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Fischietti Augurali (Insolita Musica 5)

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In Puglia sopravvive una tradizione antichissima, che è quella dei fischietti di terracotta. I fischietti, nelle loro molte possibili fogge, esistono fin dalla preistoria dell’uomo. L’uomo deve aver imparato a fischiare da sempre (quanto meno da quando cominciò a esprimersi producendo suoni, per imitazione, per caso o chissà come). In natura il suono lungo e sottile, acuto e sibilante del fischio è prodotto da una molteplicità di animali e di cose. Da quel tempo all’arte del fischiatore, che riproduce arie musicali (e molti sono stati e sono i virtuosi del fischiare, penso a Louis Armstrong tra gli altri) c’è voluto certo del tempo. E sulla scia del fischio si sono costruiti nei secoli strumenti in grado di riprodurre fischi più certi e potenti, o anche modulabili, ovvero i fischietti, alcuni davvero particolari e complessi. Il fischiatore o silbador è, per esempio, uno strumento precolombiano, caduto ormai in disuso, che consisteva di due piccoli vasi di terracotta in comunicazione tra loro, di cui uno si riempiva a metà d’acqua: soffiando, il suono usciva da una bocca di animale che ornava l’altro vaso comunicante, e l’altezza del suono veniva variata mediante l’inclinazione dell’acqua nello strumento. Fischiatori simili ne vengono prodotti ancora nella zona della Puglia tra Rutigliano, Alberobello e il Salento Messapico. Alcuni, vere opere d’arte, sono in grado di suonare da soli variando l’inclinazione del vaso contenente del vino (più denso dell’acqua). Fischietti ne esistono ovunque, in ogni tempo, fatti di ogni materiale, dalle uova di struzzo dei boscimani del Kalahari alle penne di cigno degli Inhuit.

Tutti hanno prima o poi fischiato come richiamo, per sorpresa, per farsi compagnia con un motivetto, per ammirazione o per disapprovazione, per imitare il verso di uccelli e ingannare le prede o anche solo per una pronuncia difettosa riguardo alle consonanti sibilanti. Magari non così forte con l’aiuto delle dita in bocca, ma tutti bene o male sono in grado di produrre il fischio. Quel che oggi non si sa è che nel passato fischiare in certe condizioni o fischiare del tutto era qualcosa da evitare, in quanto associato da molte culture a qualcosa di maligno. In Russia porta ancora oggi sfortuna. E’ una superstizione collegata alle danze delle streghe. Chi prendeva parte ai sabba, infatti, portava con sé un fischietto. In Marocco è meglio non fischiare in casa, perché rimarrebbe per sempre vuota. In molti paesi dell’Africa, chi fischia in una stanza chiusa, attira gli spiriti maligni. Gli antichi esorcizzavano lampi e i fulmini fischiando. La superstizione del fischio è tuttavia viva ancora oggi. Fischiare nella toeletta o nel foyer di un teatro, per esempio, porterebbe sfortuna allo spettacolo.  Su certe navi non è concesso fischiare, perché fischiando si chiamerebbe o si farebbe aumentare il vento.

Fischiare serviva anche a scongiurare dei pericoli (un po’ come l’innato fischiettare in certe situazioni a disagio, specialmente al buio, quando si torna a casa camminando). Non è tuttavia consigliabile fischiare di notte sulle strade, o il diavolo, sentendosi così chiamato, verrà e seguirà i nostri passi e soltanto una corsa, facendoci  continuamente il segno della croce, oppure un sacchetto di sale grosso ce ne potrà liberare (come ricorda il libretto dell’opera “Il tradimento orale, un’epopea musicale sul diavolo” di Mauricio Kagel. Anche l’opera “Mefistofele” di Arrigo Boito contiene uno famoso fischio diabolico, oltre a svariate altre “diavolerie” criptate, strumento per uno scontro politico del compositore e librettista contro l’istituzione ecclesiastica, piuttosto che reale e comune pratica demoniaca a lui attribuita.

 

Son lo Spirito che nega
Sempre, tutto; l’astro, il fior.
Il mio ghigno e la mia bega
Turban gli ozi al Crëator.
Voglio il Nulla e del Creato
la ruina universal.
Parte son d’una latèbra
Del gran Tutto: Oscurità.
Son figliuol della Tenèbra
Che Tenèbra tornerà.
Rido e avvento – questa sillaba:
“No.”
Struggo, tento,
Ruggo, sibilo.
“No.”
Mordo, invischio,

Fischio! Fischio! Fischio!

 

Ma non fischiano solo le labbra. Fischiano anche le orecchie. Un’antica credenza vuole che se qualcuno parla di una persona assente, questa si sentirebbe fischiare le orecchie. Si può addirittura stabilire se se ne parla bene o male a seconda che l’orecchio interessato sia il sinistro o il destro. Se poi si vuole sapere chi sia l’autore del discorso, basta farsi dire un numero a caso, trovare la lettera che corrisponderà all’iniziale del nome. Quando si è detto quello giusto, il fischio cesserebbe. Un gioco a tutti noto e così antico che ne parla già Plinio nella sua “Storia naturale”.

Il fischietto e l’atto del fischiare hanno dunque un forte valore apotropaico, cioè propiziatorio e anti-malocchio.

La tradizione dei fischietti messapici e rutiglianesi affonda le sue radici nella antica arte della lavorazione dell’argilla e ogni anno attira artigiani locali e di tutta Italia per modellare e gareggiare con le proprie interpretazioni, spesso caricaturali (celebri i “carabinieri”).  Notevolmente belli e artistici sono i fischietti di Bruno Maggio e del “cucaro” veneto Francesco Rigon, che si sbizzariscono ben oltre la tipica forma del gallo tradizionale). Tra l’altro, simile a quello rutiglianese è il fischietto Cuco di terracotta proprio di Vicenza.

 

 

 

Toro e Vela, due fischietti di Bruno Maggio

 

La bellezza ornamentale di questi fischietti nasconde simbolismi e antiche suggestioni. Ritrovamenti già risalenti al neolitico dimostrano quanto remota fosse in questa zona la produzione di statuette in terracotta zoomorfe come ex-voto o come giocattoli, che nell’Alto Medioevo assumeranno i connotati del fischietto vero e proprio in forma di galletto, cioè dotato del “biscotto” di creta che emette il caratteristico suono. Il gallo è simbolo di sessualità: l’analogia tra la potenza virile e il fischio è inequivocabile, forse per il senso che il sibilo assume in natura, quando usato dai maschi di alcune specie animali come richiamo alle femmine per l’accoppiamento. Ogni 17 gennaio, durante la festa di S. Antonio Abate, protettore e patrono del mondo rurale, ogni ragazzo rutiglianese era solito regalare alla sua amata un cesto di frutta, simbolo dei prodotti della terra, con all’interno un fischietto a forma di gallo, simbolo (maliziosamente allusivo) di virilità. La produzione di fischietti in terracotta vanta una lunga tradizione a Rutigliano, Alberobello, Gravina e dintorni (a Gravina il fischietto Cola Cola è stato assurto a simbolo della città). Sono oggetti di varie  dimensioni, dai colori vivaci e dalle forme spesso bizzarre, belli da collezionare ed esporre come  oggetti ornamentali, ma anche da suonare. Alcuni, ad acqua, hanno un fischio “bitonale”, che sembra il gorgheggio di un uccello. Se ancora oggi vi ci imbattete, ricordatevi che dev’essere un dono rigorosamente fatto dall’uomo alla sua amata, e mai viceversa.

 

 

 

 

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