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Insomnia – Lisa Massei

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Ritratti di follia che, dapprima astrattamente, nel corso della lettura finiscono col prendere sempre più forma nella quotidiana esasperazione. Figure di donne sopraffatte da una vita “normale” e assetate del vivere, ma anche uomini che scoprono la propria omosessualità “chattando” con presunte donne. Un “io” narrante androgino, quantomeno nei pensieri, e che rende il tutto ancora più interessante. Sesso dissociato per necessità, mai nella banale scusa di volerci cercare dietro amore. Ventiquattro episodi disposti in ordine decrescente. Si parte dalla Casa di Barbie  per arrivare al primo episodio – Sigarette a ripetizione  – messo in coda con tutto il carico di età e di sregolatezze di Serena, la più anziana protagonista, sintesi di un vissuto nello squilibrio di affettività incompiute e possibile chiave di accesso ai personaggi delle altre parti. Proiezione ed immedesimazione, parallelismi. Elisa, Lisa, Elena ed Eva… Donne sposate allo sbando ma anche bambine sensibili e mai cresciute. Sesso senza senso. Libido, cibo e feticci: Lisa e le caccole nel cervello. Biglietti maniacali, ancora sesso e tanta, tanta fredda e livida disperazione. Grande forza d’immagini, ritmo e pathos dove un trapano piantato nel cesso sono gli occhi di una fanciulla che vede sua madre lasciarsi morire tra il  “puzzo” dell’alcol: odore di morte testimone di pace. Evoca la tragedia della bambina ridotta a salsiccia dentro un cesso nella deflagrazione di un kamikaze descritta dalla Fallaci e, dentro, vi si percepisce tutta l’inquietante tenerezza di un trauma ereditato e rinnovato, trasmesso attraverso una catena di madre in figlia: “Rispondere con una unica certezza, che sono una buona madre. Che sono una buona donna. Che la donna che era in me se n’è andata, si è presa un lungo periodo di vacanza. Che prima o poi tornerà, aprirà le valigie sul letto, si metterà il rossetto, un abito femminile, camminerà con occhi da cerbiatta alla ricerca del marito che ha perduto, sperando che nel frattempo il suo cazzo non sia andato in avaria” è quanto si legge nella chiusa di I have no idea. In Pasticche per cavalli Eroina per cani, dopo film porno e tutto il degrado della perversione si narra: “Volevo lavarmi la pelle di dosso”, tentativo di spezzare una maledizione che passa attraverso “lo sporcarsi” per poi cambiare pelle, identità. Intimità dal dentista, ossessioni depilatorie e sempre, tra la prosa ma anche in forma più esplicita, tanti vellutati contrappunti poetici: “sono un piccolo pesce che vive / in una scatola di alghe morte”. Tutto si compie con Serena, che si è rovinata “acquistando cosmetici, abiti e bambole d’epoca per corrispondenza”. Molto bello il finale, ricompare Elisa ed una carrozzina in un urlo che è rappresentazione di più generazioni: un cadavere accudito come fosse ancora vivo. Si palesa un ciclo ed il libro ci lascia con la sensazione di una fine indeterminata. Insomnia, titolo che enuncia oscurità nel tormento, sa indagare nel frammentario “io” contemporaneo alla deriva in uno stile asciutto, persino crudo nel suo limare all’osso e che, tuttavia, non rinuncia a qualche aggettivazione di troppo, quale probabile retaggio di una scrittura poetica. E’ un libro ricco di un sesso denso, melmoso come un fiume che nasconde oro ed espresso per quel che è, oltre talune mode e tendenze, senza ipocrisie, corrispondente a quanto si vuole raffigurare di codesto mondo. Sono pagine pregne della poetica dell’abbandono, di una comune, contemporanea solitudine vissuta attraverso occhi testimoni di anime dalle vite sdoppiate. Nessuna volgarità; niente inconsistenti, incauti giochi. La sensazione è che sia tutto sudato inchiostro scorso nelle vene, attento ai tempi e lontano da manipolative lusinghe.

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