Intervista con Amato Jazz Trio
7 min readKEEP STRAIGHT ON
Abeat Records 2023
Dal booklet del cd.
C’è sempre un’aria piacevolmente riconoscibile nei dischi dell’Amato Jazz Trio. Questo si spiega certo con la longevità dell’ensemble – che suona insieme fin dalla più tenera età – e con il fatto di essere tre fratelli cresciuti in una fortunata comunità musicale come quella di Canicattini Bagni, non lontano da Siracusa. Radici mediterranee robuste cui si sono aggiunte nel tempo esperienze di ognuno con artisti di rango di ambito jazz. Ma non solo. Quella di Elio, Alberto e Loris Amato è a mio avviso una cifra stilistica peculiare e inconfondibile, che su una salda memoria delle tradizioni jazz, e più in generale del Novecento europeo, innesta elementi di felice originalità e freschezza.
“Keep straight on” ne è una nuova conferma. 14 tracce che hanno più o meno la durata di una canzone. Una scrittura agile, nuclei tematici brevi esplicitati dallo strumento armonico, il pianoforte ora vigoroso ora avvolgente di Elio Amato. Suggerimenti che favoriscono un interplay serrato e avvincente con il contrabbasso asciutto dalle venature funky di Alberto e la tensione ritmica della batteria di Loris. Ogni brano compone una sintesi tra temi originali e reminescenze di ogni genere. Da Stravinskij ad Arvo Pärt a Lennie Tristano fino a “Armonie di Saturno”, in cui il pianoforte in solitudine riprende la sigla di chiusura dei programmi RAI firmata dal compositore Roberto Lupi nel 1946.
C’è spazio per un riflessivo piano solo anche nel breve “Alessia”. Mentre il fraseggio diventa incalzante in “Isotta”, brano nel quale i tre strumenti sembrano rincorrersi in rapidi cambi di marcia. Nella title track invece è il contrabbasso a tessere un ordito su cui poi si dipana una fitta trama in perfetto equilibrio tra parti d’insieme e assoli, che crea un disegno brillante e policromo.
L’omaggio ai maestri del jazz, altra caratteristica dell’Amato Jazz Trio, diviene esplicito in “Summertime”, ma anche in questo caso lo standard di Gershwin, che ha la voce del piano elettrico, assume colori e sfumature originali.
C’è tanta conoscenza, tanta musica ascoltata e interiorizzata in “Keep straight on”, album molto ispirato, denso di profumi e suggestioni, avventuroso come un viaggio sonoro che parte dal Mediterraneo e attraversa il Novecento arrivando fino a noi grazie all’eleganza dell’Amato Jazz Trio, musicisti di razza che insieme somigliano a uno strumento a tre voci.
Claudia Fayenz
Grafting / Arvo / Via Aurora / Keep straight on / Alessia / Humpthy Dumpthy / Toy / Without nomination / Summertime / Amandine / Belli, ma ribelli / Isotta / Fraternidade / Armonie di Saturno
https://www.amatojazztrio.com/
Intervista
Davide
Ciao. “Keep straight on”, un invito a continuare dritto… Ma dritto verso cosa?
Amato Jazz Trio
Elio. Per definizione ,”diritto” è un percorso in cui non ci si può concedere scorciatoie e tanto meno distrazioni. Non è visibile però una meta o un orizzonte e fuori metafora, per ciò che riguarda la nostra musica, potremmo dire che il viaggio estetico tende quasi spontaneamente all’astrattismo free, tipico delle avanguardie anni 60 del 900, riferendoci chiaramente a quei musicisti che hanno lasciato un segno: Davis, Coltrane, Taylor, Coleman e altri.
Davide
“Keep straight on” segue al precedente “I love (Makkisa)” del 2020, ma anche a più di quarant’anni ormai di musica, poiché la vostra formazione prese vita nel 1979; poi il primo disco nel 1988. Cosa continua “Keep straight on” del vostro percorso musicale, cosa sviluppa e introduce di nuovo nella vostra storia e nel prosieguo discografico?
Amato Jazz Trio
Alberto. La ricerca di un linguaggio personale è sempre stata una costante del nostro jazz e più che continuare su una linea unica, la tendenza è piuttosto verso una più lucida e matura consapevolezza dei risultati raggiunti, senza però cristallizzare forme statiche, ma innestando periodicamente elementi di novità (armonizzazioni e linee melodiche tipiche dell’Amato jazz trio.)
Davide
Come sono nate le vostre nuove composizioni, intorno a quali idee centrali e a quali ambiti di ricerca? Quali le parole chiave?
Amato Jazz Trio
Loris. Il metodo compositivo, se così si può dire del jazz, è estremamente aleatorio; nel nostro caso sono sufficienti pochissimi elementi ritmici o melodici da elaborare durante l’improvvisazione. Parole chiave? Concentrazione, libertà, coerenza, equilibrio delle parti.
Davide
A queste vostre nuove composizioni avete aggiunto delle rivisitazioni di Ornette Coleman (Humpthy Dumpthy), George Gershwin (Summertime) e di Roberto Lupi (Armonie di Saturno), quest’ultima giustamente in chiusura dell’album così come dal 1954 al 1986 servì a chiudere le trasmissioni televisive della Rai. Perché avete scelto di rielaborare questi tre precisi brani e cosa in genere di una composizione altrui vi muove a farne una vostra più personale rilettura, quindi una più profonda introiezione e riproiezione?
