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Una notte al Museo Russo – Paolo Nori

5 min read

Editori Laterza (Bari, 2024)

pag. 129

euro 15.00

Scrive libri. Non è un professore; nel senso che lui e Barbero, per dire, sono distanti anni luce: eppure sono anni che io “imparo cose”, direbbe qualcuno, che apprendo tanto insomma, dai libri di Paolo Nori. Perfino dai suoi romanzi, cha sarebbero in qualche misura il massimo grado della menzogna, sempre e comunque la finzione elevata a potenza. Qualcosa dalla quale guardarsi.
Eppure tanto m’hanno insegnato. Ché l’anarchico Nori è uno scrittore di quelli che stanno in una categoria: i creatori di meraviglia.
Per fare un esempio, ricorderò qui come per ben tre volte ho assistito alla presentazione pubblica del suo libro “Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor Dostoevskji” (Mondadori, 2021), a Genova, a Viareggio ed a Sarzana. Da quell’opera e dunque dai momenti pubblici dedicati al volume omaggio allo scrittore di riferimento del Nori, ho avuto così tanto stupore da riempirmi di dettagli ogni volta di più.
Figuriamoci adesso. Che Nori mi porta al Museo Russo. Al museo più bello del mondo, di gran lunga da preferire, a suo dire, al più gettonato Ermitage.
Anche in questo agilissimo volume “Una notte al Museo Russo”, che inaugura la neo-nata collana della Laterza “Una notte a…” (un’idea bella quasi quanto lo era la defunta “Contromano”), Nori ci riporta a sue precedenti pubblicazioni. Con tanto della più sentimentale, forse, di tutti – dedicata al nonno -: “La meravigliosa utilità del filo a piombo” (Marcos y Marcos, 2011); ma lo fa perché, oramai, e oramai da tanti anni, ancor più del solito, Paolo Nori riparte dal suo legame con la Russia, già da quand’era Unione Sovietica, aggiornato all’attualità della guerra in Ucraina, e insomma adesso quindi della guerra in Ucraina aggiornata alla nuova guerra fra Israele e Palestina.
“L’ultima volta che c’ero andato da studente, nel 1995, per essere simile a un russo mi ero fatto crescere la barba e aveva funzionato: al Museo Russo mi facevano pagare come i russi, pochissimo, nel 1995”. Questo potrebbe essere l’intermezzo indispensabile per capire di cosa stiamo parlando.
Dopo che aveva spiegato la differenza d’approccio generale con la cultura fra orientali russi e occidentali, soprattutto italiani. Mentre la bussola puntata su Dostoevskji poco si sposta, anzi è sempre all’autore delle “Notti bianche” direzionata. Anzi, ancor meglio, Dostoevskji è il sottofondo di tutta la scrittura del nostro.
“Ci sono due cose che mi vengono sempre in mente, quando penso al rapporto tra potere politico e scrittori in Russia”, continua il Nori. Che poi torna al ‘solito’, questo di sicuro indispensabile, ricordo: “Mi ha detto, il mio amico, che c’era un ex funzionario del Kgb, che aveva proposto di fare diventare quel grande edificio un monumento letterario. Quando gli anno chiesto come mai lui ha riposto ‘Come, come mai? Sono passati tutti di qui’. E aveva ragione, i più grandi scrittori di Leningrado, del Novecento, sono passati tutti di lì, e qualcuno da lì non è uscito. Gli scrittori sono stati per un paio di secoli, Otto e Novecento, i principali nemici del potere sovietico, temuti, sorvegliati, puniti, arrestati, perseguitati, torturati, uccisi e vietati. Non si potevano leggere, non si dovevano, leggere. E i russi, di conseguenza, li leggevano.”: Chè ogni libro, ogni conferenza, ogni lettura pubblica di Nori è un inno alla libertà.
Il punto è che si parte sempre dai luoghi. E che per Nori oltre quei pigementi nazionali che sappiamo, c’è la Russia quale prima scelta, predilizione e luogo del cuore. Insomma la scusa del Museo resta tale. Infatti prima di parlare d’alcune opere custodite al Museo Russo, almeno questo, Nori fa avanti e indietro nella sua esperienza di legame con questa terra. Coi suoi letterati. Con la sua gente.
“Dormiamo, di notte, siamo stanchi, che non andare al Museo Russo per cinque giorni di seguito, è una cosa faticosa, alla nostra età”. Ecco perché anche quest’opera del nostro Paolo Nori è da leggere.

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