«La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!»
(Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Manifesto di Ventotene, 1941)
Negli scorsi giorni si è parlato molto del Manifesto di Ventotene[1]: sabato 15 marzo per la manifestazione[2] in piazza del Popolo a Roma L’Europa siamo noi, dove almeno 50.000 persone si sono ritrovate sotto le bandiere dell’Europa solo per chiedere un maggior impegno verso la costruzione di una comune casa europea, tenendo in mano il testo del Manifesto; poi, nella mattinata del 19 marzo, alla Camera dei Deputati, per le comunicazioni[3] della Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, in vista del Consiglio europeo in tema di difesa comune, e il suo attacco diretto al Manifesto e ai suoi autori; e da ultimo, la stessa sera, durante il monologo[4] Il Sogno di Roberto Benigni, trasmesso in Eurovisione, nel quale abbiamo assistito ad una vera lectio magistralis sul valore fondativo di quel Manifesto per l’Europa di oggi e di domani.
Per chi, come me, ha sempre sostenuto in maniera energica ed entusiasta il progetto di Europa unita, come professionista per le politiche europee, come docente universitario di diritto dell’UE, come cittadino europeo, a questo punto era obbligatorio dedicare tempo, spazio e qualche riga ad approfondire contenuti e significato di questo documento, tanto importante quanto poco conosciuto.
Ecco allora il mio contributo[5] alla diffusione di questa pietra miliare della costruzione europea.
Il contesto storico e politico
Il Manifesto di Ventotene nasce nel cuore del collasso della civiltà europea, quando la seconda guerra mondiale rivela in tutta la sua drammaticità il fallimento storico del sistema internazionale fondato sulla sovranità assoluta degli Stati.
Le due guerre mondiali dimostrarono l’inconsistenza dell’idea che la pace potesse scaturire dall’equilibrio tra potenze e dall’autoregolazione tra entità nazionali autonome: al contrario, il nazionalismo, divenuto ideologia identitaria ed esclusiva, si rivelava il veicolo dell’imperialismo moderno e della guerra ciclica.
In questo scenario, l’Italia fascista rappresentava un caso esemplare di degenerazione autoritaria, inserita nel più ampio progetto totalitario europeo, mentre l’isola di Ventotene si trasformava da luogo di reclusione a laboratorio politico, dove il confino diventava spazio di libertà critica e di elaborazione strategica.
Il Manifesto di Ventotene diventa quindi non solo una semplice condanna del fascismo, ma una diagnosi radicale della crisi sistemica dell’intera civiltà europea: denuncia l’insufficienza del liberalismo ottocentesco, incapace di arginare le derive oligarchiche, e del socialismo tradizionale, prigioniero di un internazionalismo astratto, privo di strumenti istituzionali.
Gli autori affermano che la pace non può nascere da un’evoluzione morale spontanea dei popoli, ma solo da un pacifismo strutturale fondato su una federazione sovranazionale, capace di limitare l’autonomia militare, economica e diplomatica degli Stati.
In tal senso, il superamento dello Stato sovrano non è un’opzione teorica, ma un imperativo storico, l’unica condizione per evitare il ripetersi del disastro.
Il Manifesto si impone così non come un’utopia astratta, ma come un documento rivoluzionario che, in piena guerra mondiale, osa immaginare un ordine politico nuovo, oltre le macerie dell’Europa nazionale: l’unità federale come fondamento di una civiltà da ricostruire.
Le differenti matrici culturali degli autori
Uno degli aspetti più straordinari del Manifesto di Ventotene risiede nella capacità dei suoi autori – Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni – di far convergere prospettive intellettuali profondamente differenti in una visione politica comune e sorprendentemente profetica.
Provenienti da percorsi culturali e ideologici eterogenei, questi tre uomini seppero superare le tradizionali fratture del pensiero politico novecentesco, elaborando una proposta radicale e coerente di rifondazione dell’ordine europeo.
Spinelli, con la sua formazione marxista temprata dal distacco critico nei confronti del dogmatismo ideologico, elaborò un federalismo istituzionale fondato sulla costruzione volontaristica di un nuovo potere politico sovranazionale.
Rossi, economista liberale di matrice radicale e repubblicana, vi giunse da un’altra angolazione, individuando nella federazione europea il solo antidoto alla degenerazione autoritaria dello statalismo e alla disgregazione del mercato in nazionalismi economici.
Colorni, infine, rappresentò l’anima filosofica del progetto, capace di unire rigore teorico, profondità morale e umanesimo laico, fondando la necessità del federalismo su una concezione integrale della dignità della persona.
La forza del Manifesto non risiede tanto in una sintesi ideologica, quanto nella capacità di trasformare quelle differenze in una visione condivisa, sorretta dalla consapevolezza che l’unità europea non è un compromesso fra tradizioni culturali divergenti, ma una risposta politica di civiltà all’agonia dello Stato-nazione.
