones and those who stayed behind»
(Henry Louis Mencken)
 
In molti lo ripetono da anni a gran voce: «L’Europa deve rinnovarsi!»; gli avversari accusando il fallimento del progetto, i critici denunciando l’esaurimento della ragion d’essere della costruzione, i sostenitori riconoscendo la necessità di una riforma dell’impianto che non si limiti ad un intervento, seppur pesante, di chirurgia estetica.
Io sono sempre stato riconosciuto come un euroentusiasta ma, non per questo, ho lesinato critiche all’impianto dell’UE[1].
Oggi, in questo scenario di perdurante crisi di senso, ove da più parti giungono inviti a smantellare le istituzioni di Strasburgo, Bruxelles, Lussemburgo e Francoforte per rinchiudersi in anacronistici e miopi “ritorni al passato”, mi sento quasi in obbligo di condividere una riflessione per provare a costruire un futuro possibile per l’Europa in cui credo.
 
Il tradimento delle istituzione europee
Il sistema dei trattati che regola l’Unione Europea vede il suo perno nello storico disequilibrio istituzionale tra Consiglio, Commissione e Parlamento dove entrano in contrapposizione gli interessi degli Stati membri e dell’Europa.
La burocrazia europea ha tradito le aspettative di molti che vedevano nelle Comunità prima e nell’Unione dopo i germi per quegli Stati Uniti che molti auspicavano quale terzo player nello scenario internazionale tra Usa e Urss.
Con l’ultima riforma di Lisbona[2], poi, le stesse regole costituzionali si sono così freddamente tecnologizzate da risultare indigeste anche agli europeisti più convinti.
Per semplificare, e senza nessuna pretesa di esaustività, è possibile offrire delle macroaree dove le istituzioni parrebbe non siano state all’altezza di quanto previsto in origine.
Il Parlamento, luogo di concretizzazione della democrazia rappresentativa dei cittadini europei secondo quanto disposto dall’art. 10 del Trattato sull’Unione, si è trasformato in una zona di sosta per politici di passaggio in attesa di una opportunità per fare “carriera” nel proprio paese. Pochi ne riconoscono il valore, pochissimi vi profondono le energie necessarie, e il peso che ha nello scenario continentale è sempre più irrisorio.
La Commissione, da parte sua, per la storica funzione di “guardiana dei Trattati” «promuove l’interesse generale dell’Unione» (art. 17 TUE), ma non si contano i casi di violazione dei principi di imparzialità e di solidarietà che avrebbe dovuto perseguire con la sua azione per cedere al diktat di questo o quello Sato membro. La stessa composizione risponde ormai ad equilibri geopolitici e non certo a criteri di competenza e interesse europeo.
Il Consiglio, già in origine assise di incontro, confronto e composizione dei nazionalismi e delle visioni di parte, capace di lungimiranza e saggezza nell’applicazione del principio di sussidiarietà come regolato dall’art. 5 del TUE e forgiato da anni di dottrina e prassi «soltanto se e in quanto gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell’azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione». Ma troppo spesso le gelosie e gli egoismi dei singoli governi hanno impedito di condurre azioni concertate per il perseguimento di obiettivi comuni e hanno aperto il campo a vergognose situazioni di stallo o a traballanti soluzioni altrettanto discutibili.
Non parliamo della Banca Centrale Europea che, insieme alle banche centrali nazionali, ha il compito di condurre la politica monetaria dell’Unione in totale indipendenza e d’una maniera completamente scollegata da ogni altra politica (sviluppo economico, sociale, fiscale), vanificando dunque ogni desiderio di reale coesione a livello regionale che si intenda perseguire con azioni concertate.
Parlare di tradimento, dunque, non è eccessivo, e di ben quattro tradimenti: della democrazia rappresentativa da parte del Parlamento; della principio solidarietà da parte della Commissione; di quello di sussidiarietà da parte del Consiglio; dell’obiettivo di coesione economico e sociale da parte della BCE.
 
