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Bloody rainbow

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Sul nero della copertina tre graffi rosso sangue. Sotto questo segno il mio incontro con Alda Teodorani, dopo averla conosciuta dieci anni or sono quale giovane cannibale. L’unica forse ad aver conservato quest’attitudine, tra gli scrittori facenti parte del cosiddetto filone pulp.
“Bloody rainbow” è un’opera che risulta difficile definire e forse anche decifrare. La parte spiccatamente narrativa ha in essa un ruolo non esattamente centrale. Verrebbe piuttosto da pensare che sia un “campionamento” dalla scrivania della scrittrice. Immaginarla mentre meticolosamente raccoglie e sceglie per i propri affezionati, pensieri, racconti, considerazioni e appunti sparsi. Rarità insomma. Quasi un dono che questa regina del noir desidera elargire ai propri sudditi, giocando proprio col ruolo che la critica le ha affibbiato. In bilico tra il tentativo di demolirlo e quello di alimentarlo ulteriormente.
Alda dice. Alda racconta, si racconta e fa caracollare la pedina dell’auto-referenzialità col fare scherzoso – un po’ sornione – di chi ha l’ironia per non crederci. Non del tutto perlomeno. Una gatta edonista che tormenta la preda malconcia, non ancora decisa a finirla.
Aspetto che permea dunque questo libro è senza dubbio lo slancio comunicativo, che protende Teodorani verso il proprio pubblico più attento a cogliere in ogni romanzo o racconto elementi privati ed autobiografici. Eccola allora esprimere il proprio concetto d’amore, attraverso pagine che richiamano “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, ma non certo per l’aspetto stilistico che comunque si mantiene carnale e febbricitante, nel linguaggio e nell’incedere. Ben lontano dunque dall’algida forma di Kundera.
L’amore è quello che nelle stesse intenzioni dell’autrice la lega ai lettori in un rapporto intenso di scambio, che questo libro intende incoraggiare. Così la scrittura tanto pregna di sensualità può quasi farsi modalità di relazione sessuale, attraverso la quale chi scrive può penetrare a fondo nella mente, nell’intimità di chi legge.
L’amore sensuale è pure ciò che tinteggia le pagine dei racconti di Alda Teodorani qui raccolti. Ciò che travolge le vite dei protagonisti delle sue storie, sfumando in delirio e morbo. Rosso. Come l’odio in cui volgerà e come il sangue che inevitabilmente riempirà la narrazione. Una narrazione viscerale selvaggia noncurante della propria crudeltà, che coglie al ventre – talvolta allo stomaco -; che, se a tratti può apparire ripetitiva per temi e stilemi usati, rimane comunque valida per ciò che rappresenta: la destabilizzazione insita nel dipingere la razza umana, presa dagli istinti più bassi e inconfessabili. Senza del resto volgere al pietismo o al pentimento. Come accade nei romanzi di Ellis. Almeno sulla carta, il lusso di libertà e franchezza nell’ammettere che l’odore del sangue può essere davvero inebriante, ad ottundere qualsiasi remora.
A seguire la sezione narrativa, costituita anche da qualche sceneggiatura per fumetti, “Bloody rainbow” termina infine con una galleria d’interviste alla scrittrice, ognuna delle quali focalizza l’attenzione su vari aspetti, dall’erotismo a questioni eminentemente stilistiche e letterarie. Insomma chi si fosse perso qualcosa tra web e riviste potrà qui trovare con agio una summa del Teodorani-pensiero in tutte le sfaccettature.
Un’Alda vista e scrutata da differenti occhi e curiosi. Che si porge al pubblico secondo modalità forse un poco ambigue, senz’altro molto glam, a riprodurre la propria immagine serializzata su colori diversi, come un’icona della pop-art.

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