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Mosca più balena

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(Valeria Parrella – Minimum fax)

Napoli e oltre

Sono le donne a guardarci negli occhi dal libro d’esordio di Valeria Parrella, la trentenne napoletana che ha suscitato sorpresa e interesse coi sei racconti di mosca più balena, cominciando subito a collezionare elogi o segnalazioni e vincendo in successione come opera prima il premio Procida e il Campiello. Sono per lo più donne solide, con progetti articolati e volontà di perseguirli, che si muovono tra vicoli, panni stesi, bassi più o meno sordidi, in mezzo al tumulto del traffico. Riflettono, operano delle scelte e talvolta sono spinte da motivazioni complesse. Con una scrittura spigliata e pulita la scrittrice le insegue fin nei minimi dettagli della loro vicenda, sempre gravata da una sorta di consapevolezza malinconica circa la fatica di vivere in generale e in particolare nella città. L’amarezza, che si trasforma spesso in guizzo ironico, deriva dalla legge del compromesso che alla condotta quotidiana impone le sue regole per la sopravvivenza.

Dunque, come si diceva, donne forti o addirittura titaniche, come l’autrice le ha definite in un’intervista, circondate dall’ombra di mariti, padri, figli, amanti.

L’unica delle sei donne protagoniste, che rinuncia a prendere in mano la sua vita, è Vera, che pare guardarsi esistere, impigliandosi per non troppo riflettere e fare i conti con se stessa e i propri fallimenti, in dettagli marginali, come una gamba appena depilata e forse vittima della crisi di chi, superando il quarantesimo anno, si accorge di avviarsi inesorabilmente alla fase mediocre della mezza età. Uno dei racconti migliori, coagulato in un’atmosfera straniata e rarefatta.

Dietro le donne, è la Napoli delle periferie, città subita come un destino, con le sue collusioni politiche, il degrado, la camorra, la mancanza di lavoro. Qui il territorio ritrova i duri e ferrigni odori della consuetudine, coi vincoli che fa valere sull’individuo: spazio osservato dall’angolo disincantato di chi lo abita e ha messo, per andare avanti o per non impazzire, la sordina allo scandalo che, incontrato ogni giorno nei propri passi, acquisisce una sorta di normalità.

La rassegnazione non smuove gli individui, anzi le donne, dai loro propositi, ma ne indirizza la vita verso un automatismo degli atti, che vanno compiuti a qualsiasi costo.

Una sorta di acuto occhio verista, impassibile e non compiaciuto, si getta nel ribollire di questo mondo inesauribile, cogliendone gli aspetti precipui e non oleografici: città dell’oggi dunque, pur con i tanti problemi irrisolti, rispetto alle altre metropoli.

Nel primo racconto, Quello che non ricordo più, una figlia di genitori progressisti non si farà incatenare alla strada della ragione su cui la vorrebbero incanalare i suoi, anche attraverso un matrimonio con un musicista. Ad una sistemazione di tipo tradizionale preferirà una casa condivisa nella lontana Calcutta, con Sal. Fuggita con lui elogerà l’impresa con questo commento: dal comodino Bukowsky mi dà ragione direttamente in Americano.

Questo tipo di svincolate opzioni consegnano le giovani donne del libro ad un valore sovrageografico, ossia universale, liberandole da ogni approccio stereotipato sulla napoletanità.

Ritengo invece che il racconto di Guappetella, nomignolo con cui ormai anche l’editore pare interloquisca con l’autrice, sia il più incardinato nell’ambito della narrazione napoletana di genere e quindi sia il meno riuscito, sebbene il prototipo dell’arrampicatrice sociale nuoti bene in qualsiasi ambiente. Guappetella infatti è una giovanissima scaturita con le sue ambizioni direttamente dal degrado più convenzionale e porta le stigmate quasi di una forzatura, nonostante la vitalità, con cui l’autrice la lascia venir fuori, letterariamente così compiuta. Sogna di indossare abiti di Marella, color panna e di avviare a modo suo il riscatto sociale, mettendo sul piatto, in vendita, l’unica merce di cui dispone e per la quale la mamma l’avverte di farsi intestare dall’amante almeno un appartamento. Riuscirà a sposare un avvocato.

Ancora donne nell’ultimo racconto Il passaggio, dove si incontra una maestra elementare, prossima ad entrare in ruolo, che raccoglie un’extracomunitaria dalla strada e poi inizia una convivenza con un’altra giovane donna, chiamate entrambe ad allevare un figlio che una delle due ha concepito da un rapporto quasi occasionale.

Vicende appartenenti alla contingenza, come la partecipazione ai concorsi (il titolo costituisce appunto la domanda di un questionario: mosca + balena = ?), vengono descritte senza drammaticità, sempre con tocco lieve e senza sfoderare giudizi morali.

L’altro miracolo del libro si ritrova nella lingua, uno strano miscuglio di taglio colto o popolare, gergo e dialetto. Per questa via era facile cadere nel manierismo o nel localismo, invece la Parrella ci restituisce, efficace come una pennellata, una lingua agilissima, che ritrova, soprattutto nei dialoghi, anche il lessico televisivo o il suo fraintendimento: frasi di solito brevi e senza alcun sospetto di costruzioni a priori. L’esito è tanto affascinante, fresco e apparentemente casuale, da inserire l’originalità della scrittura tra i maggiori pregi dell’opera.

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