Colpa Medica…
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I cromosomi del Dottore sono potenti
Don Lorenzo Milani
La medicina, prima ancora di essere una scienza, è da considerarsi una vera e propria “arte”: ogni essere umano è unico, come unico è il suo organismo e dunque differente può rivelarsi la risposta ad un determinato intervento terapeutico. A ben vedere i “rimedi” alla malattia danno origine a risultati “statistici” che non forniscono mai la stessa identica soluzione per tutti i casi[1].
L’antico, lugubre, adagio “errata medicorum terra tegit” (“la terra copre gli errori dei medici”), da oltre trent’anni è, ormai, divenuto un ricordo nel nostro Paese. Infatti, lungi dal restare invisibili, gli errori (veri e presunti) dei sanitari e degli ospedali a partire dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso, iniziarono a dar vita ad un contenzioso che è cresciuto con progressione geometrica[2]. Il fenomeno è stato spiegato con varie ragioni che vanno dalla presa di coscienza dei propri diritti da parte degli utenti del servizio “sanità”, all’attività di sensibilizzazione compiuta dalle associazioni di difesa dei diritti del malato sui casi di “malasanità”, dall’evoluzione dei mezzi di cura e diagnosi, che ha consentito sia un più approfondito controllo ab externo sull’attività del medico, sia l’esposizione di quest’ultimo al rischio derivante dal controllo e dall’uso di strumentazioni molto sofisticate, fino all’accresciuta scolarizzazione della popolazione, sempre più attenta ai propri diritti; anche la diffusione (ora d’obbligo), dell’assicurazione di Responsabilità Civile di medici ed ospedali, che ha dato, progressivamente, ai danneggiati la certezza di poter fare affidamento su un debitore comunque solvibile, ha contribuito al più frequente ricorso alle vie giudiziali, così come la crescita esponenziale degli importi liquidati a titolo di risarcimento del danno, specie nel caso di danno da “morte”. Tuttavia è innegabile che il più potente incentivo alla crescita del contenzioso in tema di responsabilità medica è stata l’elaborazione giurisprudenziale di regole ad hoc per questo tipo di responsabilità.
A partire dalla seconda metà degli anni ‘80, infatti, la Magistratura iniziò a forgiare regole specifiche, derivanti dalle norme generali di diritto civile e penale, per giudicare la responsabilità dei sanitari: sia in tema di colpa, sia in tema di nesso di causa, sia in tema di riparto dell’onere della prova. Queste regole agevolarono la posizione dell’attore (di norma, il paziente/danneggiato), generando così una reazione a catena, in forza della quale la crescita del contenzioso consolidò interpretazioni e decisioni favorevoli all’attore, ed il consolidarsi di interpretazioni favorevoli all’attore facilitò l’ulteriore crescita del contenzioso. Contenzioso e risarcimenti, a loro volta, spinsero la classe medica a sentirsi – a torto o a ragione – “sotto assedio”, sospettando quasi una persecuzione; a loro volta le società di assicurazione si ritirarono a poco a poco dal mercato dalla Responsabilità Civile professionale per i medici (o aumentarono molto i costi delle coperture), a causa della insostenibile divaricazione tra premi raccolti ed indennizzi pagati; si iniziò ad assistere alla pratica della cosiddetta “medicina difensiva”, ovvero a comportamenti diagnostici e terapeutici dei medici non tenuti al fine di “curare il malato”, ma al solo scopo di evitare, per quanto possibile, contestazioni al professionista (ad esempio, disporre ogni sorta di esami, anche inutili e costosi, per evitare l’accusa di negligenza).
Anche per questa situazione la “responsabilità medica” è stata sottoposta negli ultimi anni a due importanti riforme, che ne hanno cambiato i connotati. La prima è stata la c.d. riforma “Balduzzi” (legge n. 189/2012), dal nome dell’allora Ministro della Salute, passaggio normativo importante nello sviluppo della disciplina della responsabilità del medico e della struttura sanitaria norma poi superata a distanza di pochi anni[3],.
Infatti, è solo nel 2017, con la Legge n. 24, comunemente denominata Gelli-Bianco (dai nomi dei 2 parlamentari che l’hanno proposta), che il legislatore italiano si è impegnato a fare ordine in uno dei settori della responsabilità civile (e penale), più dibattuti in dottrina e giurisprudenza[4].
La norma si apre (art. 1, co. 1) con una “pomposa” affermazione di principio: «la sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività». Appare banale rilevare subito che un “diritto soggettivo” (alla salute ex art.32 Cost.) non ha “parti costitutive”, poiché esso o c’è, o non c’è; la disposizione non ha alcun reale contenuto precettivo, e se essa mancasse del tutto nessuno potrebbe dubitare che l’attività diagnostica e terapeutica debba svolgersi in modo da garantire la sicurezza del paziente.
L`elemento di svolta è rappresentato dall`art. 7 della Legge (Responsabilità professionale del personale sanitario), che prevede una netta bipartizione tra la responsabilità dell’ente ospedaliero e quella della persona fisica del medico per i danni occorsi ai pazienti.
