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Dolce&Gabbana: pubblicità, arte e censura

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Lo sapevo da tempo e non solo io – si sapeva ormai da tempo – che la pubblicità è a tutti gli effetti una forma d’arte e adesso che è arrivata questa ondata di – permettetemi – ridicola volontà censoria nei confronti dell’ultima immagine (provocatoria, aggressiva, patinata, erotica, trendy) degli stilisti Dolce & Gabbana c’è una conferma  precisa (anche in passato c’erano state proteste e richieste di censura verso spot o immagini pubblicitarie considerate ambigue o discutibili, ma mi sembra che sia la prima volta che questo moralismo d’accatto viene mascherata da una patina “politicamente corretta vetero femminista” francamente folle. Isteria collettiva bella e buona. E lo dico da donna ovviamente sensibile al tema della violenza, in tutte le sue declinazioni.)

Ogni forma d’arte – perché nel caso delle pubblicità dei due stilisti che da anni stanno svolgendo una attenta ricerca atta  a veicolare messaggi collegati alle fluttuazioni delle identità di genere e alle fantasie sessuali rese palpabili e ri-create in un certo contesto, quasi asettico –  è sempre stata soggetta ai furori della censura, vorrei ricordare ad esempio Edvard Munch, l’autore del famosissimo “L’urlo”, che, come potete leggere anche qui fu perseguitato dal regime nazista che dichiarò la sua opera “arte degenerata” (o anche Oskar Kokoschka inserito nel 1937 dai nazisti nella lista di artisti le cui opere dovevano essere sequestrate e le sue opere infatti vennero tolte da tutti i musei e l’artista dovette emigrare in Inghilterra, ma sull’espressionismo trovate un ottimo approfondimento qui)
 Esagerazione? Non credo proprio. Sono solo due  degli esempi possibili, ma li cito perché mi colpì particolarmente quando, a scuola, sentii parlare per la prima volta di “arte degenerata” e di quadri che venivano tolti dai musei. Mi ricordo che fu una botta sulle tempie, uno sconvolgimento, la percezione di qualcosa di “inaccettabile”. Adesso leggo questa dichiarazione – che trovo enorme nella sua gravità: “
La moda – afferma il segretario generale della Filtea-Cgil Valeria Fedeli – è innanzitutto cultura, etica, e veicolo di trasmissione di valori, sogni emozioni. È vergognoso che Dolce & Gabbana veicolino un messaggio di violenza e sopraffazione nei confronti delle donne. Quel manifesto dovrebbe scomparire e gli stilisti devono chiedere scusa a tutte le donne. Se ciò non avverrà, l’8 marzo le donne proclameranno uno sciopero degli acquisti dei capi di Dolce & Gabbana». (dichiarazione  estrapolata da qui) Ma sì, signore, indignate, fate un giorno di sciopero, non acquistate, non prendete quel tailleur che vi piaceva tanto e che avevate ammirato con frenesia in via Montenapoleone, o chissà dove, non acquistate gli occhiali da sole griffati D&G “tanto con il clima così mite servono già”,  e uscite a cena con enormi mazzi di mimose a discutere di questo scandalo (che in fondo vi eccita) con le vostre amiche, e  siglate la vostra protesta così nobile e femminista vestendo magari Prada o Gucci. Ma non c’è solo questa delirante proposta. Tredici senatori e senatrici, fra cui gran parte dell’Ulivo, hanno scritto al Giurì per l’autodisciplina pubblicitaria (e vorrei sottolineare, non il solito Moige, non associazioni di cattolici integralisti che potrebbero – dico potrebbero – argomentare in qualche maniera la loro opinione anche se troverei l’ingerenza comunque inaccettabile) no, senatori e senatrici di quella che in teoria dovrebbe essere la classe politica che esprime posizioni progressiste. E ancora. Un’associazione di donne che conosco e che ha sede a Bologna scrive addirittura:

“…Su proposta di alcune socie, l’Associazione Orlando si fa promotrice della richiesta di ritiro di una pubblicità violenta e sessista di Dolce e Gabbana (…) Il 19 Febbraio scorso in Spagna l’Instituto de la Mujer (…) insieme a varie associazioni femministe e gruppi dei consumatori spagnoli, ha chiesto, con una lettera aperta di protesta all’azienda di moda Dolce e Gabbana, il ritiro di una pubblicità dei loro prodotti rappresentante una scena di stupro di gruppo (o più esattamente, pre-stupro di gruppo): un giovane maschio chino su una ragazza, che lui tiene bloccata a terra per i polsi, mentre altri quattro giovani maschi stanno attorno guardando impassibili la scena. L’Osservatorio dell’Immagine dell’Instituto de la Mujer (…) ha dichiarato che questa pubblicità incita alla violenza contro le donne, perché “se ne può dedurre che è ammissibile l’uso della forza come modo di imporsi alle donne” e che questo tipo di immagine “rafforza atteggiamenti che al giorno d’oggi sono un crimine, attentano contro i diritti delle donne e ne denigrano l’immagine“. L’Istituto ha chiesto a tutti i mezzi di comunicazione, stampa, televisione, ecc. di non prestarsi alla diffusione di questa immagine. L’associazione dei consumatori FACUA e il partito dei Verdi spagnoli si sono associati all’appello dichiarando che l’annuncio viola l’articolo 3 della legge spagnola sulla pubblicità, che proibisce ogni annuncio che “attenti contro la dignità della persona”. (…) Noi donne dell’Associazione Orlando troviamo intollerabile non solo l’immagine, che ci sembra senza ombra di dubbio incitamento alla violenza contro le donne, ma anche l’arroganza dei due signori della moda che pensano di diffonderla in tutto il mondo (…) Chiediamo a tutte le associazioni femministe e delle donne italiane (…) di sostenere iniziative di protesta e di denuncia contro Dolce e Gabbana per questa pubblicità e di associarsi al nostro appello perché la ritirino immediatamente anche in Italia, e ovunque. (…)”

