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Intervista con Claudio Milano

18 min read

Ricercatore vocale, didatta, compositore, attore e musicoterapeuta laureato con lode in scenografia con uno psicodramma sulla Gesamtkunstwerk.

Come compositore e interprete a partire dal 2002 ha partecipato alla Prima Biennale d’Arte Contemporanea a Mosca e alla Biennale Arte di Venezia del 2011, a spettacoli di danza, musicali, multimediali, teatrali, performance, readings, opere lirico-sinfoniche e festival di video-arte tenuti in tutta Italia, Svizzera, Francia, Germania, Finlandia, Serbia, Croazia, Repubblica Slovacca, India.

Ha dato alle stampe 17 album, un DVD e ha partecipato a 20 pubblicazioni di artisti internazionali, collaborando con alcuni dei massimi musicisti in ambito classico/lirico, jazz, pop, rock, ethno, folk, avantgarde.

ManifestAzioni live 2011-2023
Il disco live di un cantante e interprete di voce estesa in uscita il 19.05.2023 per Music Force
Un parterre di compagni di viaggio nobile: Giovanni Floreani con Strepitz Open Project, Gian Paolo Tofani Krsna Prema Das e Ares Tavolazzi (Area Open Project), Walter Calloni, Vincenzo Zitello, Evaristo Casonato, Raoul Moretti, Marco Tuppo, Ermes Ghirardini, Luca Casiraghi, Paolo Viezzi, Cristina Sybell Spadotto, Gerardo Ferrara, Eugenioprimo Saragoni, Giulia Zaniboni, Francesca Badalini, Andrea Grumelli, Luca Casiraghi e Arrington De Dionyso degli Old Time Relijun.
Teatro/voce in un’accezione da “interprete” di perfoming arts.
Due ore di musica registrata tra Italia tutta e Francia tra il 2011 e il 2023, in una selezione di registrazioni su traccia unica, tra centinaia di quelle fatte.
Tanti progetti, lo stesso spirito libertario alla ricerca di qualcosa di poco definibile.
Folk, rock, avanguardie, elettronica, ambient, jazz fusion, classica antica. Musiche dal Medioevo ai giorni nostri con grande passione per quel Novecento (e primi vent’anni scarsi in classica e jazz dei 2000) che è finito in un cassetto come qualcosa di scomodo e da dimenticare, nella presunzione di una linearità di progresso e storia che di fatto è la più grande menzogna del mondo contemporaneo.
Un album da “sfogliare”, non solo da ascoltare (l’edizione ultra-limitata prevede un photobook).
Nessun brano (tranne “Amanti in Guerra”) qui scelto è stato esposto nei live precedenti dell’interprete e la quasi totalità di queste incisioni non avrà un corrispettivo in quanto a future pubblicazioni in studio.
Le lingue cantate?
Italiano moderno e medievale, tedesco, latino, greco, francese antico dalla pronuncia distante da quella odierna, gaelico, lingua friulana contemporanea e patriarchina, dialetto siculo, grammelot.
Il tutto tra testi originali e citazioni rimescolate dalle penne (anche) di Dante Alighieri, Leo Zanier, Bertolt Brecht/Kurt Weill, Nikolai Rainov, Giuseppe Ungaretti, Derek Jarman, Alan Bennett, Conon de Béthune, Franco Battiato.

Artista: Claudio Milano’s End Friends (La bobina di Tesla)
Titolo: “ManifestAzioni Live 2011-2023”
Autore: Claudio Milano
Editore: Music Force
Etichetta: Music Force
Catalogo: MF 117

Tracklist:
CD 1
01. Per causa – nostra
02. Dite
03. Che piacere è peccato?
04. E se aprissi quella porta?
05. Conta chi tenta!
06. Amanti in guerra
07. Secca in festa
08. Gallia#4
09. Cerniere
10. Aghe aghe benedete
11. Nostro padre ci aspetta – A Claudio Rocchi

