Giovanni Peli – Poesie 1994 – 2024
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Calibano Editore – Euro 13 – pag. 130
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Le parole non appartengono alla poesia è il giusto sottotitolo di una raccolta poetica che racchiude trent’anni di attività, selezionata in 130 pagine che rappresentano un lungo addio alla scrittura poetica, ritenuta ormai inutile dal bresciano Giovanni Peli, autore di testi per canzoni, prose poetiche, romanzi e libri per bambini. Dieci raccolte edite – dal 1995 al 2023 – riunite in un solo libro, composto dalle poesie migliori, disposte non in ordine cronologico, ma per comporre un coerente discorso lirico; una serie di versi raggruppati per stile e per tema, mai in rima, solo assonanze e musicalità della parola prescelta. Prefazione (molto colta e incisiva) di Gian Ruggero Manzoni, che spiega la lirica di Peli come ricerca interiore e indagine morale, ispirata da una sorta di politica etica. Parole che diventano musica di delusioni, sinfonia di amarezze e rimpianti, eco di fallimenti e dolore. Una poesia che parla di natura, uomini e animali, soprattutto gatti che fraintendono la notte, ma anche compagni a quattro zampe che ti vengono a cercare proprio quando hai appena detto che avresti fatto a meno di loro, chiedendo una scodella di cibo e un po’ d’amore. Una raccolta a base di poesie brevi – spesso una terzina, in certi casi persino due strofe – ma intense: Mi manca di te / ciò che non sei / stereotipata stella / unica amica mia / guarda come è bella / la nostra bugia. I seni della donna sono pugni di neve, le mani sono lame profonde, la pelle è asfalto che brucia e alla fine il poeta conclude che sa amare solo se stesso che ama. Molte poesie sono rapide frecciate di dolore: Novembre si è preso tutto il merito / si è aperto come una finestra: / sono nato in un grande cimitero. Tra i versi si avverte l’inutilità della scrittura: Coi versi e con la musica son solo: / è così: non c’entro niente con voi. La solitudine dell’artista è sempre in primo piano, mentre tu stai piangendo perché la vita è questa. Il poeta ammonisce: Non devi darti da fare per essere / qualcuno e men che meno qualcosa: / portami via il dolore e poi sorridimi. La conclusione, condivisibile da chiunque oggi tenti di comunicare con la scrittura, è pessimista: È morta la poesia / specialmente la mia … / i lettori fanno le fotografie / prima di arrivare in fondo. Il poeta, pertanto, si chiude in se stesso: Nella pura falsità della poesia, / ci siamo chiesti che cosa, oggi, valesse la pena di raccontarsi. La chiusura del volume è negativa nei confronti della letteratura e per chi fa della scrittura il suo mondo espressivo: Il nostro tempo è passato nel migliore dei modi / e sarà presto dimenticato, anche perché serve tempo per scrivere / quel tempo vuoto / dove non batte il cuore. Ed è proprio il tempo che troppo spesso manca. Non solo al poeta. Non solo a Giovanni Peli. Un libro da leggere e meditare.