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Violazione di domicilio…

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La mia casa è talmente piccola che appena entrati

si è già usciti

Boris Makaresko

Fra le libertà attribuite nell’esclusivo interesse di ogni individuo c’è quella di condurre una vita pacifica, tranquilla e sicura nei luoghi di utilizzo privato[1].

L’abitazione rappresenta, in un certo senso, un’estensione della persona, una sua proiezione spaziale, trattandosi del luogo in cui si svolge la vita quotidiana di ciascun individuo: così si comprende come il legislatore, fin dall’emanazione del Codice Penale vigente (Regio Decreto 19 ottobre 1930, n. 1398), abbia posto l’art. 614, norma che punisce la “Violazione di domicilio”, nel Libro Secondo “Dei delitti in particolare”, al Titolo XII “Dei delitti contro la persona”[2].

Chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi s’introduce clandestinamente o con l’inganno, è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo, ovvero vi si trattiene clandestinamente o con inganno

Colpisce, innanzitutto, che nel testo della norma (titolo a parte), non appaia mai proprio il termine “domicilio”; a ben vedere, infatti, il domicilio di cui parla il Codice Penale non corrisponde a quello in senso civilistico[3]. Mentre il Codice Civile definisce il domicilio come il luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi (il suo ufficio, il suo studio, ecc.), la legge penale intende per esso ogni luogo privato ove si svolge la vita, lavorativa e non, della persona. Si tratta, pertanto, di una nozione allargata, che ricomprende anche i concetti di dimora e di residenza tipici del diritto civile[4].

Nel corso del tempo la Giurisprudenza, con numerose pronunce dei Magistrati, ha delimitato meglio gli elementi del reato, come, appunto, il concetto di “ambiente privato” (luogo di privata dimora), oggetto di violazione: questo deve essere inteso come qualsiasi luogo adibito ad uso domestico o lavorativo da una o più persone (così non rientrano nella categoria gli appartamenti o i locali non ancora abitati e di fatto ancora vuoti). Infatti non è necessario che la persona, legittima detentrice, viva in modo continuativo nell’edificio, come avviene per esempio per la casa al mare o abitazioni utilizzate solo in certi periodo dell’anno. Rientrano in questo ambito anche gli studi professionali, le botteghe, le osterie, i caffè, ecc., in altre parole ogni luogo in cui è possibile rimanere in maniera stabile per un certo periodo di tempo, a differenza, ad esempio, di un’automobile, in cui si può anche permanere e dormire, ma che non fornisce i requisiti minimi per potervi “risiedere” per un determinato lasso di tempo[5]. La camera d’albergo, d’altro canto, rappresenta senza dubbio un luogo di privata dimora: pertanto l’introduzione in essa senza il consenso dell’alloggiante può integrare il reato di violazione di domicilio.

La norma ricomprende anche le cosiddette “appartenenze”, ovvero luoghi che costituiscono parte integrante dell’abitazione (c.d. pertinenze), in quanto la completano (il cortile, il magazzino esterno, l’orto, il giardino, il garage, ecc.). È sufficiente che ci sia un rapporto di dipendenza di tali locali al luogo di privata dimora per configurare il nostro reato: il solo aver sostato sul pianerottolo del condominio dello studio legale del proprio avvocato contro la sua volontà, considerate le cattive intenzioni del cliente nei confronti del professionista, ha procurato al malintenzionato una condanna per “violazione di domicilio”, sentenza di merito confermata dalla Corte di Cassazione (CSC, Pen. n. 10508/2018).

L’evento tipico del delitto coincide con il suo “momento consumativo” che consiste nell’effettiva introduzione del soggetto agente in uno dei luoghi indicati dall’art. 614 C.P., oppure nel suo rifiuto di uscirne, pur essendo consapevole del dissenso dell’avente diritto. Ovviamente va sempre considerata “la condizione psicologica” dell’agente, ovvero egli deve agire con “dolo generico”, quindi consapevole di entrare in casa altrui senza averne il permesso e contro la volontà del titolare dello jus excludendi omnes alios (diritto di escludere tutti gli altri)[6].