CD 2
01. Madre pagana
02. Per causa – nostra -II
03. Incontro – Medley
04. Cramars Marochins PT II
05. Surabaya Johnny
06. Il serpente e il bastone
07. Nella torre delle aquile
08. Da La leggenda di Zlatarog: Identità/Claps
09. Pan’s pot
10. SenseNonSex – Vocal Workshow

https://www.youtube.com/watch?v=1mJBjHyO1VE

https://claudiomilano.bandcamp.com/album/claudio-milanos-end-friends-la-bobina-di-tesla-manifestazioni-live-2011-2023

Intervista

Davide

Ciao Claudio. “ManifestAzioni” è un doppio CD che raccoglie una selezione di diverse tue esibizioni dal vivo registrate tra il 2011 e il 2023. Che tipo di racconto ideale hai voluto ricostruire dei tuoi ultimi dodici anni qui racchiusi?

Claudio

Un audio photobook, la raccolta degli scatti più rappresentativi per descrivere il mio modo di cantare come interprete di voce estesa, non credo pubblicherò mai un album dal vivo così capace di rappresentarmi. Non ce ne sarà modo e tempo, conto di smettere con la musica a 50 anni, nel 2025, almeno come cantante.

Un disco con composizioni originali complica le cose, mi vede anche nel ruolo di compositore.

Questo è il disco di un performer, non di un compositore.

Contiene materiale mai pubblicato in versione dal vivo e in buona misura materiale che non solo io non ho mai pubblicato in dischi in studio, ma che nondimeno non andrò mai a pubblicare in futuro, tante jam… una gran esposizione di linguaggi da improvvisazione fusion, o ethno fusion, di folk progressivo, psichedelico e ambient, oltre alle mie consuete modulazioni teatrali d’umore.

Davide

Cosa rappresenta per te esibirti dal vivo, davanti a un pubblico? Su quali frequenze vibrazionali cerchi di sintonizzare te stesso con ciò che ti circonda?

Claudio

Il corpo, diventa nel complesso risuonatore e si pone come strumento di relazione tra cielo e terra. Il canto per me ha un valore sì drammaturgico, ma nell’ottica di ricerca dell’avvenimento catartico che invoco per me almeno.

Ultimamente al mio canto associo anche danze, studio da derviscio.

Se il pubblico zittisce o sento l’aria che si intesisce capisco che ho centrato il mio obiettivo.

Io non mi diverto a cantare, vengo fuori dai miei spettacoli a pezzi e ho bisogno o di riposo immediato o di alcool per allentare la tensione accumulata.

Davide

Perché Claudio Milano’s End Friends, ossia i tuoi “amici finali”? Ma potrebbe anche essere letto come gli amici della fine di Claudio Milano… Perchè nondimeno “la bobina di Tesla?

Claudio

Ho idea si sia alla fine di un’epoca, ne abbiamo già parlato meno di due anni fa per “INCIDENTI-Lo Schianto”. Questo tipo di percezioni possono essere rapportate anche al sé e sento che Claudio per come lo conosco sta morendo.

Dunque l’accezione corretta è “amici della fine”.

In merito a La Bobina di Tesla la definizione più chiara l’ha data Stefano Bonelli, che mi ha recensito su Tempi Duri: “Forse non a caso il progetto di Claudio Milano si chiama la Bobina di Tesla, ascoltando le sue composizioni possiamo paragonarle come dei fulmini a bassa intensità dico questo perché nel disco sono presenti brani brevi e brani più lunghi quelli brevi ti arrivano come dei fulmini che ti lasciano li stecchito ma soprattutto perché non ti aspetti quello che ascolterai. Sebbene il fulmine per natura arrivi con uno schema in questo disco tutto è realizzato in modo che tutto sembri essere generato dal caos che in questo caso è un caos indicativamente guidato si perché in questo caso questo caos è libero scevro da schemi e completamente libero da limiti da qualsiasi legame “artistico” ispirazione in piena libertà in soldoni che si dipana in un doppio cd.”