Ciò che accomuna Spinelli, Rossi e Colorni, oltre ogni distinzione di pensiero, è la profonda intuizione storica che solo un’Europa unita potrà sottrarre il continente alla ricorrenza dei conflitti, restituirgli una universale missione civilizzatrice e permettere il pieno dispiegarsi della libertà.
Il Manifesto, frutto di questa straordinaria convergenza, è per questo molto più di un programma politico: è il documento profetico di una generazione che, pur nel confino e nella privazione della libertà, seppe concepire un ordine nuovo, fondato non sull’uniformità ma sulla capacità di trasformare il pluralismo in progetto comune.
Il Manifesto e la nascita del progetto europeo
Il Manifesto di Ventotene segna un punto di svolta nella storia del pensiero politico europeo perché introduce, per la prima volta in modo sistematico, l’idea che la costruzione dell’Europa non debba essere un processo di semplice collaborazione tra Stati, ma la fondazione di una nuova entità politica sovranazionale.
La sua importanza risiede nella chiarezza con cui gli autori individuano le radici profonde della crisi europea e nella radicalità con cui propongono un modello alternativo all’assetto tradizionale degli Stati nazionali. L’obiettivo non è una generica armonizzazione delle politiche nazionali, ma una vera e propria rifondazione dell’ordine europeo attraverso la creazione di un’istituzione federale dotata di poteri sovrani.
Nel cuore del Manifesto si trova una denuncia netta e inequivocabile delle cause strutturali che hanno portato l’Europa alla guerra. Gli autori scrivono che «la civiltà moderna ha posto come base del suo ordinamento il principio della libertà», ma che questa libertà è stata sistematicamente minata dal modo in cui gli Stati hanno esercitato la propria sovranità. Il nazionalismo, anziché essere una forza di progresso, si è trasformato nel principale ostacolo alla pace e allo sviluppo. La competizione tra Stati, l’incapacità di costruire istituzioni sovranazionali efficaci e la diffidenza reciproca hanno generato un sistema di equilibri instabili che, a intervalli regolari, è sfociato in conflitti devastanti.
Il Manifesto non lascia spazio a interpretazioni ambigue: «La linea di divisione tra i partiti progressisti e i partiti reazionari cade oggi lungo la discriminante dell’Europa Unita». Questo passaggio dimostra come l’unità europea venga considerata non come un obiettivo secondario, ma come il criterio fondamentale per distinguere le forze politiche capaci di garantire il progresso da quelle destinate a perpetuare i fallimenti del passato.
Gli autori del Manifesto sono consapevoli che l’idea di Europa unita non è nuova, ma sottolineano come fino a quel momento essa sia stata declinata in forme insufficienti. Senza un’autorità federale in grado di imporre regole comuni e garantire la loro applicazione, ogni trattato e ogni accordo internazionale sarebbero rimasti fragili e precari. Per questo motivo, il Manifesto afferma con chiarezza che «la lotta essenziale per la quale deve impiegarsi il nostro tempo è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in Stati nazionali sovrani».
La federazione europea immaginata nel Manifesto non è un vago progetto idealistico, ma una costruzione giuridico-politica ben definita. Il testo insiste sulla necessità di creare un ordinamento che abbia un potere esecutivo forte e indipendente dagli Stati, un Parlamento europeo eletto direttamente dai cittadini e una Corte di giustizia capace di garantire il rispetto delle leggi federali. La convinzione di fondo è che solo trasferendo la sovranità a un’entità superiore si potrà assicurare la pace e la stabilità nel lungo periodo.
Gli autori sottolineano che «è necessario creare uno Stato europeo, che disponga di una forza armata propria, che tenga in rispetto gli elementi disgregatori», evidenziando come l’unificazione politica debba necessariamente comprendere una dimensione di difesa comune, senza la quale il progetto resterebbe incompleto.
Un altro aspetto cruciale del Manifesto è la sua visione della libertà e della democrazia. La federazione europea non viene concepita solo come un mezzo per evitare le guerre, ma anche come uno strumento per garantire istituzioni più giuste e realmente rappresentative. La denuncia del fallimento dello Stato-nazione non è legata solo alla sua propensione al conflitto, ma anche alla sua incapacità di tutelare i diritti dei cittadini. Si evidenzia che «i più alti principi della civiltà sono stati traditi» perché gli Stati hanno anteposto gli interessi di potere alla protezione delle libertà individuali.
Solo una federazione sovranazionale, dotata di un sistema democratico efficace e di una giurisdizione vincolante per tutti i suoi membri, può porre rimedio a questa degenerazione.
L’idea di Europa unita delineata nel Manifesto non è una semplice alleanza tra Stati, né una confederazione basata su accordi diplomatici. Gli autori escludono esplicitamente ogni soluzione che lasci sopravvivere le sovranità nazionali in una forma attenuata, considerandola un compromesso destinato al fallimento. L’obiettivo non è creare una nuova forma di equilibrio tra gli Stati, ma superarli completamente in un ordine federale che metta la politica al servizio della collettività europea. In questo senso, il Manifesto non si limita a proporre un cambiamento istituzionale, ma indica una trasformazione profonda del modo di concepire il potere, la cittadinanza e i loro rapporti.