Se qualcuno si introduce in un’abitazione da una finestra lasciata aperta (ingresso clandestino), appare abbastanza chiaro che si tratti di violazione di domicilio[7], al pari di un estraneo che suonando al citofono del proprietario, si spacci per un suo conoscente riuscendo così ad accedere al cortile dell’abitazione (ingresso con l’inganno).

Ma se una persona sta camminando in aperta campagna e, incuriosito da un casolare caratteristico, si avvicina a guardarlo, ignaro di essere entrato in una proprietà privata in quanto priva di recinzione, di cancello, o di qualche segnale che lo indichi, commette la violazione? In questo caso è determinante, come appare ovvio, il “dissenso” di colui che vanta un diritto sul luogo in cui si verifica il fatto, dissenso non inteso come “mancanza di consenso”, bensì come volontà contraria di colui che abiti o dimori nel luogo interessato, avendo egli il diritto di vietare l’ingresso o la permanenza di estranei. Questa “volontà contraria” può essere manifestata esplicitamente con segnali o cartelli scritti, oppure con richiami verbali (si pensi a quel proprietario che, stancatosi improvvisamente della nostra presenza, ci esorti ad andarcene[8]), o essere anche “implicita/tacita”… essendo il “dissenso presunto” ammesso quando l’introduzione nel domicilio altrui, a prescindere dalle ipotesi di clandestinità-inganno, avvenga per un fine illecito (si pensi alla violazione di domicilio commessa con l’entrata furtiva di un’amante nell’abitazione di un soggetto, mentre il coniuge è assente, come sancito tempo addietro dalla Corte Suprema…)[9].

Stiamo parlando di un reato tutt’altro che semplice, per alcune applicazioni addirittura sorprendente, potendosi configurare anche nei confronti dello stesso proprietario dell’immobile/abitazione[10]. Si pensi ad esempio al caso di separazione fra coniugi comproprietari in cui la casa familiare sia stata assegnata ad uno solo di essi (di solito quello convivente con i figli minori), costringendo l’altro coniuge a trovare una diversa sistemazione. La Giurisprudenza ha affermato che in tali circostanze, lo ius excludendi può essere fatto valere anche nei confronti del proprietario/ex-coniuge che non vive più in quella casa, e sarà possibile a quest’ultimo entrare in “casa sua” solo con il consenso del coniuge assegnatario[11]. La stessa logica è stata applicata anche nel caso di contratto di comodato (prestito d’uso a titolo gratuito od oneroso, art.1803 C.C.), per cui il proprietario “non ha diritto di introdursi e trattenersi nell’appartamento concesso in comodato” poiché, in virtù del contratto il comodatario (colui che riceve l’uso), acquisisce la detenzione qualificata della cosa, ivi compreso lo ius excludendi del proprietario che nel caso usi le chiavi in suo possesso per accedere liberamente nella sua “casa prestata”, commette violazione di domicilio[12].

Ugualmente, il proprietario che concede in locazione un immobile non può introdursi a suo piacimento e senza preavviso: il conduttore avente il possesso legittimo ha, anche, il diritto di vietare l’accesso a qualunque terzo, essendo costretto a “sopportare” le visite del locatore, come previste da specifica clausola contrattuale, solo in casi tassativi e preceduti da congruo preavviso.

In tema di locazione occorre precisare che il fenomeno, parzialmente diverso ma non raro, per cui il proprietario di un immobile che, una volta “scaduto il contratto di locazione”, di fronte all’inottemperanza dell’obbligo di rilascio da parte del conduttore, anziché ricorrere al Giudice con l’azione di sfratto[13], si fa ragione da sé, sostituendo la serratura della porta di accesso, apponendovi un lucchetto, risponde del reato di “esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose” di cui all’art. 392 C.P. (come ribadito dalla CSC, IV sez. Penale, n.21846 del 1/03/2022)[14].

