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Intervista con Emanuele Sartoris e con Roberto Cifarelli

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Comunicato stampa

BlueArt Management

“Inquadratura di composizioni” è un progetto multimediale che nasce dall’incontro tra il pianoforte di Emanuele Sartoris e l’obiettivo di Roberto Cifarelli, un lavoro di sinestesia tra immagini e suoo, una fusione tra arte visiva e musica. Il progetto è stato pubblicato lo scorso 29 marzo per la Tǔk Art, sezione della Tǔk Music dedicata alle forme del figurativo.

Si tratta di un vero e proprio lavoro a quattro mani che prevede quattro brani commissionati da Sartoris a Cifarelli e quattro idee fotografiche che Cifarelli ha assegnato a Sartoris. Ogni commissione è stata estremamente libera, facendo sì che ognuno potesse far suo e personale lo sguardo sull’argomento scelto.

“Riflessioni Sonore” è stato il punto di partenza dell’opera, la prima foto sulla quale Sartoris ha iniziato a lavorare. Più che uno scatto, si tratta di una vera e propria composizione pittorica in cui la foto sembra passare attraverso lo specchio per dare vita a qualcosa di totalmente nuovo. Con negli occhi l’impressione di questo scatto Sartoris ha realizzato un brano che passasse attraverso lo specchio, qualcosa che fosse sé stesso ma che terminasse capovolto come se il riflesso distorto, generando qualcosa di totalmente innovativo. In questo passaggio i suoni e le armonie cambiano, la stessa voce di Roberto che inizialmente enuncia il pezzo, al termine del brano risulta capovolta.

Nella creazione dei vari brani talvolta si è partiti da elementi semplici come nel caso di “Sympatheia”, per il quale Cifarelli ha selezionato per Sartoris alcuni dei suoi meravigliosi scatti dedicati a Wayne Shorter, artista amato da entrambi, scomparso da poco più di un anno. Talvolta invece la costruzione è scaturita da un processo più complesso, come per esempio la richiesta di rappresentare visivamente il vento in “Zefiro”, l’anima con “Archè” o il tempo con l’omonimo brano. Per contro Cifarelli ha chiesto a Sartoris di lavorare su alcune tecniche spesso utilizzate come i celebri “mossi” nel brano “Immobile”, dove la composizione descrive la frenesia di questa tecnica fotografica attraverso cambi ritmici e armonici repentini.

Da un incontro avvenuto per caso in un noto locale milanese in occasione di un concerto grazie all’amico comune Massimo Bernardin, Sartoris riceve l’invito a visitare l’atelier “Atmysphere” di Cifarelli, dove scatta la scintilla che porterà alla collaborazione tra i due artisti, che decidono di creare insieme un’opera d’arte totale che potesse unire in maniera profonda le abilità artistiche, umane e creative.

Da questo incontro fortunato nasce “Inquadratura di Composizioni”, un lavoro nuovo nel modo in cui vengono fuse e incluse le due arti, in cui il disco e il CD non sono solo utili a sentire, ma anche e soprattutto a vedere la musica, motivo per cui l’oggetto fisico in vinile o in CD, dotati di QR code che porta a contenuti multimediali, diventano necessari per poter entrare e immergersi non solo nella visione artistica degli autori, ma in un mondo nuovo in cui senza immagini non ci sarebbero suoni e viceversa.

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https://www.youtube.com/watch?v=j73Y3lsaG4Y

Intervista

Davide

Buongiorno Emanuele. Come è nato l’incontro con il fotografo Roberto Cifarelli, per altro professionista della fotografia dello spettacolo, soprattutto del jazz? E come è nata quindi l’idea di un progetto che unisse la musica alla fotografia, trovandovi quali sintonie o similitudini?

