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Fiori di campo – Ernesto Flisi

4 min read

Sentimenti espressi in versi

Booksprint Edizioni

Poesia

Pagg. 51

ISBN 9788869906282

Prezzo Euro 14,90

Primi passi poetici

Quella vena malinconica che ho percepito durante la lettura di Sulle rive dei fossi trova conferma anche in questa raccolta, Fiori di campo, prima pubblicazione dell’autore avvenuta nel 2016. Pure qui si intrecciano ricordi e visioni della natura e con ogni probabilità sono i primi a segnare l’amarezza che sta alla base dei versi (E così te ne sei andata, / rannicchiata e piccola in un letto bianco / di un ospedale prefabbricato, / azzurro e anonimo, / tra filari pioppi schierati, / perso in una campagna / fervente di coltivazioni e trattori. / ….). Si tratta di una visione non certo lieta, perché se la morte, che è naturale nel ciclo della vita, non può mai ispirare allegria, quella atmosfera asettica data dal tipico letto d’ospedale porta già in sé il freddo della fine, toglie ogni calore che un sentimento può comunicare; più che la tristezza per la dipartita colpisce l’abbandono, questo ospedale prefabbricato, anonimo, tra i filari schierati come quelli dei viali che portano ai camposanti, isolato un una campagna dove l’unica vita sembra essere quella produttiva dell’uomo.

Ritengo poi che anche in Ciliegio sia presente quella figura femminile (che nella prosecuzione della lettura scoprirò essere la madre) che nel letto d’ospedale è piccola e rannicchiata, come un passerotto implume, raccolto in se stesso nel momento del trapasso. In questa poesia si rammenta – bellissimo connubio di natura e memoria – questa figura, colta in un normale atteggiamento ( Davanti alla finestra guardavi / l’aia assolata, il tuo orto / che curavi con passione / e mille segreti, / ma soprattutto quel maestoso ciliegio , / coperto di fiori ad ogni primavera. / …). La tenerezza con cui il ricordo è rievocato mi ha ha confermato che si tratta della mamma, come comprovato anche dai successivi versi (…/ Poi un giorno / nemmeno la sedia a rotelle / è bastata più / a a tenerti abbarbicata / alla povera casa di sempre. / / “Sai mamma, là ti cureranno, / qui non hai i mezzi / poi tornerai…/…). E’ una pietosa bugia che un figlio si porta appresso sperando solo che la genitrice gli abbia creduto, ma generalmente lei fa finta di crederci, sa che di più non è possibile, che la vita fugge inesorabile e vorrebbe che non corresse per il figlio. E quasi a chiudere il cerchio del discorso con Memoria si arriva all’ultima dimora (Non amo i cimiteri di città, / l’incessante andirivieni, / i pettegolezzi rumorosi, / i monumenti sontuosi, / fiera della vanità. /… / Amo questo camposanto, / delimitato da una bassa muraglia, / sprofondato nella campagna, / contornato da campi di grano, / in vista del fiume, /…).Ecco come può essere addolcita la morte, con una visione agreste, con un paesaggio, che, pia illusione, si spera che il defunto possa apprezzare, perché comune a ciò che vedeva in vita. E’ proprio in questo connubio fra ricordo e natura che si ritrova la sacralità della morte, quella ritualità interiore che sembra oggi ormai persa e che tanto invece era propria di una società in cui il sentimento non era esibizione, ma un’intima emozione che solo lo sguardo lasciava trapelare. Di questo mondo passato è evidente il rimpianto, tanto maggiore a chi si lega ai cicli immutabili della natura, che è la primigenia fonte di ispirazione, purché si sia capaci di osservarla.

Poiché si tratta con ogni probabilità delle prime poesie scritte non mi meraviglia questo intimo dolore per una scomparsa, perché mettere giù dei versi è anche un modo per elaborare il lutto, è uno sfogo con cui si prende coscienza di un evento irreparabile ed è naturale un accentuato lirismo, che poi non ho ovviamente riscontrato nella successiva silloge Sulle rive dei fossi, proprio perché l’assimilazione del lutto si è conclusa. Pur in presenza degli inevitabili limiti derivanti da una naturale inesperienza devo tuttavia rilevare come la struttura delle poesie sia già bene impostata e come i riferimenti alla natura costituiscano già un elemento qualitativo più che apprezzabile (.../ Ruotano le stagioni, / cambiano i colori, / mutano i suoni, / si alternano i silenzi, / così diversi, uguali mai. / ….). Ne discende quindi che la lettura di questa raccolta è più che gradevole, tanto che è sicuramente consigliata.

Ernesto Flisi è nato a Viadana, in provincia di Mantova. Ha trascorso tutta la sua vita nella scuola, da docente e dirigente scolastico. Come autore di versi, ha pubblicato nel 2016 “Fiori di campo” per Book Sprint edizioni e nel 2022 “Sulle rive dei fossi”, quest’ultima edita in proprio. Altre composizioni sono state pubblicate in vari anni nei “Quaderni del caffè letterario”, guidato da A.M. Cirigliano, editi a Mantova da Il Rio; altre ancora in pubblicazioni sparse. Ha collaborato a diversi studi di storia locale. Da segnalare una monografia edita nel 2019 dalla Società Storica viadanese, intitolata “Il Commissario e l’Arciprete”, incentrata su un forte contrasto tra l’autorità religiosa e quella austriaca poco prima della proclamazione dell’Indipendenza dell’Italia.

 

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