Si dimentica spesso che chi genera i CD, o sceglie le sue fotografie in musica preferite dal 2011 al 2023 come io ho fatto, è prima ascoltatore di sé.

Deve da solo capire sé stesso prima di dare una chiave di lettura agli altri e io ho impiegato i due lockdown per selezionare il materiale idoneo.

Ci sono voluti tre anni di lavoro per restaurare registrazioni su pista unica e dunque non separabili e mixabili prima dell’avvento dell’intelligenza artificiale, assieme al mio collaboratore Paolo Siconolfi.

Poi, l’avvio sorprendente delle date con I Sincopatici e L’Inferno dantesco da noi musicato e messo in scena con azioni su pellicola del 1911, mi ha portato ad aggiungere delle “cartoline” da quello spettacolo, dalla data al Conservatorio Verdi di Milano, da quella al Teatro di Documenti a Roma e da una a Lagonegro (PZ).

Di fatto la selezione per l’intero disco è stata operata anche tra materiale registrato in Francia, in Croazia, in Serbia…

Quando l’idea di questo disco è nata, nel 2011, NichelOdeon stava morendo come progetto live e quello per me era tutto. Si è trattato solo di procastinare un’eutanasia.

Io non ho una vita personale, la musica e il teatro mi portano via troppo tempo nello studio e le mie condizioni di salute non mi permettono grandi leggerezze.

La mia scelta musicale integralista invece non mi permette di avere una sussistenza economica adeguata.

Dunque vivo di espedienti, ma in modo quasi sempre dignitoso.

Fare lavori che ti rendono un demente pur di stare in piedi economicamente, ad esempio, è indecente, ma lo faccio.

Tutti i lavori che ti portano ad annuire sono dementi. Solo gli artisti indipendenti e i matti oggi possono sapersi liberi.

Io mi pongo sempre nella condizione di chi accetta a testa bassa determinate scelte, ma poi mi interfaccio sempre con un’umanità che mi tratta da idiota solo perché non ho gli stessi riferimenti culturali e allora al diavolo a tutti.

Nell’oggi si ha idea che ci sia un unico giudizio, un’unica idea di visione, ascolto e ricezione, il che è scorretto.

La realtà è che un’unica cosa accomuna tutti, ovvero la volontà di giudizio (ma ognuno giudica sulla base del proprio bagaglio culturale, sempre più misero per scelte socio-politiche) e che questo giudizio accetta circhi televisivi, radiofonici e qualsiasi cosa, credendo che il solo “dire la propria” risolva quanto si vive. Non è così.

Bisogna accollarsi il rischio di percezioni “altre” e questo comporta fatica.

Io vivo in una canonica da un anno e mezzo in qua, pur di supportare le mie ricerche e non avere grandi spese.

Si sta al freddo d’inverno e assai al caldo d’estate. C’è quasi sempre gran silenzio e odore di piscio misto a candeggina, a incenso, a fiori morti.

Davide

Il lavoro è aperto da una tua esibizione con l’Area Open Project. Cosa devi in particolare a Demetrio Stratos e quali sono stati i ricercatori vocali più importanti per te?

Claudio

Vorrei una volta per tutte chiarire una questione, è un grande onore poter essere associato a Demetrio, ma a me non purtroppo non piace la voce Stratos, la sua costante aggressione mi infastidisce.

Credo di avertelo scritto mille volte nelle mie precedenti interviste…

Ma tu non ci credi…

Nessuno ci crede.

Chiamato in causa su Rockambula da Silvio Don Pizzica, Miro Sassolini parlando di me ha testualmente detto nel 2013: “Claudio, che io stimo immensamente, ha studiato e ripercorso l’intera fase sperimentale di Stratos; forse non ce ne era bisogno. Forse bastava coglierne l’essenza ma questo è solo il mio punto di vista. Io e lui abbiamo cominciato più o meno dagli stessi territori di sperimentazione. Mentre io, però, ho seguito la strada della forma canzone, cercando sempre la melodia dentro la musica, lui ha braccato la purezza, legandosi piuttosto ai suoni, alla ricerca della complessità e alla metodologia estrema. Semplicemente abbiamo avuto diverse progettualità dettate da difformi esigenze personali”.