Emanuele

Caro Davide, ti risponderò a partire dall’ultima domanda. Con Roberto ho immediatamente trovato sintonia nella comune idea che abbiamo riguardo il concetto di fare arte, entrambi vediamo in ciò che facciamo qualcosa che trascende la sola musica o la sola fotografia, ci ritroviamo entrambi del tutto devoti alle idee ed alla fantasia che abbiamo e alla volontà di riuscire a realizzare i nostri obiettivi. Il comune tentativo è quello di scavare e raccontare aspetti diversi di quello che amiamo maggiormente fare, è stato bello in questa occasione pensare per me oltre che alla macchina pianistica anche alle immagini, evocandole e giocandoci. Così come Roberto si è divertito ad essere un tutt’uno con la musica. Questo modo di lavorare ha aiutato lo scambio di idee costanti nel tentativo di capire come compenetrare due forme d’arte complementari ma con caratteristiche oggettivamente molto differenti. Nella vita sono stato spesso fortunato godendo di incontri con uomini straordinari come con Roberto, dobbiamo la nostra presentazione al comune amico conduttore TV Massimo Bernardini. Devo moltissimo a Massimo per ciò che è diventata la mia carriera di pianista, ha creduto nelle mie abilità fin dagli esordi della trasmissione TV “Nessun Dorma” dandomi spazi e risorse per crescere, attraverso la sua fiducia sono avvenuti per me importantissimi incontri artistici che ho avuto modo di affrontare in trasmissione da Enrico Rava a Patrizio Fariselli fino al grande violoncellista Mario Brunello solo per citarne alcuni. Ancora una volta l’amicizia e la frequentazione di Massimo mi hanno portato, dopo una lunga giornata di registrazioni negli studi Rai di Milano, ad andare a rilassarci al Blue Note: qui Roberto è fotografo di casa. Io fin da ragazzino ho apprezzato la fantasia del lavoro di Roberto vedendo alcuni scatti iconici ad artisti che adoro come Stefano Bollani lo stesso Enrico Rava o Paolo Fresu, questo ha fatto si che pregassi Massimo di presentarci. Non appena ho visitato il sancta sanctorum di Roberto, Atmysphere e ho visto alcuni suoi scatti diversi dai suoi più noti ritratti e reportage, ho compreso la grandezza della sua ricerca, una direzione che scriabinianamente volevo intraprendere anche io da tempo, serviva solo l’anima giusta con la giusta intraprendenza. Ora io e Roberto siamo compagni di viaggio in questa ricerca, in una commistione di arti pensata in modo radicalmente diverso dal percorso intrapreso da altri. Io qui sono fotografo e Roberto è un pianista, tutto è scambio a partire dai progetti e le fantasticherie iniziali fino a confluire nel suono comune e nelle immagini comuni che abbiamo ottenuto, solo così si suona realmente a quattro mani.

Davide

Qual è stato il vostro metodo sul piano teorico, quindi pratico?

Emanuele

Come hai intuito abbiamo avuto fin da subito una sola preoccupazione: essere indivisibili.