Al comma 1 si prevede: “1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose.”, confermando così la “natura contrattuale della responsabilità civile della struttura sanitaria”. Quest’ultima risponde, pertanto, nei confronti dei danneggiati, ai sensi degli articoli 1218 (responsabilità del debitore) e 1228 (responsabilità per fatto degli ausiliari) del Codice Civile[5]. La norma si limita a fare riferimento “all’adempimento dell’obbligazione”, senza specificare quale sia la fonte da cui essa deriva. La Giurisprudenza ha spesso contemplato il c.d. “contratto atipico di spedalità”, il quale si perfezionerebbe per facta concludentia, con l’accettazione del paziente in ricovero presso la struttura. Tale “contratto di spedalità” ha un oggetto molto ampio, non limitato all’erogazione delle cure sanitarie, ma esteso anche “ad obblighi di protezione e accessori”, e dunque a prestazioni di natura latu sensu alberghiera (vitto, alloggio, ristorazione), di custodia del paziente, di igiene, di adeguatezza delle attrezzature e degli impianti, ecc[6].
Il comma 3 dello stesso art.7 L.24/2017, dispone invece che “l`esercente la professione sanitaria risponde del proprio operato ai sensi dell`art. 2043 c.c., salvo che abbia agito nell`adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente.”, dando definitivamente vita ad un regime “a doppio binario” secondo il quale la struttura sanitaria (comma 1), al pari del medico che opera in regime di libera professione (comma 2), continuerà a rispondere secondo una responsabilità contrattuale[7]. Diversamente, laddove non vi sia un obbligazione sorta da contratto tra paziente e medico, quest`ultimo risponderà sempre per responsabilità “extracontrattuale”: l’esempio classico è quello del medico che interviene su un paziente in stato di incoscienza, con il quale cioè non ha certo potuto stipulare nell’imminenza dell’intervento alcun tipo di contratto o ricevere il consenso all’intervento, al quale provoca un danno pur senza intenzione, sorgendo in questo caso l’illecito (colposo) dalla violazione del principio generale del “neminem laedere”[8].
Il richiamo alla norma sulla responsabilità per fatto illecito (aquiliana) non lascia dubbi sul fatto che deve essere il paziente a dover provare non solo il “nesso di causa” fra la condotta del medico e l’evento di danno, ma anche la colpa del sanitario.
Tecnicamente, il medico e la struttura sanitaria in cui opera sono «co-obbligati in solido», il che significa, per il paziente rimasto vittima di errore medico che ha causato un danno – o, in caso di decesso, per i suoi familiari ed eredi – la possibilità di chiedere il risarcimento ad uno di questi soggetti o ad entrambi, nonché alle loro assicurazioni. In concreto, l’impresa assicuratrice è, per sua natura, quasi sempre solvibile, in quanto la sua attività è proprio quella di fronteggiare le richieste risarcitorie; in seconda battuta c’è la struttura sanitaria (solitamente organizzata in forma di ente pubblico, come un ospedale rientrante nell’azienda sanitaria locale, o di società, nel caso di cliniche e case di cura private), e da ultimo il medico, che dovrebbe rispondere con il suo patrimonio personale, che potrebbe non essere “capiente”.
Inoltre nella responsabilità contrattuale la prova che il danneggiato deve fornire è relativamente più semplice, in quanto è sufficiente dimostrare l’avvenuto “inadempimento” dell’obbligazione, e a quel punto la controparte, per liberarsi, dovrà dimostrare di aver eseguito correttamente le prestazioni dovute secondo la “diligenza richiesta dal caso”.
Le tipologie di danno risarcibile in conseguenza di responsabilità medica sono molteplici e ricomprendono quello derivante da errore diagnostico, quello derivante da errore terapeutico, quello derivante da omessa vigilanza e così via.
I pazienti che sono rimasti vittima di errori da parte dei sanitari che li hanno avuti in cura, quindi, possono rivolgersi al Giudice per poter ottenere il risarcimento del pregiudizio subito, ovviamente dopo aver valutato l’effettivo “rapporto di causalità” tra il danno e un operato non corretto del sanitario. La procedura giudiziale, come prevede la Legge Gelli-Bianco è sempre subordinata al preventivo espletamento di un Accertamento Tecnico Preventivo (A.T.P.), una procedura che affida a un C.T.U. (Consulente Tecnico d’Ufficio), nominato dal Tribunale il compito di accertare in via preliminare l’an e il quantum della responsabilità medica con una perizia che sarà la base o per trovare un accordo tra le parti in conflitto per evitare un lungo e complesso giudizio, o per decidere se intraprendere o meno il giudizio stesso (art.8 L.24/2017).
