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“Regionalismo” differenziato, “autonomia” rimandata

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La libertà non è una cosa che si possa dare;
la libertà uno se la prende,
e ciascuno è libero quando vuole esserlo.

James Baldwin

Oltre 20 anni fa il Parlamento, a maggioranza politica di centro-sinistra, riformò il Titolo V della Costituzione[1]. Si introdusse, all’art.117, una novità sostanziale: la norma indica al II comma 17 materie di competenza esclusiva dello Stato (dalla politica estera e monetaria, difesa, giurisdizione, dogane, alla moneta e la tutela del risparmio, leggi elettorali, norme generali sull’istruzione, ecc.), per poi elencare al III comma altre 20 materie soggette a “legislazione concorrente” tra Stato (centrale) e Regioni[2]. E’ la stessa Costituzione che definisce la legislazione concorrente: “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato” (art.117, III comma, ultima parte[3]).

A questo quadro normativo, già sufficientemente complesso, si aggiunse la modifica dell’art.116 Cost. che al III comma prevede la possibilità di attribuire “forme e condizioni particolari” di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (ecco il “regionalismo differenziato” o “regionalismo asimmetrico”, in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre), ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale (art. 116, I comma).

Il testo del terzo comma dell’articolo 116 Cost. recita: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119[4]“.

Dunque il legislatore del 2001 volle venire incontro alle istanze provenienti dalle Regioni con un’elevata capacità di autogoverno al fine di gestire in modo più indipendente alcuni aspetti del loro territorio e delle loro competenze, permettendo loro di richiedere di legiferare in modo esclusivo sia su tutte le materie “concorrenti” (senza attendere o rispettare, se già esistente, la legislazione di principio dello Stato), ma anche su tre materie previste come “esclusive” dello Stato centrale. Il lungo elenco delle 20 materie concorrenti comprende (art.117 III comma):

  1. rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
  2. commercio con l’estero;
  3. tutela e sicurezza del lavoro;
  4. istruzione, salvo l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e della formazione professionale;
  5. professioni;
  6. ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
  7. tutela della salute;
  8. alimentazione;
  9. ordinamento sportivo;
  10. protezione civile;
  11. governo del territorio;
  12. porti e aeroporti civili;
  13. grandi reti di trasporto e di navigazione;
  14. ordinamento della comunicazione;
  15. produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
  16. previdenza complementare e integrativa;
  17. coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  18. valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
  19. casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
  20. enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Oltre a tre materie Giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, ambiente e beni culturali, previste come esclusive dello Stato dal II comma dell’art. 117 Cost.

Per anni al dettato costituzionale non è stato dato seguito, anche nelle materie “concorrenti” le Regioni non sono praticamente mai intervenute.

Con la pubblicazione della Legge 26 giugno 2024, n. 86[5], a prima firma del senatore Roberto Calderoli[6], si è voluto dare una cornice unitaria all’attuazione dell’art. 116, III comma, della Costituzione, dettando molti principi, che potranno produrre (forse), fatti concreti[7]. La legge Calderoli, composta da 11 articoli, si dedica a stabilire in modo dettagliato le procedure legislative e amministrative necessarie per “trasferire” la competenza legislativa sulle 23 materie sopra indicate dallo Stato centrale alle Regioni che ne facciano richiesta[8].

La procedura che porta all’approvazione del trasferimento delle funzioni è il cuore del provvedimento e occupa parecchi articoli (art. 2 e seguenti L.86/2024). In sintesi, quasi tutto l’iter è rappresentato da una trattativa all’interno di una Commissione paritetica fra lo Stato e ogni singola Regione interessata che porta a un’intesa preliminare. La Conferenza Stato-Regioni e il Parlamento vengono informati e possono esprimere dei pareri che però non sono vincolanti. Solo al termine del negoziato uno schema di intesa viene sottoposto all’approvazione del Consiglio dei Ministri (cui deve partecipare anche il Presidente della Regione richiedente), che lo trasmette alle Camere[9]; come prevede lo stesso art.116 III comma Cost. queste deliberano a “maggioranza assoluta” dei componenti[10]: la legge dovrebbe essere approvata da entrambi i rami del Parlamento con la maggioranza assoluta dei loro componenti. In altre parole, per diventare efficace, la legge non solo necessita del sostegno della maggioranza dei presenti durante il voto, ma deve ottenere il favore della maggioranza dei componenti della Camera (maggioranza rafforzata).