Ci siamo incontrati con pensieri alla mano per capire come si potesse migliorare la sintonia, ricordandoci che il progetto aveva finalità discografiche ma anche e soprattutto legate alla sua espressività dal vivo. Tutto è iniziato con un lungo scambio di messaggi e telefonate che sono confluite in diversi incontri. Ancora oggi è così, io e Roberto miglioriamo e cambiamo il lavoro di volta in volta, alle volte modifichiamo anche cose che funzionano solo per il gusto di esplorare. Ricordo benissimo che alcune mie idee sono nate durante una passeggiata estiva nei pressi di casa mia, ho osservato per l’ennesima volta un paesaggio che amo, una distesa marina di grano che ondeggiava in balia del vento. La domanda è nata spontanea, come si fotografa il vento? Non può essere solo la foto di un campo…, il vento si percepisce, è suono ma anche movimento. Da questa sensazione sono nati differenti pensieri correlati a ciò che è difficile da racchiudere in uno scatto, per esempio lo scorrere del tempo, l’anima (Archè). I miei pensieri erano sfide e Roberto non solo è stato in grado di coglierle, ma ha saputo trasformarle raccontandole non solo con mezzi tipici ma anche con la conoscenza approfondita delle nuove tecnologie per compiere esperimenti, ed anche questa è un’avanguardia tipica di Roberto. Zefiro per esempio è stato raccontato con un video realizzato tramite un drone mentre ne “Il tempo” ha sfruttato le innovazioni proposte dall’intelligenza artificiale, invece per l’anima si è scelto uno degli elementi più belli di questa vita, lo scambio di rapporti umani. Come dicevo con Roberto spesso abbiamo messaggiato, e quando ho mandato a Roberto l’audio in cui suonavo Archè lui mi ha subito risposto ”…L’anima ce l’ho…” mandandomi subito lo scatto dello straordinario scultore di Chiavari Vitaliano Marchetto fuso nella statua che aveva realizzato, ecco l’anima!. Io e Roberto raccontiamo tanti elementi in questo lavoro, anche personali. Viceversa quando abbiamo pensato alle nostre “Riflessioni Sonore” Roberto mi ha subito spiegato cosa voleva ottenere, qualcosa che avesse a che fare con la precisione delle linee melodiche costruite da Johan Sebastian Bach ma che stravolgesse anche i piani come se ci si trovasse in un quadro di Escher, con questi suggerimenti ho scritto del materiale che potesse riflettere i desideri di entrambi. Il nostro metodo sul piano pratico e teorico è stato uno scambio costante.

Davide

L’album inizia e si chiude con due “Improvvisi”. Perché? In che modo hai improvvisato in riferimento anche alle immagini fotografiche? O il viceversa, se vi è stata improvvisazione anche di Cifarelli sulla tua musica?

Roberto

Mi piaceva l’idea di portare in studio di registrazione due progetti fotografici diversi di cui solo in uno Emanuele aveva visto una fotografia stampata nel mio atelier Atmysphere. Emanuele aveva amato a tal punto quello scatto che ho deciso, a sorpresa, di portare in studio l’intera serie che non aveva mai visto. Si trattava di uno scatto realizzato attraverso uno studio con un vetro trasparente in grado di riflettere le immagini ma che lasciasse trasparire allo stesso tempo ciò che c’è dietro, così è nata “Impro2, dietro lo sguardo”. Ho inoltre spiegato ad Emanuele che in quei progetti avrei desiderato un suono del tutto rarefatto come se ad ogni manifestazione di una nuova immagine potesse nascere una nuova nota, un nuovo accordo, senza dover riempire per forza il passaggio tra una immagine e l’altra. Anche la sequenza di immagini proposte era da me del tutto improvvisata.

Emanuele

L’improvvisazione è per me l’anima del jazz, uno degli elementi imprescindibili. Nel mio lavoro amo sempre di più rivolgermi a quella che considero improvvisazione totale, un modo di esprimermi attraverso me stesso in maniera inaspettata e a seconda delle influenze sensazioni o racconti che voglio realizzare al momento. Fin da subito siamo stati d’accordo sull’idea di aprire e chiudere il disco con un’improvvisazione libera. Per rendere lo scambio genuino Roberto aveva l’incarico di procurare per lo studio di registrazione una sequenza di immagini che non avessi mai visto prima, e così è stato e ancora oggi così è nei concerti dal vivo. Tuttavia Roberto aveva già un’idea di quale tipo di sonorità avrebbe voluto abbinare ai suoi scatti, mi ha dato dei riferimenti legati ai suoi ascolti vicino ad un jazz più nordico, rarefatto e minimalista ed ecco come abbiamo improvvisato, seguendo ancora una volta le idee di entrambi.

Davide

Durante l’ascolto ho pensato a Keith Jarrett. La sua tecnica pianistica abbracciava e includeva diversi generi musicali, e così mi è parso della tua. Quali sono stati i tuoi più importanti riferimenti rispetto alla tecnica pianistica e improvvisativa? Quali invece hanno contribuito a formare il tuo gusto compositivo?

