Intervista con Dario Dont
8 min read“Grand Jeté” è il meraviglioso album d’esordio di Dario Dont. L’ex voce di Blank Dirt e Don Turbolento torna con il suo primo lavoro solista che unisce trame rarefatte, cantautorato atipico, indie pop ed una ricerca sonora di altissimo livello. L’album è disponibile in versione CD e MC da collezione ed è impreziosito dall’opera in copertina “Grand jete” di Joseph Piccillo, pittore e artista americano di fama internazionale josephpiccillo.com
Dodici canzoni in italiano dal mood crepuscolare dove si alternano momenti melodici e momenti più abrasivi. Sovraincisioni, filtri vocali e sonori, sperimentazioni, brani costruiti su tempi impossibili con riferimenti a Balletto di Bronzo (uno dei gruppi preferiti dell’artista) e Flaming Lips. Tutto mixato in una proposta originale e godibile.
Comunicato stampa.
Vrec /Audioglobe / Davvero Comunicazione 2023
Dario Bertolotti (Dario Dont) è un poliedrico artista bresciano, musicista nei primi anni 2000 suona il basso e canta nella band bresciana Blank Dirt di ispirazione The Who, QOTSA, Motorpsycho con i quali pubblica due EP. Nel 2005 con l’amico Giovanni Battagliola dei Black Eyed Susan dà vita ai Don Turbolento dove suona la batteria e canta. Il duo, caratterizzato da un suono scarno ma carico di groove, si fa presto conoscere in tutta Italia fino a guadagnarsi il premio di migliore live band al MEI 2009. I Don Turbolento pubblicano 3 album e 3 ep. Nel 2017 comincia a lavorare a nuovo materiale in italiano per un progetto solista che prenderà il nome di Dario Dont, dopo qualche apparizione in festival locali decide di registrare parte del nuovo repertorio al Monolith Studio di Michele Marelli. Il 2023 è l’anno dell’uscita di Grand Jeté (Vrec/Audioglobe) anticipato dai singoli “Neve”, “Non far rumore” e “A metà”.
(Videoclip “A metà”)
Intervista
Davide
Ciao Dario. Nuovo progetto solista dopo Blank Dirt e Don Turbolento. Cosa cambia con “Dario Dont” rispetto al tuo passato, cosa introduce, sviluppa e persegue lungo il tuo percorso musicale?
Dario
Ciao, è tutto molto diverso dai miei lavori precedenti per svariati motivi: che la scrittura è interamente mia e non di una band/duo, che è in italiano mentre ho sempre scritto in inglese, che non ha l’attitude dance che ha caratterizzato i Don Turbolento per 15 anni, che i brani originariamente non sono stati scritti con l’intenzione di essere ascoltati da altri che da me
Davide
Dario Dont, nome d’arte che un po’ rimanda alla tua precedente esperienza nei “Don Turbolento”, ma suona come un “don’t” inglese, quindi l’avverbio di negazione “non”?
Dario
Dont è un riferimento alla mia esperienza nei Don Turbolento, è nato in modo molto banale, quando mi sono messo sui social per identificarmi mi sono chiamato Dario Don T e così è rimasto se non che ho unito la seconda parte del nome.
Sì, ricorda la negazione “Don’t” e mi piace pensare che il mio ego musicale precedente anglofono mi scoraggiasse dall’avventurarmi nella scrittura in italiano.
Davide
Il “grand jeté” è un tipo di salto nella danza classica, come si vede anche nel dipinto di Joseph Piccillo in copertina. Perché dunque il grand jeté, per quale metafora? È anche un tuo grande salto?
Dario
Grand Jeté è il titolo di uno dei brani del disco. È uno dei pezzi ai quali tengo di più, l’ho scritto ispirato da alcune foto di piedi e gambe di ballerine incerottati e pieni di lividi e abrasioni; mi colpisce il contrasto tra questi segni evidenti di dolore e fatica e la leggiadria dei movimenti che, l’apparente leggerezza e assenza di fatica. Per cercare di rendere questa suggestione il brano è in un tempo ostico, un 9/8, ma ho lavorato perché invece sembri fluido e non dia l’impressione di un ritmo che inciampa su se stesso.
Mi è sembrato poi il simbolo ideale per dare nome al disco perché in effetti per me è un grande salto rispetto alla mia esperienza passata, un salto con il quale entrambi i piedi si staccano da terra.
Davide
Come sono nate queste tue nuove dodici canzoni, intorno a quali idee musicali centrali e, per le liriche, intorno a quale tema prevalente?
Dario
Io parto sempre dalla musica, in linea di massima questi brani, a parte un paio usciti dalla chitarra acustica, sono nati prima da un beat, poi un synth e da lì si sono sviluppati. Raggiungo una forma quasi completa, anche di arrangiamento, prima di pensare alla voce e al testo che è sempre ispirato dall’atmosfera che si è andata creando. Quando comincio un brano non so mai di cosa parlerà.
Davide
Nel disco hai suonato tutti gli strumenti fuorché la batteria, affidata a Beppe Mondini o a Michele Morelli. Già batterista nei Don Turbolento, avresti potuto fare questo disco del tutto da solo. Perché, dunque, hai lasciato il compito a Mondini e Morelli?