5 tappe per il rinnovamento
Di fronte a tale situazione, la sfiducia potrebbe dilagare ma sono convinto che sia ancora possibile infondere speranza negli europei, almeno partendo da noi.
E per far questo desidero proporre un percorso di elaborazione valoriale verso una futura Europa che si snoda per 5 tappe e ci permette di superare alcune criticità approdando ad un autentico e sostenibile rinnovamento europeo.
Il benessere economico prima e la crisi poi hanno esacerbato i sentimenti egoistici di cittadini e istituzioni, facendo rinchiudere tutti in quella dimensione di monade egoistica che solo approfondisce la gravità della situazione continentale. Dobbiamo dunque agevolare o riscoprire il passaggio dalla dimensione di individuo a quella di persona quale soggetto capace di relazioni aperte con altri. Un tempo ne eravamo consapevoli e capaci, ora pare che abbiamo dismesso questa abilità.
Fondamentale sarà il superamento del concetto di prezzo di scambio, che considera tutti i rapporti come economici, verso un valore di relazione, che pone al centro i rapporti umani tra persone. Lo scambio si basa sull’utilità che ciascuno ricerca dall’altro, la relazione ha un valore intrinseco che si estrinseca nel momento di incontro.
Dobbiamo ricordare poi che l’Europa mosse i suoi primi passi come comunità economica e che per questo motivo tra i suoi mattoni costitutivi troviamo la creazione di un mercato comune privo di barriere: la forma mentale dell’abbattimento delle frontiere, tipica azione distruttiva con finalità mercantili, è quindi del passato. Per affrontare il futuro, c’è bisogno di adottare lo stile tipico della costruzione di canali o di ponti, azione creativa con finalità cooperative e di comunione, propria di chi è sicuro di sé ed è pronto ad aprirsi agli altri, condividendo ciò che è e che ha per un reciproco arricchimento.
Allo stesso modo, per approdare ad una nuova Europa, dobbiamo trovare la forza di comprendere che la sussidiarietà, tipico principio di buon governo mutuato dalla tradizione cristiana e maturato in decenni di crescita tra Bruxelles e le altre capitali, deve evolvere e trasformarsi: da una sussidiarietà verticale, alto-basso, Bruxelles-Roma-Milano-Cernusco, ad una sussidiarietà circolare, Limoges-Berlino-Afragola-Strasburgo-Avila, ad una vera e propria solidarietà, quale principio di “governo buono”.
Ultimo, ma non meno importante aspetto da considerare, è il processo con il quale continuare la consolidazione della costruzione europea: non più una progressiva integrazione di paesi, popoli e culture, quale sommatoria fagocitante o annessione violenta, bensì un vero e proprio fenomeno di condivisione, un movimento partecipato di moltiplicazione e metabolizzazione.
Davanti a noi, abbiamo la possibilità di aprire una stagione di grande riflessione e riforma. Un percorso che si snoda attraverso concetti chiavi per approdare ad una nuova Europa o, per lo meno, ad una Europa rinnovata: persone che si riapproprino del valore della relazione e costruiscano tra di loro canali per vivere il principio di solidarietà quale pratica di “governo buono” a livello locale e regionale, realizzare in questo modo una piena condivisione di destini e contribuire alla costruzione di una Europa migliore.
Io credo che ciò sia possibile! E credo che in molti condividano questo grande progetto e siano disposti a fare del proprio meglio per realizzarlo.
 

[1] Cfr. dello stesso A., in KultUnderground, Il futuro dell’Europa all’indomani del rinnovo dell’europarlamento, n.226, maggio 2014; Europa: sì no forse meglio di più, n.212, marzo 2013; 3S4E – Subsidiarity, Solidarity & Sovereignty for Europe: una formula semplice per ripartire, n.208, novembre 2012; The European dream has failed: a new project is needful, n.204, luglio 2012; Il Trattato sulla stabilità economica: rafforzamento o fine dell’idea di Europa, n.200, marzo 2012.
[2] Cfr. dello stesso A., In vigore il Trattato di Lisbona, finalmente l’Unione Europea del XXI secolo, in KultUnderground, n.173, dicembre 2009.

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