Emanuele

Sicuramente Keith Jarrett ed il suo pensiero legato a come intendere la musica hanno influenzato in maniera radicale la mia visione del suono. Nello specifico ho studiato molto il jazz tradizionale ma anche la musica classica, andando a prendere da ogni forma e genere gli elementi che più amavo. Sono rimasto profondamente segnato dai lavori di Chopin, a partire dalle sue due straordinarie opere di Studi passando per i suoi celebri ed inarrivabili Notturni in melodia e tecnica si fondono con cristallina precisione diventando emozioni che possono commuovere fin dal primo ascolto. Amo molto anche la ricerca sulla musica a programma di Liszt, concetto che ho fatto mio nel corso dei miei lavori discografici cercando di comporre avendo sempre l’obiettivo di raccontare e descrivere, ma l’idea a cui più mi sono inginocchiato per questo lavoro è sicuramente la ricerca su suono e colori intrapresa dal genio visionario di Alexander Scriabin. Nel Prometeo di Scriabin e nelle sue sonorità teosofiche ho visto per la prima volta la possibilità di trascendere la mia dimensione per andare verso qualcosa di nuovo. La tecnica, non tanto nel virtuosismo ma nel suono che ottengo, arriva in tutto e per tutto dalla musica classica, mentre nella mia testa risuonano le ricerche sonore e compositive di Bill Evans, Thelonius Monk, Wayne Shorter e lo stesso Keith Jarrett. Il mio sistema compositivo è cambiato moltissimo dal mio esordio discografico, ora è in bilico tra una ricerca di forme complesse ed improvvisazioni pure e senza alcun tipo di appiglio cercando sempre più di piegarmi alla bellezza della melodia. Per questa ricerca è stato fondamentale il mio incontro e lavoro “Notturni” realizzato con il grande del Bandoneon Daniele Di Bonaventura, il suo suono e la bellezza delle linee melodiche che sa creare nella sua musica mi hanno lasciato impressioni fortissime. Daniele è un fine compositore oltre che un mirabile pianista e bandoneonista e questo suo modo cristallino perlaceo e cesellato di intendere la musica mi ha influenzato in maniera profonda, scrive melodie così belle che la mia strada compositiva non ha potuto fare a meno di andare anche in quella direzione.

Davide

Oggi siamo più abituati alla sinestesia suoni/immagini attraverso i fotogrammi o i pixel in movimento di un video. L’abbinamento suono/fotografia, nel vostro caso, ha forse il compito di promuovere invece l’immaginazione del fruitore all’interno di una immagine fissa, come in un sogno ad occhi aperti? È questo un invito e uno stimolo, una risposta alla attuale crisi dell’immaginazione in ogni ambito, anche sociale, ma soprattutto in quello dell’arte, come già preconizzava Argan negli anni ’70?

Emanuele

Nonostante attraverso la musica io cerchi di creare suggestioni nell’ascoltatore, spesso mirate, ciò che per me è fondamentale è portare il pubblico ad una vera riflessione, un vero pensiero, a far si che provi un’esperienza più profonda del solo ascolto sperando che possa giungere a scoprire in se qualcosa di nuovo. Questo può avvenire solo se chi ascolta è lasciato libero di intendere ed interpretare attraverso il suo vissuto, la sua persona ed il suo sentire l’arte proposta. Il video è un elemento dettagliatamente descrittivo, suono immagine e descrizione guidano il fruitore in un unico canale preciso e determinato, c’è pochissimo spazio per il proprio intendere, per i propri pensieri. Ma se noi ci mettiamo di fronte ad un quadro di Mirò o Kandinsky abbiamo la libertà di cogliere la grandezza dell’artista e la grandezza della propria persona completando il concetto con la nostra riflessione. E’ fondamentale, non importante, che l’ascoltatore provi un’esperienza. Nella vita l’incontro umano è tra le esperienze più belle che si possano provare, forse l’esperienza migliore in assoluto. L’artista non può privare l’ascoltatore ed il visitatore della possibilità di riflettere l’opera attraverso il vissuto di chi la sta osservando o ascoltando. L’immagine, proprio come un quadro, nella sua apparente staticità restituisce libertà a chi la guarda, la musica deve fare la stessa cosa. Noi vogliamo un pubblico libero e pensante. Anche quando offriamo un video come in zefiro è vero che proponiamo fotogrammi caratterizzanti ma ciò che viene messo in squilibrio dalla precisa descrizione anche musicale viene ben presto rimesso in asse dall’improvvisazione e dalla libera danza con cui il vento sposta ciò che osserviamo.

