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Letizia Russo

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Letizia Russo - dal sito ALMA MATER STUDIORUM - Università di Bologna 

 

Ineluttabile oppressione dell’essere sociale. Tempo diviso tra vita e morte: rovina circolare. Sconfitta e messianica apparizione poco burlesca nei panni di un tirannico ragazzetto. Sono questi alcuni temi affrontati nei cinque drammi di Letizia Russo pubblicati in Teatro da Ubulibri, raccolta che contiene: Tomba di cani, testo vincitore del premio Tondelli nel 2001 (quando l’autrice aveva solo ventun anni), Babele, Binario morto o Dead End che nel 2004 ha partecipato a Shell Connections ed è stato rappresentato a Londra al Cottesloe Theatre, Primo amore e Edeyen.  

Sono tutti testi dunque di una giovane autrice che naturalmente fa parte della nuova generazione di drammaturghi – tra cui ricordiamo Stefano Massini con L’odore assordante del bianco (di cui potete trovare un articolo in questa stessa rubrica di teatro nel mese di maggio) e Fausto Paravidino con Noccioline, Genova 01 o il film Texas.

Chi in un modo e chi nell’altro questi giovani drammaturghi hanno saputo far parlar di sé raccontando storie di impegno sociale: Letizia Russo ci parla della devastazione della guerra e dei rapporti famigliari e interpersonali in genere, Paravidino invece si scaglia sull’attualità più specifica prendendo in considerazione il G8 e Massini si concentra sui concetti di normalità e di supremazia di potere.

 

Tomba di cani

è ambientato in un tempo presente ma insieme futuribile, in un tempo sospeso e in un luogo dove la guerra ha lasciato e continua a lasciare i suoi morti e quindi i suoi segni più o meno visibili nei personaggi del dramma. La prima scena per esempio si apre con una vecchia cieca sulla sedia a rotelle, la vecchia Glauce che anni prima sul campo di battaglia si toglie gli occhi con le mani per non vedere la morte dopo lo stupro della figlia. Forte è dunque il senso di lacerazione e di mutilazione, che per quanto riguarda la vecchia non le permette più di ricordare com’è la luce: impossibile la redenzione, impossibile una salvezza. La felicità si può solo nominare come qualcosa di lontano. Non vivere.

La sconfitta si avvicina inarrestabile verso tutti i personaggi del dramma ma in modo decisamente poco retorico per Vin, amico di Johnny, figlio di Glauce, appare solo un paio di volte durante lo spettacolo ma è decisamente una delle figure più interessanti innanzitutto per il suo particolare rapporto col fratello morto che dice di vedere tra i puntini grigi della televisione e poi perché riveste con sorpresa nell’atto finale quando la guerra ormai è finita, la parte del traditore e dell’assoggettato allo stato di guerra: come impazzito prende Glauce e Johnny e li porta al confine a fabbricare armi per poi essere uccisi.    

Questi sono solo alcuni degli episodi di questo dramma che appare ben curato anche nella ricerca stilistica: la scrittura è semplice ma ricercata, di una ricercatezza che confina nel linguaggio un po’ bambino con quelle sue ripetizioni di tanto in tanto e le metafore che ci mostrano i personaggi per la loro innocenza e genuinità: “Certe volte è come quando uno è felice. Certe volte la luce ti cade addosso. E ti fa bene.” – risponde Mània alla domanda di Glauce: “Com’è che sembra la luce a vederla?” E per questo è un po’ come leggere una rivisitazione di Madre Coraggio da un punto di vista antitetico: se in Brecht i personaggi sono tutti sicuri di sé e non vedono al di là della propria sopravvivenza: non sentono il dolore ma pensano ad arraffarsi un pezzo di carne e degli stracci qua e là, in questo dramma di Letizia Russo la sofferenza è vissuta pienamente e si mischia alla quotidianità “sfatando l’oscurità, come Sarah Kane, che da quel buio fatale della sua immaginazione s’era fatta fisicamente inghiottire” – come scrive Quadri nell’introduzione.