Gli autori non invocano semplicemente la fine delle sovranità nazionali, ma delineano il percorso attraverso il quale tale risultato può essere raggiunto. La loro intuizione più profonda è che l’unità europea non potrà essere il risultato di un accordo tra governi, ma dovrà essere costruita attraverso la partecipazione attiva dei cittadini e delle forze politiche progressiste. La democrazia federale non sarà concessa dall’alto, ma dovrà essere conquistata attraverso un processo costituente.
In questo quadro, il Manifesto si impone come il primo vero documento programmatico dell’Europa moderna. Non è un testo astratto, né un esercizio accademico, ma un appello all’azione rivolto a tutti coloro che rifiutano il ritorno agli equilibri del passato e vogliono costruire un futuro in cui la pace e la libertà siano garantite da un nuovo assetto politico. La sua attualità risiede proprio nella radicalità della sua proposta: senza una federazione europea, senza istituzioni comuni forti, senza un trasferimento effettivo della sovranità dagli Stati a un’autorità democratica continentale, l’Europa resterà sempre incompleta, fragile e incapace di affrontare le sfide del suo tempo.
L’attualità del Manifesto per il futuro dell’UE
A più di ottant’anni dalla sua redazione, il Manifesto di Ventotene continua a parlare al presente con straordinaria forza politica e concettuale, offrendo un paradigma ancora insuperato per affrontare le crisi strutturali che oggi attraversano l’Unione Europea.
L’idea di Europa federale, delineata allora con lucidità rivoluzionaria, resta l’unica risposta sistemica capace di trasformare l’UE da organismo incompiuto e prigioniero delle logiche intergovernative in un vero soggetto politico sovrano e democratico.
Le difficoltà che l’Unione incontra nella gestione delle grandi sfide globali – dalla transizione ecologica alla sicurezza comune, dalla politica migratoria alla crisi del multilateralismo, dalla frammentazione del mercato energetico all’assenza di una visione strategica – derivano tutte dalla mancata realizzazione di una sovranità federale pienamente costituita.
L’Unione appare oggi forte nel controllo tecnico delle economie, ma debole nelle sue ambizioni politiche; capace di normare i mercati, ma incapace di parlare con una voce sola.
Le crisi del nuovo millennio (nuova recessione economica, ritorno della guerra sul continente) hanno messo a nudo l’inadeguatezza di un’architettura istituzionale che non dispone né di un bilancio autonomo, né di un potere esecutivo legittimato democraticamente, né di un’effettiva capacità di decisione politica.
In questo scenario, il Manifesto di Ventotene si ripropone come guida teorica e pratica per una nuova fase costituente: non un’ispirazione astratta, ma un progetto concreto per un’Europa dotata di una Costituzione, di un Parlamento legislativo sovrano, di un governo responsabile e di una politica estera e di difesa unificata. Il federalismo europeo non è dunque un’utopia tecnocratica, ma la condizione necessaria per garantire la pace, la giustizia e la libertà in un mondo in cui nessuno Stato europeo, isolatamente, è in grado di difendere i propri cittadini o promuovere un modello di civiltà alternativo. In questo senso, l’attualità del Manifesto non si esaurisce nella sua capacità analitica, ma nella sua funzione normativa: è la base da cui ripartire per trasformare l’Europa da spazio economico a comunità politica, da aggregato di interessi nazionali a popolo unito nella diversità, da progetto incompiuto a soggetto storico capace di incidere nel presente e, ancor di più, nel futuro.
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Cfr. il testo completo di Spinelli A. e Rossi E., Il Manifesto di Ventotene «Per un’Europa libera e unita», Senato della Repubblica, 2017, in https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/repository/relazioni/libreria/novita/XVII/Per_unEuropa_libera_e_unita_Ventotene6.763_KB.pdf. ↑
- Cfr. il video della manifestazione in https://www.facebook.com/Repubblica/videos/1612045009437355. ↑
- Cfr. il video dell’intervento della Presidente del Consiglio dei Ministri in https://www.rainews.it/video/2025/03/meloni-leuropa-di-ventotene-non-e-la-mia-e-bagarre-alla-camera-537d7364-1f50-4ef2-8784-9ac98a2b57cb.html. ↑
- Cfr. il video del monologo in https://www.raiplay.it/programmi/ilsogno. ↑
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Ma se siete di quelli che preferiscono le immagini al testo scritto, e amano più il film del libro, allora consiglio la visione di Un mondo nuovo, in https://www.raiplay.it/video/2016/06/Un-mondo-nuovo-7deef84c-e22d-40cc-9457-f638eeedc3b6.html. ↑