Davide

Negli ultimi tempi si sta assistendo a una dilagante Intelligenza Artificiale, non solo nella creazione delle immagini, ma anche del suono, della musica, non più solo prerogativa di cluster di computer come Iamus dell’Università di Malaga o Melomics 109, in grado di comporre musica in modo del tutto autonomo, e pare anche soddisfacente, ma ormai appannaggio anche di semplici applicazioni AI generatrici di musica. Qual è il tuo/vostro rapporto di artista/i con questo tipo di tecnologia?

Roberto

Sono sempre stato affascinato dalle nuove tecnologie ma anche dai vecchi strumenti, tutto è

Ricerca. Nell’album il brano “Il tempo” è accompagnato da immagini create con l’intelligenza

artificiale, siamo all’inizio di questa tecnologia con la quale si ottengono, attraverso le giuste descrizioni, immagini interessanti con surreali errori come i pianoforti a quattro gambe, non ci dobbiamo spaventare di quella che è l’evoluzione. Mi ricordo che quando sono uscite le basi ed i cantanti andavano soli a fare i concerti dicevano che sarebbe finito un mestiere, ma questo non è successo. Come sempre esistono ed esisteranno diversi modi per proporsi ma l’intervento della creatività umana avrà sempre una grandissima importanza, l’importante è, appunto, rimanere creativi!

Davide

Negli ultimi anni è cambiato moltissimo il modo di fruire della musica, ma anche di farla e proporla, per via delle nuove tecnologie digitali. Si ascolta musica ovunque, ma in modo sempre più veloce o casuale, effimero, frammentario, superficiale, diseducato. Il vostro lavoro richiede invece una fruizione attenta e dedicata. Cosa pensi di questa situazione?

Emanuele

A pensarci bene già il genio di Erik Satie ci parla in maniera provocatoria del concetto di “Musica da tappezzeria”. Forse i brevi reel di instragram o i video di Tik Tok sono l’esempio più lampante di una fruizione rapida ed utilitaristica della musica, spesso si estrae solo il ritornello o una sequenza del brano che indichi cose ben precise per dare velocemente valore utilitaristico al video. Sono chiaramente anche cambiati i supporti, io sono figlio dell’era in cui se si voleva ascoltare qualcosa era necessario possedere il cd o il vinile, ad oggi si ottiene in grande velocità un album andando su Spotify o utilizzando YouTube, questo porta anche al vantaggio di avere accesso a tantissima cultura. Ricordo che spesso desideravo ascoltare album che a Torino non si trovavano ed era frustrante. Io e Roberto andiamo piano e con serenità, siccome l’oggetto cd e vinile hanno sempre meno importanza e sembra che molti non trovino più i motivi per possederne delle copie fisiche abbiamo pensato di realizzare un vinile che contenesse la stampa di dieci foto con sul retro rappresentate le mie partiture, teniamo molto al concetto di dilatazione del tempo nel godere di un’esperienza nuova e differente. Questo lavoro discografico si ascolta immergendosi in contemporanea nella visione degli scatti di Roberto, solo in questo modo si può giungere alla sinestesia. Penso che possa coesistere la musica d’intrattenimento insieme alla Musica, basta che a forza di essere circondati ed avvolti dalla musica di tappezzeria non si arrivi a pensare che esiste solo quella. Io oltre ad essere un musicista sono fiero di essere un’insegnante e ritengo che il mio compito, pericolosissimo e di grande difficoltà, sia quello di educare i giovani ragazzi alla curiosità, all’andare a cercare ciò che non conoscevano, è il mio modo per combattere in maniera attiva ed impegnata uno di quelli che ritengo essere tra i mali più pericolosi dell’umanità, l’ignoranza.