Cosa posso rispondere?

Che anzitutto no, non ho studiato i dischi di Stratos Miro… ho ascoltato solo qualche volta “Cantare la Voce” e non mi ha colpito per niente, anzi, semmai ho trovato più interessante il primo disco di Meredith Monk sulla stessa scia, ma l’avrò ascoltato due volte. Mi ha preso bene “L’Abbattimento dello Zeppelin” degli Area così “Giro Giro Tondo”, tra i brani cantati e mi ha colpito la ricchezza di armonici degli acuti di Demetrio in “Le Labbra del Tempo”. Ho ascoltato solo “Arbeit Macht Frei” e “Maledetti” della band, poi, ho capito che dovevo fermarmi.

Rispettando io Miro e tanto per il lavoro sul suono associato alla parola e alla sua scansione metrica che lui ha compiuto, mi permetto di dire come io creda che la questione sia assai più banale.

L’Italia ha associato l’idea di ricerca sonico-vocale al solo Stratos, così facendo ha creato un santo e si è liberato della questione, ritenendola noiosa (comporta studio ma anche dedizione d’ascolto).

Giuni Russo in “Energie” che è arrivata dopo è forse stata inferiore a Demetrio?

Come la ricorda la critica oggi se non come una cantante di hit estive?

Eppure lei era erede diretta di Yma Sumac, che il percorso di voce estesa ha iniziato.

Qualcuno in Italia si spertica in lodi per Phil Minton che canta le sue “eaaaa variations”?

Non sono parte del meccanismo di mistificazione del cantante di Alessandria d’Egitto, ma lo sono diventato.

E meno male che dicono Stratos e non Al Bano!

Sono però un compositore e cantante massimalista, questo è reale, come Miro dice.

Non basta però per ricondurmi ad un’unica figura che ho ascoltato solo di traverso santa pazienza.

Il mio fine non è la tecnica, cosa che era per Demetrio.

In merito a questo, a mio avviso si interpelli John De Leo, il più bravo di tutti oggi tecnicamente, forse a livello mondiale o l’amico Stefano Luigi Mangia che nelle sue “Stratosfonie” e con l’ìausilio della Amirani Records di Gianni Mimmo ha seguito un percorso di studio su Stratos squisitamente accademico, ampliandolo.

E comunque…

Nessuno tecnicamente (o meglio, in ambito “virtuosistico”) a livello vocale supera da qualche decennio in qua Cecilia Bartoli che canta “Son Qual Nave”… e allora? Di che parliamo?

Che razza di inconscio avrei e soprattutto, che razza di istinto musicale ad aver fatte mie certe dinamiche senza averle ascoltate?

Sono una cernia nell’apprendere talune meccaniche!

Tran Quang Hai, che è stato maestro di Stratos, ma anche mio, il tempo di un seminario, era mille volte più capace di lui nel canto armonico e in Italia non se l’è rifilato quasi nessuno, così si può dire per Roberto Laneri e la sua direzione di cori di canto armonico.

A me interessa il teatro-voce: Carmelo Bene, Danio Manfredini, Coucou Sèlavy, Diamanda Galas, Peter Hammill, Tim Buckley, Scott Walker, Nico, Lisa Gerrard i miei riferimenti principali, assieme alla scrittura di Stravinkij in “Le Roi des Etoils”, quella di Ligeti, Penderecki, Messiaen, di Milva con Piazzolla, con Berio, con Strehler, di Mina in “Il Pianto della Madonna” di Monteverdi.

Mi piacciono il lavoro sulla voce che ha fatto Zad Moultaka con “La Passion Selon Marie”, la leggerezza in passaggio di Nina Simone in “Black Is the Color” e la sua drammaturgia in “Wild Is the Wild”, il vibrato di Bowie dalla metà degli anni 70, l’urlo di Ian Gillan, le armonizzazioni nel canto di Laine Staley, il timbro di Burzum… poi potrei citare altri cento nomi, ma non QUELLO a cui mi associ.