Me le vedo le socie scandalizzate a guardare l’immagine (guardartela, e con attenzione, cercando il solo vedere e nient’altro) che decidono di scatenare la messa al bando (ottimo e divertente il commento di Alice Avallone  che trovate qui e che condivido completamente).

L’immagine di Dolce & Gabbana è innanzitutto molto bella perché lascia spazio ad interpretazioni ambigue. Come scrive Alice Avallone non è affatto chiaro l’orientamento sessuale degli uomini attorno alla donna e nemmeno di quello che la tiene ferma. Proprio l’ambiguità sessuale, soggetta a strappi, cambiamenti, virate, osservazioni e anche, non è possibile negarlo, sopraffazioni, è un elemento attorno a cui ruota tutto un lavoro artistico che si esprime in varie forme e al quale i due stilisti stanno fornendo, negli ultimi anni, un contributo fondamentale, quello sì destinato a rimanere. Infatti è stata inaugurata da poco alla Galleria Cardi di Milano “Secret Ceremony” una mostra fotografica che ha come protagonisti i due stilisti ritratti da Steven Klein in una versione che viene definita “molto pasoliniana”. Non si tratta di foto totalmente inedite ma l’insieme del lavoro che comprende 12 immagini e una videoinstallazione è di sicuro impatto e mira a mettere a nudo non solo i corpi, ma anche le ossessioni, le fantasie e le paure di D&G. Sono immagini, dicono Domenico e Stefano: “Sono immagini che esplorano il sottile confine tra moralità e immoralità, due dimensioni parallele che coesistono e dividono il mondo». Nella stessa direzione va l’immagine “incriminata”  contro la quale si grida “censura”. Sinceramente, una situazione del genere,  rappresenta una delle più comuni rappresentazioni dell’immaginario erotico femminile. Una situazione “subita”, l’incontro con un gruppo di sconosciuti, possibili ma non necessariamente definiti sviluppi sessuali. In questa immagine è dato corpo alle fantasticherie erotiche che sono un territorio “anarchico” per definizione, e anche l’immagine, se questo si proponeva (oltre al fatto, certamente di far parlare, indignare e smuovere i benpensanti e ci è riuscita, andando OLTRE il Moige, e solo per questo i due stilisti mi sono ancora più simpatici) anche l’immagine non poteva certo seguire i binari del politicamente corretto, dell’accettabile, binari variabili, difficili da tracciare, elastici per definizione. Io la trovo bella.  Graffia. Seduce. Il viso della donna esprime voluttà e non certo paura. Gli sguardi dei maschi esprimono narcisismo e non certo volontà di possesso. Non c’è ribellione, c’è rappresentazione di uno spicchio d’immaginario che è, a sua volta, la rappresentazione dell’interiorità maschile, femminile, lesbica, gay, transgender. Non lo so. Io ho spesso sognato situazioni come quella. Magari in una stanza da letto. O in qualche buio anfratto cittadino. Le ho anche raccontate. Non mi offende, anzi, mi permette di continuare a seguire il filo di una ricerca artistica attraverso la quale i due stilisti si dimostrano vicini a Wahrol e a Helmut Newton Come Wahrol comprendono e restituiscono il tempo strappato e sfarinato del nostro presente attraverso il punto di osservazione della moda, ovviamente, poi del corpo e delle sessualità mutanti. Noi, individui mutanti del contemporaneo, e noi, donne che stanno dentro e si muovono in queste mutazioni, non possiamo sul serio trovare questa immagine una possibile istigazione alla violenza. Ci sono altri bersagli intorno. Altre reali istigazioni sottili a violenze pervasive e pericolose. Mi auguro che tutto il pandemonio, tutto il vocio, tutto lo scandalo, sia in Spagna che in Italia, tutto il bla bla, tutti gli appelli, siano una delle “conseguenze previste” dai Stefano e Domenico e che proseguano in questo lavoro artistico che è, a mio parere, destinato a restare e a lasciare tracce profonde.

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