Davide

Porterete insieme questo lavoro anche sui palcoscenici? Si assisterà anche alla visione fotografica e in che modo?

Roberto

In realtà il progetto a mio parere è affascinante specialmente dal vivo. Abbiamo una precisa scaletta preparata ma c’è moltissima improvvisazione sia sulle immagini che nel suono che in quello che succede sul palco. A seconda dei luoghi e dei contesti diventa un live completamente differente. Io intervengo sul momento con sovrapposizioni di immagini o di riprese realizzate in maniera estemporanea o con il controllo dei colori delle luci mentre Emanuele suona e scorrono sotto altre mie immagini. In alcuni brani sia le transizioni che i tempi impiegati sono compiuti dall’emozione del momento. Tutti e due continuiamo a lavorare per evolvere il progetto e per presentarci con nuove idee man mano che abbiamo nuove rappresentazioni.

Davide

Stai lavorando ad altri dischi e progetti? Cosa seguirà?

Emanuele

Come sempre ho una grande progettualità su ciò che realizzerò nell’immediato futuro e ci sono molte cose che voglio portare a compimento. Ho avuto la fortuna di incontrare un grande suonatore di Sitar, Leo Vertunni, una persona straordinaria con una preparazione magistrale ed un suono d’incanto, non vedo l’ora di finalizzare il lavoro con lui per portarlo in studio di registrazione.

Invece con l’amico cornista, che proviene da un’altra dimensione, il grande Martin Mayes, stiamo lavorando da un paio d’anni ad un lavoro in duo che abbiamo spesso portato in concerto, attualmente abbiamo realizzato un ulteriore programma ad hoc per una splendida mostra su Henri de Toulouse Lautrec e credo che una volta che avremmo scelto quali materiali mettere in gioco saremo pronti a lasciare traccia del nostro lavoro. E’ inoltre in programma la registrazione di un lavoro in coppia con la mia compagna di vita, la pianista classica Federica Bertot, un altro lavoro in cui credo molto ed in cui si riporta in auge l’improvvisazione sui notissimi preludi di Bach, ho già compiuto imprese simili nella mia carriera ma il ritorno di Bach all’improvvisazione secondo il suo stile affrontando le idee di cui lui stesso ha lasciato traccia sulle partiture può essere utile anche a livello didattico per una nuova interpretazione del suo lavoro.

Davide

Grazie e à suivre…

Immobile

Blu Solitudo, Notturno Op.5 Nr. 1

Nei luoghi in cui in Italia si suona jazz, la figura di Roberto Cifarelli è ormai da anni parte integrante della scenografia. Divorato da una passione inesauribile, con la sua presenza comunica a tutti gioia, serenità, entusiasmo e per questo motivo le sue rare assenze si notano, perché ormai siamo tutti abituati a vederlo con l’immancabile macchina fotografica mentre coglie gli attimi della tensione creativa, le emozioni che la musica gli comunica.

Cifarelli, classe 1964, ha compiuto tutto il percorso che separa gli scatti del dilettante di gusto da quelli del professionista, e lo ha fatto senza perdere un’oncia di quella passione per la musica, di quel rispetto per i musicisti che si avverte in tutte le sue fotografie,  anche in quelle degli anni di apprendistato.  Anni che hanno avuto termine nel 2002, quando nel libro Emozioni, scritti, immagini del jazz italiano, originale nella sua impaginazione che univa le foto a brevi note dei musicisti ritratti, ci consegnava il primo, compiuto atto d’amore verso i protagonisti di quel mondo di suoni che ama sopra tutti gli altri.