Il III comma dell’art. 614 C.P. prevede due circostanze aggravanti del reato, per le quali sono previste pene più gravi:

La pena è da due a sei anni se il fatto è commesso con violenza sulle cose, o alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato”.

La Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire il significato di violazione di domicilio “con violenza sulle cose”, e cioè quando l’azione sia stata esercitata direttamente sulla “res” (l’immobile violato), ma anche che essa abbia determinato la forzatura, la rottura, il danneggiamento della stessa o ne abbia comunque alterato l’aspetto e/o la funzione.

Per procedere legalmente contro la violazione di domicilio è necessaria la querela della persona offesa ai sensi del IV comma dell’articolo 614, per cui il reato può essere o meno perseguito a seconda che la persona offesa decida di denunciarlo[15].

“…Si procede, tuttavia, d’ufficio quando il fatto è commesso con violenza alle persone, ovvero se il colpevole è palesemente armato o se il fatto è commesso con violenza sulle cose nei confronti di persona incapace, per età o per infermità.”, vale a dire nelle ipotesi più gravi di violazione.

 

La felicità è a casa tua, non cercarla nel giardino degli altri.

Douglas Jerrold

  1. Cfr. “Il reato di violazione di domicilio” di Filippo Martini, in www.consulenzalegaleitalia.it
  2. Capo III – Dei delitti contro la libertà individuale – Sezione IV – Dei delitti contro la inviolabilità del domicilio, artt.614-615quinquies.
  3. Cfr. Alberto Monari, Kultunderground n.131-GIUGNO 2006: “La difesa legittima del domicilio privato”, https://kultunderground.org/art/246/
  4. Cfr. Alberto Monari, Kultunderground n.305-DICEMBRE 2020: “Il cittadino e le libertà: l’inviolabilità del domicilio”, https://kultunderground.org/art/39154/
  5. Cfr. “Quando si parla di violazione di domicilio?” di Carlos Arija Garcia, in www.laleggepertutti.it, 15/09/2021

    CSC Penale, sent. n. 43426 del 05.11.2004.

  6. Qualora, poi, l’agente abbia realizzato la propria condotta in modo clandestino o fraudolento, la sua coscienza e volontà devono sussistere anche su questi elementi.
  7. Per quanto riguarda l’introduzione, essa deve avvenire con tutta la persona dell’agente. Non costituisce, quindi, una violazione di domicilio il salire sul tetto della casa altrui oppure il fermarsi sull’uscio, o introdurre dalla finestra aperta solo un braccio.
  8. In questo caso sarà bene accogliere l’invito e non trattenerci oltre al fine di evitare possibili responsabilità penali.
  9. La giurisprudenza costituzionale calando la fattispecie nell’ambito della famiglia, ha attribuito parità al marito e alla moglie nell’esercizio del diritto di escludere qualcuno dal domicilio famigliare. Il dissenso di uno dei coniugi pertanto vale a neutralizzare il consenso dell’altro. V. Martini, op. cit.
  10. Cfr. https://www.studiolegalefois.it/it
  11. Lo stesso accade anche nell’ipotesi in cui un coniuge decida spontaneamente di trasferirsi altrove: in questo caso, secondo i Giudici, l’unico titolare del diritto di esclusione dei terzi è il coniuge rimasto nell’abitazione familiare (CSC penale sentenza n. 47500/2012).
  12. CSC, V sez. Penale, sentenza n. 24448/2019.
  13. Cfr. Alberto Monari, Kultunderground n.169-AGOSTO 2009: “Sfratto esecutivo…”, https://kultunderground.org/art/1407/
  14. Cfr. Alberto Monari, Kultunderground n.190-MAGGIO 2011: “Divieto di farsi giustizia da sé”, https://kultunderground.org/art/1872/
  15. La querela (artt. 120 – 126 Codice Penale) è un atto con cui un soggetto, che è stato offeso da un reato non procedibile d’ufficio, manifesta all’autorità giudiziaria la volontà di perseguire penalmente il colpevole, essa è quindi una condizione di procedibilità.

 

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