L’uso della punteggiatura poi, spezza le frasi come di chi da spazio alla frase minima per un effetto di montaggio del parlato a singhiozzo. E interessante infine appare la personificazione dell’esercito, un personaggio che ci rivela tutte le becere contraddizioni della guerra.   

 

Babele

è il palazzo più alto di una città del futuro, una città divisa per quadranti e di cui conosciamo solo due personaggi: Falena, un uomo sui trent anni e Boccuccia, una ballerina che ha da poco perso un braccio mentre cercava di prendere la nave per lasciare la città. È una storia d’amore tra un uomo e la sua schiava, ma quello che è il risvolto fondamentale della faccenda tra elezioni politiche corrotte e omicidi di quel che appaiono essere i doppi dei personaggi stessi, la loro parte più materialista che presto andranno a rivestire, è lo svelarsi di quel che è in realtà la N.A.V.E.: Neurologica ad Apparitiones Visionesque Essentia, il che sembra volerci ammonire che in quel mondo futuro dove anche l’amore si riduce ad una compravendita la libertà è una busta di pasticche. Consapevolezza questa che la protagonista baratterà con la sua stessa vita.

 

Binario morto / Dead End

è una commedia dal risvolto drammatico e a tratti dal sapore beckettiano: il non-sense è sempre in agguato tra le righe di questo testo e la prima scena soprattutto che si apre con due bambini, uno dei quali non ricorda chi è e non sa come si chiamano le cose, fa subito tornare alla mente la prima scena di Aspettando Godot. Ma se i due protagonisti del dramma di Beckett aspetteranno in vano God-ot, nel dramma della Russo dio è in scena ed è incarnato dal quel ragazzino quasi un po’ alieno, quasi un po’ piccolo principe che inizialmente non ricorda nulla. Di lì a poco Sirius, questo è il nome del terribile dio-bambino, avrà una schiera di giovani seguaci che anche se frustati lo adoreranno sopra ogni altra cosa. Fino a quando…

Sirius sta confessando e ha appena detto: “Molto sacripante.” e come al solito viene corretto: “Preoccupante.”, quando in scena appare un altro ragazzo che dice di essere dio: la lotta all’ultimo sangue ha inizio e Sirius viene ucciso. I suoi seguaci diventano quelli del nuovo dio e prima che il buio avvolga il palcoscenico, ritornano le prime battute della prima scena in una ring composition che segna il tempo circolare della Storia.

 

Primo amore

sembra un omaggio a Non solo per me di Barbara Nativi, un dramma poetico (potete trovarne un accenno tra gli articoli di questa stessa rubrica) o meglio un monologo poetico, come lo è del resto quello della Russo, che anche nel contenuto sembra ricalcare la sua ex-collega, entrambe infatti ci presentano due confessioni di storie d’amore storte. Letizia però prende in considerazione un protagonista gay che nel verso libero trova tutta la sensualità e la rabbia che in fondo in fondo sembra trasparire tra le righe anche se il personaggio alla fine ci lascia dicendoci: “io ti odio / eppure dentro sono calmo”. Sensualità e rabbia che ricordano molto anche Sabbia di Eleonora Danco, una della protagoniste della scena omosessuale italiana.

 

Edeyen

è ambientato in un deserto e tra l’altro come si legge dall’introduzione di Quadri: “Edeyen, parola che nella lingua berbera significa deserto ma nel contesto non può non alludere fin dal nome al paradiso terrestre, e non è un caso che tra gli abitanti compaiano per primi un Uno e una Eva”. In tutto sono sei i personaggi di questo dramma, persone che parlano ad un telefono con i loro morti e che però non sanno far a meno di riempire le conversazioni di lamentele inutili e parole morte come: “Com’è il tempo lì”, fino a quando arriva uno zingaro che vende pezzi di cielo, e le cose pian piano cambiano. Poi muore e questa piccola comunità di sei persone decide finalmente di muoversi e non rimuginare più sul proprio passato: dice addio ai propri morti.

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