Tra i numerosi aspetti della legge che vale la pena accennare sul tema, vi è quello del della responsabilità penale del medico. L’art.6 della L.24/2017 inserisce l’articolo 590-sexies nel Codice Penale[9], che prevede una particolare responsabilità penale dei medici per omicidio colposo o lesioni cagionati nell’esercizio della professione sanitaria, responsabilità che è tuttavia esclusa per “imperizia” nel caso in cui il sanitario dimostri di essersi attenuto, nell’esecuzione della sua opera professionale, alle “linee guida o alle buone prassi clinico-assistenziali[10]”. Quando dalla propria condotta colposa deriva una lesione personale o la morte della persona assistita il medico (o il sanitario in genere), è chiamato a rispondere del suo comportamento professionale sulla base del concetto di colpa come definito dall’art. 43 del Codice penale secondo cui deve ritenersi colposo (o contro l’intenzione) un evento che, anche se previsto, non è voluto dall’agente ma che si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia oppure per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. La colpa è quindi “generica” se sussiste la negligenza, ossia superficialità, trascuratezza, disattenzione. Esempi tipici possono riguardare il medico che prescrive un farmaco al posto di un altro o del chirurgo che non si accorge della mancata rimozione di corpi estranei in un campo operatorio; l’imprudenza, che può riferirsi alla condotta avventata o temeraria del medico che, pur consapevole dei rischi per il paziente, decide comunque di procedere con una determinata pratica; infine l’imperizia, che coincide con la scarsa preparazione professionale per incapacità proprie, insufficienti conoscenze tecniche o inesperienza specifica.
La colpa specifica invece consiste nella violazione di norme che il medico non poteva ignorare e che era tenuto ad osservare per il corretto svolgimento delle procedure sanitarie.
In conclusione, una condotta colposa o imperita non è sufficiente ad attribuire alcuna responsabilità in capo al sanitario.
Il passo successivo richiede che venga individuato un preciso legame tra errore commesso dal medico e danno subito dal paziente, perché il secondo possa qualificarsi come “diretta conseguenza” del primo. Su un piano strettamente tecnico la causalità tra condotta ed evento non è sempre pacifica e lineare per la complessità dei fenomeni clinici, spesso condizionati da caratteristiche soggettive o da un decorso atipico, senza contare che determinate patologie, pur opportunamente trattate, possono comunque presentare complicanze proprie e non dipendenti dalla condotta medica.
Difficile, se non impossibile, per il medico-legale spesso pronunciarsi in termini di certezza assoluta in una scienza, di fatto priva di esattezza, come quella medica.
Credere alla medicina è una follia,
non crederci è una follia peggiore.
Marcel Proust
- Vedi voce “Responsabilità medica” in www.studiocataldi.it ↑
- La responsabilità medica, di Marco Rossetti in www.treccani.it -Diritto ↑
- Questa norma introdusse principalmente una cautela volta, tra le altre cose, a combattere la c.d. medicina difensiva incidendo in maniera rilevante sulla responsabilità penale del sanitario. Si era introdotto una scriminante/causa di giustificazione in caso di morte o lesioni per quei medici che provassero di aver arrecato un danno al paziente con “colpa lieve”. In altre parole, i medici potevano essere ritenuti penalmente responsabili solo se avevano agito con dolo o colpa grave. Sul piano processuale occorreva, però, che i medici provassero in aggiunta di essersi attenuti alle linee guida e alle “buone pratiche” accreditate dalla comunità scientifica in quel determinato momento storico, ovverosia le c.d. guidelines (normalmente opere codificate nell’ambito di convegni e seminari a carattere internazionale o pratiche riconosciute da moltissimi paesi industrializzati). ↑
- Legge 8 marzo 2017, n. 24, “Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché’ in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie”, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 17 marzo 2017, n. 64, vigente dall’1 aprile 2017. ↑
- Codice Civile – LIBRO QUARTO – Delle obbligazioni – Titolo I – Delle obbligazioni in generale – Capo III – Dell’inadempimento delle obbligazioni: art. 1218 Responsabilità del debitore
“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
Art. 1228 Responsabilità per fatto degli ausiliari
“Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si vale dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro”. ↑
- Il comma 2 dell’art.7, poi, specifica che la responsabilità civile della medesima struttura è di natura contrattuale anche con riferimento alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria, ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale, nonché attraverso la telemedicina. ↑
- Il medico che presta la sua professione privatamente stipula un contratto con il paziente: il medico che abbia uno studio privato, si trova in una situazione di offerta tale che il paziente concluderà con lui un contratto solo con il presentarsi in studio per una visita; e a tale fattispecie si applicheranno le regole del codice riguardanti la materia di prestazioni d’opera professionale. ↑
- Codice Civile – LIBRO QUARTO – Delle obbligazioni → Titolo IX – Dei fatti illeciti.
Art.2043 Risarcimento per fatto illecito
“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.” ↑
- Codice Penale – LIBRO SECONDO – Dei delitti in particolare – Titolo XII – Dei delitti contro la persona – Capo I – Dei delitti contro la vita e l’incolumità individuale
Art. 590 sexies Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario. ↑
- Art.5 L.24/2017: Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida.
Le linee guida sono “raccomandazioni di comportamento” elaborate attraverso un processo sistematico di valutazione delle prove presenti nella letteratura scientifica allo scopo di assistere il professionista sanitario nella decisione delle modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche. ↑