Amato Jazz Trio
Elio. Grazie per questa considerazione colta sulle nostre scelte dei temi musicali. A ripensarci i tre autori a cui si riferisce, sono effettivamente distanti fra loro per l’estetica che hanno creato (Coleman il Free, Gershwin l’idea del sinfonismo misto alle armonizzazioni jazz e il quasi misconosciuto Lupi per il colore psicologico della sua musica); quindi la scelta di un autore da “introiettare” muove sempre da particolari stimoli emotivi o tecnico-musicali che ci sembrano adatti per le improvvisazioni.
Davide
Il Novecento è stato un secolo straordinario per la storia della musica, ricco di innovazioni e cambiamenti. Cosa in particolare di quel secolo cercate di traghettare e portare avanti nel ventunesimo secolo?
Amato Jazz Trio
Alberto. Fra le innovazioni a cui fa riferimento la sua domanda, l’invenzione del jazz è probabilmente la più straordinaria, dopo la dodecafonia di Schoenberg; non potremmo mai dire di “traghettare” in questo secolo monumenti come quelli che ho citato, ma senza dubbio la loro eco, inconsciamente trapela, soprattutto l’idea della Politonalità e della libertà melodica del jazz più autentico.
Davide
A proposito di Novecento, avete anche dedicato un brano a uno dei grandi protagonisti della musica del secolo trascorso, Arvo Pärt. Dalla dodecafonia al collage al minimalismo sacro, cosa in particolare avete voluto riprendere e omaggiare della sua poetica?
Amato Jazz Trio
Elio. È piuttosto recente il mio interesse per alcune composizioni di Pärt. Mi incuriosisce il suo mondo interiore ottenuto con pochissimi elementi musicali. Il risultato emotivo è maggiore della somma delle parti. Geniale.
Davide
Tre fratelli che suonano da sempre insieme, un lungo sodalizio che avete omaggiato con “Fraternidade”? Ma c’è sempre consolidata e subitanea intesa su tutto oppure un mettervi anche costruttivamente in gioco o in discussione? Cosa più di tutto, al di là della fratellanza consaguinea, vi tiene ancora insieme nel condividere l’Amato Jazz Trio?
Amato Jazz Trio
Loris. Ciò che accade ad ogni “prova” ma soprattutto nei concerti è l’istintivo mood che nasce a pochi secondi dall’inizio della performance. Si procede chiaramente anche per minimi aggiustamenti istantanei e questo è un processo creativo che si ottiene nel tempo, con studio costante in singolo e dopo in trio. Non è semplice affiatamento, ma come diceva di noi Franco Fayenz “sembra che interagiscono con feromoni in circolo nell’aria e il trio sa esattamente dove la musica debba arrivare o fermarsi”. È un complimento interessante e curioso da parte di uno dei critici jazz più acuti di Europa. La fratellanza tiene in piedi l’Amato Jazz Trio, semplicemente la fratellanza in ogni senso e nel senso del jazz.
Davide
“La Sicilia ha avuto la sorte ritrovarsi a far da cerniera nei secoli fra la grande cultura occidentale e le tentazioni del deserto e del sole, tra la ragione e la magia, le temperie del sentimento e le canicole della passione”. Così ha scritto Gesualdo Bufalino in “Cere perse”. Cos’è la vostra Sicilia e cosa di essa in particolare si infiltra nella vostra musica?
Amato Jazz Trio
Alberto. Grazie per la citazione di Bufalino, che sembra un’istantanea della nostra isola; posso aggiungere solo una riflessione ancora di un siciliano: Sgalambro: lui sostiene che l’isolamento crea nel siciliano un sentimento di orgoglio quasi genetico, misto a tristezza cupa e incredibilmente creativa. (Quasimodo, Vittorini, Pirandello, Sciarrino per la Musica). La nostra Sicilia è madre, grembo, matrigna a volte, ma del suo amore o colore non c’è traccia nella musica che suoniamo. Abbiamo radici in Sicilia e tentacoli che ingurgitano jazz tra statunitense e mitteleuropeo (Mangelsdorff- Lacy-Coleman).
Davide
Art Blakey affermò che ci vuole un orecchio intellligente per ascoltare il jazz. Cosa ci vuole invece e innanzi tutto per suonarlo?
Amato Jazz Trio
Loris. “Più che intelligenza, per ascoltare jazz e nel senso più ampio, occorre una curiosità uditiva enorme, mai pigra, ma tesa e costante. E una pur minima conoscenza della storia di questo genere musicale. Il musicista che suona jazz , se davvero percorrere il tragitto senza sotterfugi e con onestà e dedizione, finirà col suonare se stesso, ciò che lui è nell’animo.
Davide
Cosa seguirà?
Amato Jazz Trio
Elio. Ciò che seguirà è esattamente l’osservazione di Loris espressa prima. In altre parole: senti il mio jazz e saprai chi sono.
Davide
Grazie e à suivre…