Solo dall’entrata in vigore della legge potranno partire le trattative fra Stato e Regioni. Questi avranno 5 mesi di tempo per raggiungere un accordo[11].

Tuttavia, per la maggior parte delle materie il trasferimento è subordinato alla definizione dei Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP, art.3 L.86/2024). I LEP rappresentano i criteri che definiscono il livello minimo di servizi che deve essere garantito in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Si tratta degli standard minimi di servizio indispensabili per attuare i «diritti sociali e civili» tutelati dalla Costituzione. In pratica, essi stabiliscono le condizioni base che ogni Regione, nonostante l’autonomia acquisita, deve rispettare per assicurare che i cittadini ricevano un livello di servizio adeguato e omogeneo in tutta Italia, indipendentemente dalle specifiche competenze trasferite. In linea di principio, i LEP riguardano la totalità dei “diritti civili e sociali”, ma la legge ne estrapola un ampio sottoinsieme e delega il Governo a definirli entro 24 mesi dall’entrata in vigore della Legge 86/2024[12]. Questo significa che per tutto questo sottoinsieme di materie nulla dovrebbe accadere prima di 24 mesi, anche se un notevole lavoro preparatorio (su oltre 200 LEP) è stato già fatto da una commissione tecnica presieduta dal Prof. Sabino Cassese. E probabilmente il tempo necessario sarà anche maggiore perché si prevede che i decreti che definiscono i LEP siano adottati “solo successivamente o contestualmente all’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanziano le occorrenti risorse finanziarie” (art. 3 comma 7). Se non ci sono i soldi, quindi, non si possono emanare i decreti sui LEP e non si possono trasferire le funzioni e le risorse.

L’impressione è che l’attuazione di questo articolato e complicato sistema istituzionale e di scelte politico-amministrative (e non approfondiamo gli aspetti finanziari e di gestione delle risorse pubbliche previste per il suo funzionamento[13]), sconti un concreto rischio di aumento della complessità e confusione normativa, con oneri burocratici aggiuntivi per i cittadini e le imprese. Si ricorda che per le materie “concorrenti” la Costituzione prevede che spetti “alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Questa supremazia dello Stato verrebbe meno una volta che la materia fosse trasferita ad una Regione, la quale avrebbe potestà legislativa “esclusiva”. È auspicabile, anche se non è certo, che materie come i rapporti internazionali, le grandi reti, l’energia e l’istruzione non vengano devolute in toto, come peraltro la legge Calderoli consentirebbe, ma vengano ritagliate in modo da garantire una primazia dello Stato almeno sulle grandi questioni di principio[14].

Chi difende la legge sottolinea che è bene che le decisioni vengano prese da chi è più vicino ai cittadini-elettori (sussidiarietà verticale); che la legge nulla toglie alle regioni del Sud, ma ne responsabilizza gli amministratori.

I critici puntano il dito sul rischio che vengano svantaggiate le Regioni in ritardo di sviluppo. Ciò potrebbe avvenire qualora le Regioni più ricche riuscissero ad accumulare risorse in eccesso rispetto a quanto necessario per finanziare i LEP (per esempio perché fanno un uso più oculato delle risorse), nonché a trattenere tali risorse sul proprio territorio.

Nel federalismo responsabile, una Regione ha risorse proprie (o in subordine addizionali ai tributi erariali), che può variare in funzione delle proprie esigenze di bilancio. In questo schema la Regione ha l’onore di spendere, ma anche l’onere di tassare. Questa coincidenza di onori e oneri è ciò che dovrebbe responsabilizzare gli amministratori locali.

Per contro, la centralizzazione (allo Stato) delle risorse comporta che periodicamente le risorse stesse vengano redistribuite fra Regioni in modo da garantire che ci sia un eguale trattamento dei cittadini su tutto il territorio nazionale. In sostanza uno schema così concepito elimina qualunque incentivo delle Regioni a risparmiare, ma garantisce la solidarietà a livello dell’intero territorio nazionale: tutti i cittadini hanno diritto (almeno in teoria) agli stessi livelli di servizio, indipendente dalla Regione in cui vivono.

Per quanto riguarda il rischio dello “Stato arlecchino”, teoricamente, si potrebbe avere un sistema in cui diverse Regioni hanno diverse competenze: una Regione ha l’istruzione, un’altra le reti di trasporto, un’altra ancora l’energia ecc. Si può sperare che il Governo e il Parlamento siano in grado di evitare un esito tanto irragionevole.