Il canto tutto è un mondo di tecnica che cerco di rendere funzionale alla mia espressione e non c’è limite alla tavolozza che io vorrei.

Te l’ho detto tante volte Davide.

Poi quella performance (“Per Causa – nostra”) è bella, tanto, super l’intuizione ritmica di Calloni, Tavolazzi e Tofani (onnipresente nel disco e per fortuna) in chiave molto istintiva e poco mentale .. Io ho cantato da sciamano con i mezzi che mi ritrovavo quella sera.

Qualcuno mi ha chiesto di vergognarmene cinque minuti dopo ma perché dovrei?

Tu hai una risposta?

Per un paio di diplofonie mediorientali da muezzin?

Non credo.

L’Italia è piena di gente che pur di essere paragonata a Demetrio si venderebbe l’anima.

Sia chiamata essa in causa, il trono è libero per chi canta, non per chi ascolta a quanto pare…

Davide

L’uso della voce ci rappresenta. In che modo hai cercato di rappresentare te stesso attraverso la tua sempre più estesa e variegata capacità di usare la voce?

Claudio

Ti ringrazio, sei sempre molto gentile nei commenti riguardo il mio canto ed è vero, col tempo la padronanza multi-timbrica cresce.

Oggi mi rappresento attraverso l’idea di chi ha visto il fuoco attorno e sa che sta per arrivare, per lui e gli altri.

Canto ormai da “toccato” e con la mia voce esprimo il sentimento di chi sa che sta per arrivare un periodo non bello per l’umanità, è questione di mesi più che di anni.

L’Inferno di Dante è la rappresentazione che più mi permette di portare questo senso da misticismo popolare, o se vogliamo da idea profetico-trascendente del canto e del suono.

Stiamo appena uscendo da anni in cui abbiamo subito la doccia fredda di un qualcosa che è stata prodotta in laboratorio e il giorno dopo si dice il contrario, lo ricordo.

Un’arma per ridefinire i confini geo-politici si è detto e adesso siamo in guerra… io prego e agisco ormai, pur cosciente del valore della consapevolezza.

Davide

Concordi con l’affermazione di Richard Strauss che “la voce umana è il più bello strumento che esista, ma è anche il più difficile da suonare”? Quali sono state le maggiori difficoltà incontrate lungo il tuo percorso di esplorazione, conoscenza e uso della voce e del canto?

Claudio

Si, concordo. Ho purtroppo avuto sempre un corpo poco fluido, con molte tensioni muscolari sparse dovute a un incidente stradale tremendo in cui sono stato coinvolto da bambino che ha generato anche delle difficoltà neurologiche e psico-motorie.

Per alleviare queste tensioni ho dovuto studiare decenni e devo farlo quotidianamente, oltre che sottopormi a logopedia, per vivere un minimo di facilità nel canto.

Io non sono stato dotato di uno strumento particolarmente valido, anzi, quello che saltava all’orecchio di chi mi ascoltava da bambino e adolescente è stato sempre una sorta di “pianto infantile” dovuto a costrizione laringea e alla necessità di raggiungere frequenze acute nelle rock band nonostante la natura mi abbia dato come corda di partenza quella di un basso.

Questa cosa è sempre piaciuta perché trasformava uno sforzo fisico in un’emissione intensa, si diceva che ero commovente e non so quanto di quel canto sia rimasto appresso a me oggi.

Ho dovuto costruirmelo con enorme fatica superando difficoltà di ogni tipo, il “mio strumento”, quello che mi rappresentava anche mentalmente, nella proiezione dell’io.

Quando ero ragazzino ricordo che Alberto Piras dei Deus Ex Machina mi prendeva in giro dicendo che ero un punto interrogativo che cantava male… semplicemente non ero così tecnico quanto lui.

