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Cuba Particular – Alejandro Torreguitart Ruiz

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Non sarà più necessario chiamarsi Montaigne, Erasmo o Goethe, Cellini, Tommaso Alberti o […] per poter compiere un viaggio in Italia o all’Estero o nella provincia limitrofa. […] E quale bisogno c’è più di leggere se si può vedere, confrontare, toccare, verificare di persona?

 

A questo veridico allarme, lanciato da Domenico Rea ventitré anni orsono nella sua raccolta di racconti e memorie auto-bio-grafiche (significativamente intitolata “Il fondaco nudo”) tentano di rispondere Alejandro Torreguitart ed il suo traduttore (di altre opere anche editore) Gordiano Lupi.

Perché tutta l’opera, quella pubblicata solo in Italia data l’inesistenza a Cuba della libertà d’opinione e d’espressione, di questo giovane autore, fa viaggiare anche chi a Cuba non c’è stato mai.

E fa viaggiare nell’interno del degrado sociale, civile, psicologico di una nazione oppressa.

Amnesty International fa giustamente notare che l’embargo statunitense contribuisce a minacciare i diritti civici e politici fondamentali sull’isola[1]

 

Conculcare i diritti fondamentali vuol dire lasciare la compagine sociale ad una brutalità, ad una perdita di senso e di prospettive per l’avvenire che dà la stura al più becero, bieco, violento patriarcato maschilista, e conseguentemente omofobo.

Vivere quindi in questa isola da telenovela diventa, soprattutto se sei donna o maschio omosessuale (la donna omosessuale non viene nominata neanche per sbaglio, tranne il caso in cui sia straniera, sadica e danarosa, se non in negativo e di riflesso: giammai “la vera donna” può solo pensare di preferire le altre donne: lo stereotipo del machismo crea il susseguente stereotipo dell’ultrafemminilità prona ai desideri del maschio, e vogliosa di lui), un inferno fatto d’impunità per chi ti violenta, o per un congiunto che ti picchia, giacché

La violenza domestica non è un gran reato a Cuba, è cosa di tutti i giorni, per la legge in fondo sono fatti personali (pag. 70).

 

Alejandro Torreguitart ritrae dall’interno e per tipologie sociologiche, la varia umanità cubana, riportandone il punto di vista in cui domina una ed una sola parola: rassegnazione.

Quando si è deprivati della prospettiva di un domani diverso, bastano pochi dollari per comprare anche i sogni (pag. 9).

Tutti vendono se medesimi, o si rendono in qualche modo complici di questo mercimonio.

Ed ecco una nazione che, regredita ad una socialità di tipo tribale, aspira avidamente la sua dose quotidiana di telenovelas, e… pratica il lenocinio e la prostituzione di massa.

L’unico modo che un cubano ha di andarsene legalmente dall’isola è: sposarsi o… vincere el bombo. In cosa ciò consista andatelo a scoprire leggendo “Vita da jinetera”…

Una nazione di devianti, tanto più che altri lavori non esistono praticamente più:

Ero giornalista, e adesso gestisco un bordello. Ecco come si presenta a pagina 7 l’io narrante di quest’ultima fatica di Alejandro.

Si tratta della tenutaria di una cosiddetta casa particular, dove particular sta per privato, ma il doppio senso – per dirla con un noto politico nostrano – c’azzecca eccome, dato che i turisti possono portarvi tutte le jineteras od i jineteros che più loro aggradano.

 

In questa casa ne sfilano di tutti i colori e di tutte le nazionalità, col risultato di fornirci il triste ed esaustivo spettacolo dell’umanità che si trastulla o vive a Cuba.

Uno squallore fatto di matrimoni fasulli con turisti compiacenti, rassegnazione al degrado, barbarie nelle carceri, dove regnano aguzzine che non hanno niente da invidiare alle famigerate Kapò d’infaustissima memoria, maschi strafottenti a cui tutto è permesso – dal tradimento alla violenza, sessuale e sessuata – nel cui novero ben figurano i poliziotti corrotti, che praticano su larga scala lo “scambio di favori” con le prostitute. Solo che spesso a queste ultime non va nel senso sancito da questo squallido patto, perché i “tutori della legge” pensano bene di sbatterle nei patri lager (chiamarle galere o case di lavoro è un pietoso eufemismo).

Voici la Cuba del periodo speciale (= di lacrime e sangue), ladies and gentlemen…

 

L’autore adotta uno stile documentaristico, fin nei minimi particolari di una sessualità deviante e deviata.

I personaggi sono reali, o verisimili; la fiction non esiste, se non edulcorata in qualche finale (come nella prima delle opere pubblicate in Italia: “Machi di carta”).

 

Un monito pare tralucere dalle pagine di questo scrittore dissidente: i diritti civili, quando non supportati da reali condizioni d’esercizio sostanzialmente egalitarie, non devono MAI esser dati per scontatamente acquisiti.

Siamo sicuri che in quest’iniqua Italia, dove neanche cinquant’anni fa regnava la medesima brutalità sessista, ci siamo buttati questo squallore difinitivamente alle spalle?

I facili ottimismi devono essere temperati dall’esponenziale aumento dei casi di violenze domestiche, sessuali, delle cosiddette morti bianche, consequenzialissime allo svuotamento, drammatico e progressivo, dei contenuti sostanziali del diritto al lavoro. Per non parlare dei diritti civili negati, in nome di una pretesa naturalità pregiuridica dell’istituto matrimoniale, a coppie non uomo-donna, o uomo-donna che proprio sposarsi non vogliono.

Qunato alla pratica di uno dei più importanti diritti, connessi alla libertà di espressione e manifestazione del pensiero, ossia l’esecizio sostanziale del diritto d’autore… ci vorrebbe un saggio solo per quest’ultronea negazione…

 

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

Alejandro Torreguitart Ruiz (Cuba, 1979), romanziere documentarista.

Gordiano Lupi è il suo talent scout, e lo traduce, pubblica o fa pubblicare in Italia.

 

Alejandro Torreguitart Ruiz, “Cuba particular”, edizioni Stampa Alternativa, Roma, 2007.



[1] Dalla postfazione a “Vita da jinetera”, pubblicata nel 2005 (e c’è stata una seconda edizione lo scorso anno) dal Torreguitart per i tipi de Il Foglio di Piombino, nell’apposita collana creata dall’editore e traduttore Gordiano Lupi, e da lui diretta assieme a William Navarrete, con la collaborazione appunto di Amnesty International.

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