Dario
In realtà i batteristi sono tre, in “cuore aperto” suona Beppe Facchetti dei Superdownhome che ha anche prestato una fantastica Slingerland Radio King degli anni ’40 che è servita per quasi tutte i brani. La scelta di non suonare io la batteria sta nel fatto che ho scritto ritmiche troppo complicate per me e non volevo poi passare il tempo a fare mille takes o peggio ancora ad editare i moltissimi errori che avrei sicuramente fatto. Ma non è solo questo, ho voluto gli stili di questi tre batteristi e, insieme a Michele Marellli, che ha anche registrato e dato il sound al disco, abbiamo pensato chi fosse meglio per ogni brano e sono molto soddisfatto del risultato.
Davide
Leggo nel comunicato stampa che tra i tuoi gruppi preferiti ci sono Il Balletto di Bronzo e i Flaming Lips, e sicuramente molti altri. Cosa, in particolare, ti fa preferire un gruppo, un artista o un disco rispetto ad altri?
Dario
In realtà per me è sempre molto difficile identificare dei preferiti; la mia risposta può essere molto variabile perché i musicisti che ammiro sono veramente tantissimi e risponderò in base a quello che sto ascoltando in quel periodo. Sicuramente YS dei BdB è uno dei dischi che più ho ascoltato nella mia vita e lo adoro, non posso dire che sia una influenza diretta sul mio stile, anche perché parliamo di musicisti di un livello inarrivabile. I flaming Lips invece sono stati un gruppo che ho seguito moltissimo e probabilmente il nome che è saltato fuori più spesso durante le registrazioni di Grand Jeté
Davide
Si sente ripetere che la pandemia ha aperto una crisi del settore musicale. In realtà, specialmente in Italia, la crisi del settore musicale è iniziata molto tempo prima con la crescente diffusione delle tecnologie digitali, soprattutto quando invadenti e male utilizzate, come nella dematerializazione della musica nell’infosfera. Qual è la tua idea su questa situazione?
Dario
Ok, ora sembrerò un boomer al 100%. Purtroppo penso che avere tutto a portata di mano all’istante e gratuitamente abbia molto intaccato la passione per la musica nelle nuove generazioni, ma anche nelle vecchie.
Quando avevo 15/16 anni, erano gli anni ‘90, compravo un disco perché leggevo che era prodotto da David Bottrill, oppure perché ci suonava Max Cavalera o perché ne avevo letto una recensione che mi aveva colpito, non sapevo cosa ci fosse in quel disco, ma lo compravo, tornavo a casa e lo ascoltavo guardando avidamente la grafica, che diventava un tutt’uno con l’esperienza di ascolto. I musicisti erano figure mitologiche di cui non sapevi quasi niente, dovevi comprarti le riviste specializzate per trovare l’inserto su quel gruppo, o l’intervista, o una foto in più. Magari non riuscivo ad avere tutta la musica che oggi un ragazzo può avere a portata di spotify ma in quei dischi ci entravo anima e corpo e loro entravano dentro di me e, non ultimo, il fatto che lo pagavo mi faceva andare molto oltre al primo ascolto, faccio un esempio, quando comprai Rock Bottom di Robert Wyatt, lo feci perché sapevo che era il batterista dei Soft Machine ed era legato ai Pink Floyd. Il disco non mi colpì subito, ma l’avevo pagato, per cui lo ascoltai di nuovo, e di nuovo, e.. oh senti, ma questa chitarra mi sembra… cazzo è Mike Oldfield!, e di nuovo, e di nuovo, ad un certo punto era diventato uno dei miei album preferiti. Non so se nei panni di un ragazzo di oggi mi sarebbe interessato andare oltre al primo ascolto che mi aveva lasciato un po’ spiazzato e non particolarmente intrigato.
Purtroppo i social hanno anche rovinato quell’aura mistica che si creava intorno al musicista, oggi apriamo instagram e possiamo vedere Paul Stanley che fa il ragù. Se hai anche una vaga idea di cosa erano i Kiss per chi li ha vissuti allora capisci che non lo puoi guardare mentre fa il ragù.
Eppure oggi si ha la sensazione che sia questo che bisogna dare.
Davide
Qual è stato il tuo metodo di lavoro nella scrittura musicale, nell’arrangiamento e nella registrazione di “Grand Jeté”?
Dario
Come dicevo, parto sempre dalla musica.
Nel caso di questi brani ho lavorato molto a casa, sono andato in studio con 40 pezzi completamente arrangiati.
Abbiamo fatto una selezione, poi abbiamo sostituito tutto quello che poteva essere migliorato, in primis le batterie e le voci.
Non c’è quasi editing in tutto il disco, in particolare la voce non è perfetta e si sente, ma ho voluto che rimanesse così, non voglio sembrare perfettamente intonato se non lo sono e penso che la musica “di consumo” pecchi di eccesso di perfezione.
Davide
Quando un tuo pezzo è finito e senti che non ha più bisogno di altro?
Dario
Quando non mi vengono più idee per migliorarlo e riascoltarlo mi dà felicità.
Davide
Lo scrittore Alessandro D’Avenia ha scritto che a volte nella musica si trovano le risposte che cerchi, quasi senza cercarle. Tu cerchi delle risposte dalla musica o cos’altro?
Dario
Non lo so, io faccio musica perché mi fa stare bene il momento in cui la creo e subito dopo la ascolto.
Una cosa che posso dire è che le canzoni mi parlano, mi sono accorto di avere scritto dei testi e nel tempo, ai miei occhi, il significato è cambiato, tanto da non ricordare bene da cosa ero partito o cosa era che mi aveva portato a scriverli.
Davide
Cosa seguirà?
Dario
Spero molti concerti e, in quel caso, un altro disco, magari prendendo tra i 28 pezzi scartati da Grand Jeté
Davide
Grazie e à suivre…