Io sono costantemente in cura farmacologica per la voce e devo prestare attenzione a tutti gli organi, all’alimentazione, all’attività fisica, all’esposizione a prodotti chimici, al sonno… studiare Metodo Funzionale…

altro che i filtri di cartine di Stratos e Piras dall’uso molteplice (faccio riferimento a quanto scritto nel booklet di “De Republica” dei Deus Ex Machina).

Io non sono “rock”.

Davide

Pratichi anche il canto armonico e difonico, comune a diversi popoli, ma noto soprattutto come canto mantrico e spirituale dei monaci tibetani. In che modo dialogano la voce del tuo canto e la tua voce interiore? Qual è la tua visione in merito alla spiritualità della voce? La voce ha inoltre un potere “psichedelico”?

Claudio

Io pratico pochissimo il throat singing… lo uso appena come effetto e in modo pesantemente intuitivo (mi annoio a morte ad esempio a cantare in “doppia cavità”, tecnica che permette di avere dei suoni acuti dell’emissione difonica assai più brillanti e udibili, ma con micromovimenti della lingua sul palato).

Per chi pratica quel modo in un’accezione consapevole rinvio al prima citato Laneri, ad Oskar Boldre, a Lorenzo Pierobon, a Renato Miritello, ad Albert Hera. Questi, oltre a praticare ognuno anche altre tecniche in modo personale sono degli esperti in materia, si sono specializzati in quello (alcuni “anche”, altri “solo”) e lo fanno benissimo, io no. Si… studio canto armonico e pretendo un buona rendimento ma non sono definibile un “esperto”.

Io trovo molto più interessante la liberazione dell’io attraverso grosse masse d’aria “lanciate” in risuonatori di maschera, in ogni registro. In questo somiglio a Stratos, con la divergenza che lui ha preteso sempre la perfezione in qualità di cantante/uomo/macchina… a me interessa l’umanità e mi concedo di sbagliare, il mio è anche un canto assai fragile, volutamente traballante. Oltremodo io impiego molto vibrato per dare passione, lui limitava il vibrato nel canto…era un baritono/tenore di partenza, io un basso, solo per affermare alcuni marcatori di divergenza radicali.

Tecnicamente io sono in grado di passare molteplici espedienti ma la mia specializzazione è la drammaturgia associata all’emissione…

Poi, amo il trasmettere con la voce i “tanti sé” divergenti che mi compongono e qui il riferimento unilaterale in quanto a Maestro, per me rimane Peter Hammill.

Adesso mi interessano i sibili, ovvero gli armonici di fischio con i quali ho raggiunto 11.178 hz (Fa#9) in acuto (sulle frequenze gravi vado dove voglio). Si tratta di note che Nicola Sedda avvicina comunque con facilità ben più grande.

Oggi questa è una nuova frontiera. Di Stratos si legge su una banalissima Wikipedia “Il prof. Franco Ferrero, che presso il Centro Studi per le ricerche di Fonetica del CNR dell’Università di Padova analizzò gli effetti che Stratos riusciva a produrre, ammette: «Stando a quanto ho riscontrato durante l’emissione, le corde vocali non vibravano. La frequenza era molto elevata (le corde vocali non riescono a superare la frequenza di 1000-1200 Hz). Nonostante ciò Demetrio otteneva non uno, ma due fischi disarmonici, uno che da 6000 Hz scendeva di frequenza, e l’altro che da 3000 Hz saliva. Non si poteva supporre, quindi, che un fischio fosse l’armonico superiore dell’altro. Constatai anche l’emissione di tre fischi simultanei”.

Siamo dunque ben oltre quei 6000 hz oggi e in quanto a fischi simultanei invito ad ascoltare questo brano a 1.32, da me che, s’è detto, non sono “il più capace: https://www.youtube.com/watch?v=rvYY0bxkIeY

La voce è spirito per eccellenza quando smette di cercare di esser “bella” e per farlo deve dimenticarsi di essere europea.