Da allora, Roberto Cifarelli è diventato un professionista della fotografia dello spettacolo, ma non ha perso la tensione che anima il dilettante, inteso però come colui che in maniera competente si “diletta” (al più alto livello) con un fenomeno artistico e spirituale.  Così, il suo mondo di immagini ha trovato sempre più spazio nelle riviste specializzate, Musica Jazz in testa, (ma anche Jazzit, Downbeat, Amadeus, Insound) nelle copertine di libri o degli album  pubblicati da grandi etichette, come la Blue Note e la ECM,  o da intraprendenti Indies quali Splasch, Map, Abeat, Alfa Music, Cam Jazz, Via Veneto. Ed anche nelle innumerevoli  rassegne che lo hanno invitato ad esporre: da Piacenza a Gallarate, da Iseo alla Brianza, da Vicenza a Udine, Vignola, Ivrea ed anche Colonia, in Germania.

Collabora attivamente con i musicisti in progetti multimediali che mettono in rapporto la musica con l’immagine ed ha ideato lo spettacolo Pentafotogramma, nel quale documenta in diretta il “pre” e il “durante” di concerti di artisti quali Antonello Salis, Enrico Rava, Paolo Fresu, Stefano Bollani, Beppe Caruso, Renato Sellani e Max De Aloe. Questo rapporto stretto, di amicizia e conoscenza, che lo lega ai musicisti è anche il segreto dell’immediatezza delle sue foto, che al di fuori di ogni ricerca formalistica cercano soprattutto di far uscire non tanto il fotografo, quanto il musicista, la sua peculiare gestualità. Forse per questo le sue immagini trasmettono lo stesso calore e la medesima serenità che si provano stando al fianco dell’uomo Roberto Cifarelli.

(Maurizio Franco)

Emanuele Sartoris è una figura di spicco nel panorama musicale jazz italiano. Avviato allo studio del pianoforte dall’età di 10 anni, Sartoris mostra presto un vivo interesse per il Blues e la musica afroamericana, per poi approfondire la tradizione classica e la musica moderna. Il suo percorso nella musica jazz prende slancio frequentando seminari di improvvisazione e orchestrazione, culminando con il diploma ottenuto sotto la guida di Dado Moroni presso il Conservatorio di Torino. Qui, Sartoris si laurea in Composizione ed Orchestrazione Jazz con lode, guidato da maestri del calibro di Furio Di Castri e Giampaolo Casati.

Riconosciuto tra i migliori studenti del suo corso, ha l’opportunità di perfezionarsi a New York presso la prestigiosa Juilliard School. La sua carriera lo vede esibirsi in numerosi festival di rilievo, quali il Torino Jazz Festival, Open Papyrus Jazz Festival, Novara Jazz Festival, e oltre i confini italiani, al Joroinen Music Festival in Finlandia.

Sartoris unisce alla sua intensa attività concertistica un impegno didattico di rilievo, tenendo seminari come “Piano Experience” alla Fiera Internazionale del Pianoforte di Cremona e insegnando come tutor al Conservatorio di Torino. La sua presenza come ospite musicale stabile nella trasmissione “Nessun Dorma” su Rai 5, lo ha portato a collaborare con artisti di fama come Eugenio Allegri, Eugenio Finardi, Patrizio Fariselli, Enrico Rava, Tullio De Piscopo, Stefano di Battista, Fabrizio Bosso, e Gianluigi Trovesi.

Il suo contributo alla musica jazz si estende anche all’attività discografica, con pubblicazioni di rilievo come “I Suoni del Male” in duo con Marco Bellafiore, il piano solo “I Nuovi Studi”, e “Téchne” con i Night Dreamers per l’etichetta Alfa Music. Tra le sue ultime produzioni, spiccano l’omaggio a Cesare Pavese “Verrà la Morte e Avrà i Tuoi Occhi” e “Notturni” in duo con Daniele di Bonaventura, quest’ultimo album celebrato tra i migliori cento album del 2021 da JazzIt Awards.

 

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