Angie lavora per un’agenzia di reclutamento che opera nei paesi dell’Est. Tornata a casa viene licenziata e si ritrova a cominciare tutto da capo. Angie è anche una ragazza madre, suo figlio ha undici anni e vive la maggior parte del tempo con i nonni. Angie decide che non vuole obbedire più agli ordini di nessuno, decide di mettersi in proprio.
Apre, insieme all’amica Rose, un’agenzia tutta sua. Inizia a farsi pubblicità, a stringere rapporti e a darsi da fare. Inizia, in un certo senso, a gestire capitale e uomini, soldi e risorse.
Ed in questo passaggio, in questo scatto, si rivela il dramma del funzionamento della nostra società. Angie inizierà a fregarsene dei diritti dei lavoratori per portare avanti i propri interessi. In questo modo il capitale irrompe in quella che era stata la solidarietà proletaria dei decenni passati e finisce per mettere i lavoratori gli uni contro gli altri. Perché la stessa Angie è figlia di un operaio, non ha studiato, non viene certo da un ambiente borghese. Però le dinamiche del capitalismo e della sua degenerazione odierna (il lavoro precario) la portano a trasformarsi, a diventare come uno di quei padroni che l’avevano licenziata.
Come le rinfaccia il padre, Angie se ne frega della solidarietà e dell’aiuto reciproco tra lavoratori, una volta che lei è passata dall’altra parte, tutto cambia, i suoi interessi divengono i soli ad avere importanza, non le richieste di quelli che lavorano, non i loro bisogni.
La porzione di mondo rappresentata, quella britannica, quella del lavoro precario degli immigrati, diventa un quadro più ampio, che riguarda tutti coloro che fanno parte dell’Europa odierna. Tutto il fiume di persone che sta arrivando dai paesi dell’Est è una forza lavoro inarrestabile, un sogno ad occhi aperti per il capitalismo che si ritrova così un continuo flusso di mano d’opera da utilizzare e sfruttare come meglio crede.
E allora lo sguardo di Loach si fa cupo, pessimista, disincantato. Perché si sono perduti concetti come quelli dell’internazionalismo o dell’identità operaia, in cui già il fatto di lavorare era un punto di incontro tra le persone di tutto il mondo, un modo per riconoscersi al di là delle proprie etnie e dei propri paesi di provenienza. E anche se Angie, ad un certo punto, decide di aiutare una famiglia di rifugiati politici, portandoseli a casa sua, dall’altra parte non si farà scrupoli a chiamare la polizia per far sgomberare un gruppo di immigrati clandestini da alcune roulotte per far spazio ai suoi operai. Il suo è un personaggio sgradevole, ambiguo, che rappresenta alla perfezione il crollo di ogni coscienza politica quanto morale. Ed in questo modo il vortice dello sfruttamento, se risucchia anche gli stessi lavoratori (mettendoli gli uni contro gli altri), non conoscerà mai fine. Perché il capitalismo è sfruttamento, in ogni sua applicazione. Sfruttamento delle risorse ambientali, sfruttamento umano, riduzione delle persone al loro valore economico,.
Loach dirige in una maniera classica, senza far mai sentire la sua presenza, un occhio invisibile che documenta nascondendosi dietro gli eventi, lasciandoli poi esplodere. Il suo cinema militante si dimentica spesso e volentieri dello spettacolo e in questo caso anche di alcuni passaggi della sceneggiatura, ma tende tutto se stesso verso un obiettivo, verso la messinscena di un’ideale, di una visione del mondo.
Perché tra le briciole del nostro consumismo ci sono veramente nuovi proletari, per non dire schiavi, che lottano ogni giorno per un lavoro o una forma di sostentamento. E pensare che lo sfruttamento è tutto quello che si potranno aspettare la dice lunga sul valore della nostra libertà e della nostra democrazia.
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