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Szamanka
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Nel breve incontro tenuto con il pubblico in quel dell’Hotel
Excelsior, il regista Zulawski ha suggerito che i giovani, in Polonia, hanno voglia, e ne hanno il bisogno, di novità e trasgressione. Questo film, ha detto, può essere il ritratto della nuova Polonia, ben accolto dall’avanguardia giovanile ma censurato e maltrattato dalla schiera conservatrice.
Cosa c’è dunque di tanto trasgressivo e irriverente nel film?
La sceneggiatura è di un’autrice che ha studiato alla Sorbonne
-Parigi-, e qualcuno noterà dei riferimenti a qualche filosofia di stampo parigino (io no…), accorgimento ben accolto dallo stesso regista.
La storia, che inizia senza preamboli dalla prima scena, gira intorno ad una studentessa di Ingegneria, una bellissima ragazza lasciatemelo dire, che cerca una stanza in cui alloggiare. Incontra un ricercatore antropologo cui intreccia il proprio destino, in una serie d’eventi che, se all’inizio non sono molto comprensibili, verso la fine sono quasi previsti. La studentessa sembra uno spirito libero in preda a passioni violente e misteriose; il professore è alle prese con crisi mistico-personali tanto da arrivare a confondere la propria vita con gli studi d’antropologia e con la scelta del fratello (sacerdote che muore all’inizio del film). S’incontrano, si amano passionalmente e violentemente, si legano quasi indissolubilmente finché lei risulta costretta ad appropriarsi cannibalmente di lui. Nel mentre, attorno, ruota lo sfondo di una Polonia cupa e disordinata: la madre della protagonista, in rotta con la figlia, che cerca una sistemazione migliore, la fidanzata del professore che vince un dottorato in
Francia sperando in un briciolo di carriera nell’occidente, traffici di droga, sesso e religione.
Una storia normale raccontata da chi normale non sembra, un paese ormai normale raccontato in una maniera inusuale.