Si, la voce ha un potere psichedelico, libera come nessun altra esperienza. Sperimenta il sé uomo, donna, bambino, giovane, vecchio. Porta in altri tempi e altri spazi, ha un potere mostruosamente relazionale nell’essere vibrazione.

Quando a Roma nell’emissione dei suoni di fischio (whistle register) imitavo i gabbiani ricordo che quelli mi inseguivano e non saprei dirti perché… chissà che dicevo!

Di certo so che mi relaziono molto meglio con spazi che hanno un’acustica con grandi riverberi (chiese, teatri vuoti), in alternativa per cantare su tutta la mia gamma espressiva ho bisogno di in ear monitor, di casse spia, di microfoni preferibilmente non unidirezionali… la faccenda si fa troppo costosa e complicata in Italia, dove quando fai richiesta di un service, se c’è uno che si dice fonico è già tanta grazia, che poi sappia fare anche il suo mestiere…

Il posto in cui mi son sentito meglio è stato il KKL di Lucerna… ma lì non potevo che cantare come basso, in quanto membro del coro della Sinfonica di Milano.

Davide

L’intreccio di parole e musica è antico. Che tipo di intreccio ideale persegui? Lavori con la parola più sulla potenzialità del suo suono o per arricchirla di significati? O entrambe le cose?

Claudio

Ambo le cose. Talvolta creo contrasti di senso e logica (come in “SenseNonSex” con la grandissima Giulia Zaniboni e con Eugenioprimo Saragoni), non credo la voce in sé abbia bisogno della parola. Nell’ultimo album canto in una valanga di lingue e dialetti differenti (italiano moderno e medievale, tedesco, latino, greco, francese antico dalla pronuncia distante da quella odierna, gaelico, lingua friulana contemporanea e patriarchina, dialetto siculo, grammelot), ma ciò che mi interessa di ognuno di questi era lo studio ossessivo del suono… non del significato relativo.

In “Cramars Marochins Pt II” canto in friulano antico della regione della Carnia, per penna di Leo Zanier… credo di aver intuito ciò di cui il testo parla, ma non ne sono certo.

Quando ho vissuto ad Udine, tutti parlavano con me in dialetto e io rispondevo in italiano, ma mica son certo di aver capito tutto… forse ho bluffato, io sono nato in Puglia.

Davide

Colpisce la tua performance con un grande outsider della musica e della voce, Arrington De Dyoniso. Anche tu sei spinto da uno spirito dionisiaco? Oppure Apollineo? O ambedue?

Claudio

Ambedue, nel canto è così per fortuna, nel mio impegno come illustratore invece no, sono noiosamente apollineo.

Io ho una venerazione per Arrington, ho cantato con lui l’ultima volta poche settimane fa a Bergamo e con noi c’erano i MAISIE di Cinzia La Fauci a far da collante.

Il dialogo tra il mio canto e il suo clarinetto basso mi ha commosso sinceramente, c’è una fortissima relazione tra le due espressioni. Lui nel canto improvvisato è assai più apollineo di me, ma col clarinetto è puramente dionisiaco. Ha vissuto in modo assai forte la scomparsa di Peter Brötzmann.

Davide

Cosa seguirà?

Claudio

Due dischi ancora a nome NichelOdeon (uno lungo, altamente elettronico e deformato armonicamente, l’altro… stupisce dirlo, giocondo, gioioso, brevissimo e dalla forma diretta, dal forte impatto ritmico), uno ancora come Claudio Milano’s End Friends (Istant Composing), uno come I Sincopatici ft. Claudio Milano (Decimo Cerchio – L’infermo di Dante O.S.T.), se tutto va bene un EP con te, ricordi? Sicuramente ho tra le mani il vinile di “Musicamortosì (da una Rupe)”, EP associato a INCIDENTI-Lo Schianto di NichelOdeon, oggi, dopo due anni da quando l’ho mandato in stampa. Avrà un packaging da collezione assoluta, oltre ad essere venduto in sole 21 copie. Poi concerti spero… tanti, me lo auguro.

Davide

Grazie Claudio e à suivre…

A te Davide.

 

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