Davide Pellizzari e Dona Amati
E. Folci editore, 2006
La sorpresa di questo libro è la suspense. E non ti aspetti che una silloge poetica, per quanto a quattro mai, per quanto inframmezzata da prose poetiche, possa mai suscitare curiosità per la trama, esattamente come un romanzo, perché proprio come in un romanzo subito cominci a domandarti come evolverà la storia e se ci sarà il lieto fine.
Una vicenda d’amore a quattro mani, si diceva, ma in verità in sei, perché ingentilita dalle illustrazioni di Anna Paola Domenicali, che forniscono alla vicenda l’adeguato corredo iconografico ad inchiostro di china: nudi arresi, sognanti, legati nella ricerca del piacere, voluttuosi e plastici nella loro carne.
I protagonisti, un lui e una lei, mai chiamati per nome, si incontrano, fondono emozioni e sensi, dopo una conoscenza sui fili del telefono, e subito balza l’evidenza della diversità.
Subito la foggia del verso prescelta da lui è più volentieri chiusa, col prevalere della terzina, sovente del sonetto, spesso della rima, meglio se alternata, dell’endecasillabo. La cura della forma rivela una ricerca linguistica dalla meticolosità antica, giacché notoriamente il Novecento ha conosciuto la prevalenza del verso libero, con un cesello che implica, oltre la rima, l’allitterazione, in una proposta continua, colta quanto severa. L’impianto ritmico e prosodico è, insomma, ragguardevole. Basti citare il sonetto a pag.40, che comincia In lune d’ambra noi soli offuscati, con la sua rima alternata e i lemmi: foglie, germogli, voglie, scogli, raccoglie, spoglie…
Eppure sembra pagare la maggiore naturalezza, tutte le volte che il verso si mostra meno manipolato e imbrigliato. Allora l’espressione sembra più direttamente collegata al sentire e genera di sicuro maggiore suggestione. Un tecnicismo accentuato comporta talora il rischio di divergere l’attenzione ad aspetti meno ineffabili e più cerebrali.
Lei si riconosce in una maggiore libertà della strofa e del metro. La composizione è sempre libera, di lunghezza diversa, senza rinunciare tuttavia ad un ritmo suadente e alla sistemazione della metafora dai tratti elaborati. Meglio dissimulato il lavorio formale, che non manca (tesa-assoluta-assolata-ansitare, in quattro versi a pag.77) ed è di tutto interesse il pregio semantico.
Entrambi dunque sostengono con la parola una storia d’amore dai segni intensi che si compie nella fisicità. Poesia che del resto s’inquadra nella più remota tradizione, nata, si può dire, con l’istinto sessuale dell’uomo, se si può cominciare dal Cantico dei cantici, nella Bibbia, e si può proseguire con tutta la produzione da Saffo a Catullo a Ovidio e giù, verso di noi.
Benché si debba intenderla proprio come poesia erotica per i riferimenti alla carnalità, in vero i toni restano sempre al di qua di ogni esplicitazione, sempre ben avviluppati nel tono lirico:
…donami di te/le labbra tremule/bagnami il deserto/dei legami,/sei ape alla corolla/ nocchiera dei sussulti,/marina/all’orizzonte/ribaltato,/astro/d’un cielo/frammentato.( D.P.)
Ti berrei amore mio./Berrei le tue gocce di sale/trasudate/dai rintocchi del vento.(D.A.)
Altrove:
abbracciarti è come aggrapparsi a radici sicure.(D.A.)
Quindi, a mio parere, tutti i giudizi su questa poesia che spostano il punto di vista verso il corporeo e non sul sentimento e sull’uso di un linguaggio nobile sono fuorvianti. Insomma, se siamo ben lontani dalla pornografia, anche l’erotismo è addomesticato dal prevalere del cuore e del sentimento.
Ma è soprattutto il modo di intendere la fisicità, l’incontro del desiderio proprio con quello altrui, che distingue il femminile dal maschile. Se l’amore fisico indica anche un percorso di conoscenza, la poesia Pellizzari-Amati veicola contenuti filosofici o spirituali che non sono sempre convergenti.
Acquisito che il compimento della passione non ha tratti soltanto corporei, nel maschile l’atto d’amore è conoscenza di sé, oltre che rimedio alla solitudine. Attraverso la fusione si definisce il proprio spazio e la propria collocazione temporale, in una discesa nel vissuto più profondo che solo durante l’esaltazione fisica è possibile.
Ma tu ora governi le mie incertezze, sei il fuoco della parabola, lo specchio in cui fissare quel breve esito di vita.
Attingere all’altro contiene una rivelazione che possiamo definire autoscienza e sistemazione nell’ordine cosmico e dunque l’amplesso sottintende la possibilità di fondere la doppia forza generatrice dell’universo, secondo le dottrine orientali: nella filosofia tao yang è il principio primario maschile e positivo, complementare e opposto allo yin, che insieme costituiscono l’essenza di tutto ciò che esiste.
Anche in Dona Amati la fisicità implica la discesa nel nucleo di se stessi ma l’emergerne rinnovati è frutto di mediazione. Si viene a galla attraverso l’altro: occorre l’intermediazione dell’altro per appropriarsi della propria vita: Che sarà di noi ora che hai carezzato il mio sesso? Saprai governare le acque che hai liberato?
E molto spesso lei chiede lumi e rassicurazioni, dopo l’amore, al compagno. Dimmi, amore mio,…/se tutto inghiottiremo /nel balenio dei corpi /giù nella voragine accesa….
Il femminile di questa poesia, alla fine, rivela la sua fragilità e inadeguatezza a reggere i pesi della propria vita e del proprio deserto. Il dialogo che dal suo versante è sempre imbevuto di commozione, si intride quasi sempre anche di riconoscenza per colui che ha preso in carico la sua vita.
Si può allora concludere che anche nell’assunzione di ruolo all’interno della coppia, non si evade da un certo conformismo. Non si tratta di un limite: sottolinea al contrario la generosità con cui quasi solo le donne sanno concepire e vivere i propri vincoli.
Roma, 7 gennaio 2008