Due vite scorrono parallele. Un nome e un cognome uguali, un’apparente punto di contatto. Poi le somiglianze aumentano, una carriera finita, l’abbandono delle persone vicine, la solitudine, le speranze che si infrangono contro l’indifferenza della vita.
Paolo Sorrentino si divide tra due storie (simili eppure fondamentalmente diverse) dove il calcio e la musica (entrambe orgoglio della nostra nazione) si rivelano come un qualcosa di molto corrotto e meschino. Se il calcio mostra la ferocia dei discorsi da spogliatoio (magistrale l’aggressione verbale del mister contro i giocatori), le tentazioni di vendersi per i soldi e l’assoluta mancanza di valori la musica non è da meno, con i suoi giri loschi fatti di ristoranti, locali dove ballare e tirare coca, manager senza scrupoli pronti a mollarti appena le cose si mettono male.
Tony Pisapia, lo stopper, ha la carriera rovinata per un infortunio. Dopo quattro anni vuole rifarsi come allenatore, ma tutte le strade sembrano chiuse e lui si perde dentro la propria tristezza e l’illusione di un nuovo schema (il diamante in attacco, quattro punte, l’uomo in più del titolo). In una scena molto bella il presidente della squadra che vorrebbe allenare gli dice – Il calcio è un gioco, tu sei un uomo triste.
Tony Pisapia, il cantante, la carriera rovinata perchè si è scopato una minorenne. La solitudine della sua casa, l’indifferenza per la morte del padre e la visita della figlia. Tony che non parla mai del fratello morto e non cucina il polipo. E poi la ricerca di un riscatto, una squallida serata in un paese, una crociera, gestire un ristorante.
Niente più applausi per Tony Pisapia.
Per nessuno dei due.
Paolo Sorrentino ci immerge dentro una Napoli vitale e fredda allo stesso tempo, lontana da qualsiasi tentazione folkloristica, piena di figure di contorno (il grande Peppe Lanzetta è Salvatore, il proprietario del ristorante), fatta su misura per le vicende dei due protagonisti.
Poi il destino li fa incontrare al mercato, solo uno sguardo, niente di più.
E qualcosa di comprensibile solo per le loro anime fa smuovere in entrambi qualcosa. Tony Pisapia, il giocatore, dopo una confessione in televisione si abbandona definitivamente alla propria tristezza e alle proprie delusioni e si uccide. L’altro Tony, prende coscienza che la vita in fondo è una stronzata e va ad uccidere il presidente della squadra che aveva rifiutato all’altro Tony l’ingaggio come allenatore. Poi va nella stessa trasmissione dove il giorno prima aveva visto il suo omonimo e si lascia andare ad un monologo che ti mozza il fiato. Il ricordo in lui non diventa mai rimpianto, ma esaltazione della vita stessa, di tutta la coca tirata, dei concerti, delle donne, della sua vita che non potrà più essere come prima.
Poi vediamo Tony, in prigione, che prepara il pesce per gli altri detenuti.
Un momento di silenzio, poi un getso di approvazione.
Almeno per lui, gli applausi sono tornati.
Almeno per lui, gli applausi sono tornati.