Così come è rimandata la questione di quali materie verranno effettivamente trasferite. È auspicabile che nelle materie più importanti si riescano a ritagliare le competenze, in modo da, come recita la stessa legge Calderoli, “tutelare l’unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie” (art. 2 comma II, L.86/2024). Anche qui tutto è rinviato a scelte future di chi governerà il Paese quando si dovranno fare queste scelte: il trasferimento di funzioni, infatti, non dipende solo dalle richieste che faranno le Regioni, ma anche da ciò che deciderà di fare lo Stato, ossia il Governo e il Parlamento, a cui la scelta è demandata in ultima istanza dalla Costituzione.

Alla fine, le scelte cruciali (federalismo responsabile o centralizzazione delle risorse; Stato arlecchino o omogeneità di funzioni) sono rimandate. Quello che si può dire è che la legge non esclude che possano avverarsi scenari assai preoccupanti sia per il buon funzionamento delle pubbliche amministrazioni sia per i conti pubblici.

Legislatori o rivoluzionari che promettono a un tempo
eguaglianza e libertà o sono sognatori o sono ciarlatani.
W. Goethe

  1. Cfr. “Titolo V°: grandi idee ma…” di Alberto Monari, in Kultunderground n.81-DICEMBRE 2001, rubrica Diritto
  2. Cfr. “Che cos’è l’autonomia differenziata e come funziona” di Raffaella Mari, in www.laleggepertutti.it, 24 Gennaio 2024.
  3. Costituzione – Parte II – Ordinamento della repubblica – Titolo V – Le regioni, le province e i comuni
  4. L’art.119 Cost. impone limiti “di principio” alla finanza degli Enti regionali e locali; si riporta il primo comma: “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea”.
  5. “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”, in GU n.150 del 28-6-2024.
  6. Ministro per gli affari regionali e le autonomie nel governo Meloni.
  7. “Cosa prevede davvero la legge sull’autonomia differenziata e perché è tanto controversa” di Rossana Arcano, Alessio Capacci e Giampaolo Galli, in https://osservatoriocpi.unicatt.it/, 11 luglio 2024/
  8. È importante notare che non esiste un numero minimo di materie che una Regione può richiedere, lasciando così spazio a un’ampia flessibilità in base alle specifiche esigenze e priorità di ciascuna Regione.
  9. All’inizio del negoziato fra lo Stato e la Regione, può intervenire il Presidente del Consiglio per limitare l’oggetto del negoziato ad alcune materie, “al fine di tutelare l’unità giuridica o economica, nonché di indirizzo rispetto a politiche pubbliche prioritarie” (art. 2 comma II, L.86/2024)).
  10. In assenza di una previsione precisa, probabilmente il Parlamento può solo approvare o respingere, ma non emendare; a meno di rimettere in moto la elaborata procedura della trattativa bilaterale.
  11. Questo accordo può avere una durata massima di 10 anni, dopodiché può essere rinnovato (art.7, L.86/2024).
  12. Art.3, comma III (L.86/2024): “Nelle materie di cui all’articolo 116, terzo comma Cost., i LEP sono determinati nelle materie o negli ambiti di materie seguenti: a) norme generali sull’istruzione; b) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali; c) tutela e sicurezza del lavoro; d) istruzione; e) ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; f) tutela della salute; g) alimentazione; h) ordinamento sportivo; i) governo del territorio; l) porti e aeroporti civili; m) grandi reti di trasporto e di navigazione; n) ordinamento della comunicazione; o) produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; p) valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali.
  13. Secondo l’art. 9 della legge il costo dell’autonomia differenziata dovrebbe essere nullo. Tuttavia, alcuni costi aggiuntivi sono quasi certi. I principali dipendono dalla confusione normativa che può emergere in una situazione in cui le Regioni hanno competenze diversificate su materie di grande importanza. Vi è anche il rischio di duplicazioni di costi fra lo Stato centrale e le Regioni, se solo alcune Regioni chiedono l’attribuzione di una determinata materia, e del venir meno di economie di scala e di scopo. Infine, vi è il rischio di costi aggiuntivi legati all’obbligo dello Stato di dare alle Regioni tutte le risorse che sono necessarie per finanziare i LEP.
  14. La formulazione dell’art. 116 Cost. non sembra consentire un trasferimento massivo di funzioni alle Regioni. Esso recita infatti: “Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia concernenti le materie di cui […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali…”. Dunque, sembra che l’art. 116 si riferisca ad ambiti particolari, al margine, e non a un capovolgimento del ruolo dello Stato e delle Regioni.

 

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